il Fatto Quotidiano, 7 maggio 2019
La tregua sulla Striscia pagata dal Qatar
L’ ultimo round di guerra a Gaza è finito lunedì mattina più o meno come i precedenti. Il “cessate il fuoco”tra Israele e i gruppi armati palestinesi è entrato in vigore poche ore dopo essere stato inizialmente annunciato a Gaza, nonostante le ripetute smentite di Israele durante la notte di domenica. L’annuncio del Comando del Fronte interno israeliano alle 7 di ieri mattina, secondo cui i residenti potevano riprendere la loro vita normale, con scuole e uffici aperti nel sud di Israele, ha confermato ufficialmente che l’escalation era finita, senza che la leadership politica del Paese rilasciasse un solo commento. QUESTE 48 ORE di battaglia sono state le più violente e le più letali dalla guerra del 2014. Quattro civili israeliani uccisi e 31 morti palestinesi a Gaza, tra cui donne e bambini ma anche 11 miliziani di jihad islamico e Hamas. Circa 700 razzi sono stati sparati contro le città israeliane, paralizzando praticamente la vita normale in tutto il sud di Israele, oltre 300 i bombardamenti dei caccia israeliani sulle città della Striscia. Eppure nonostante tutta la violenza e tutto il sangue sparso, anche questa battaglia non ha portato nessun cambiamento sul terreno. L’accordo di questo “cessate il fuoco”– mediato da Egitto e Qatar –fornirà nelle prossime ore ad Hamas esattamente ciò che Israele si era impegnato a dare un mese e mezzo fa – du – rante la campagna elettorale – ma che lo Stato ebraico era riluttante a consentire: il denaro dal Qatar, 15-20 milioni di dollari al mese, per pagare i dipendenti di Hamas; l’allargamento della zona di pesca a 6 miglia marine; facilitazioni ai valichi di frontiera per merci e persone. Esattamente ciò che era stato concordato prima delle elezioni dello scorso 9 aprile in cambio di un periodo di “calma” sul confine con Gaza. E allora, si chiedono oggi diversi giornali israeliani in prima pagina, cosa è andato storto? L’intesa raggiunta l’altra notte può calmare la situazione, per giorni o forse settimane. Il primo ministro Benjamin Netanyahu –che è tornato a occuparsi a tempo pieno della formazione del suo nuovo governo – ha ragione nella sua riluttanza a impegnarsi in una guerra nella Striscia di Gaza che richiederebbe un altissimo costo di vite umane e nessuna garanzia di piena vittoria. Il problema resta come sarebbero percepite in Israele concessioni più ampie alla gente di Gaza, senza le quali è davvero difficile raggiungere una situazione stabile con la Striscia. Tra alleati, ex alleati e avversari politici è una pioggia di critiche all’operato del premier in questi mesi. La nuova coalizione di governo che Netanyahu sta poi cercando di formare sarà composta soprattutto da “f alchi” – religiosi, suprematisti ebraici e nazionalisti –certamen – te poco inclini a “cedimenti”agli arabi della Striscia. Il timore di apparire deboli e la decisa svolta a destra nell’elettorato, rendono la possibilità di un nuovo scontro a breve quasi inevitabile. È solo una questione di tempo. Se una deterrenza è stata in qualche modo ripristinata, la situazione a Gaza è così esplosiva che non può non essere affrontata. Hamas deve essere rimpiazzato da una leadership incentrata sui bisogni della sua gente e non ossessivamente sulla distruzione dello Stato di Israele. Questo dovrebbe essere l’obiettivo da raggiungere. N E L L’E S E RC I TO israeliano si sta già iniziando a discutere delle prospettive di una campagna militare più ampia a Gaza nei prossimi mesi. La costante pressione sulla Striscia – che è sull’orlo di una crisi umanitaria mentre le sue strutture civili stanno collassando – porta inevitabilmente verso lo scontro. Una volta formato il nuovo governo Netanyahu, consumate le grigliate del Memorial Day e scelto un nuovo vincitore d el l’Eurovision a Tel Aviv il prossimo 18 maggio, Israele e Hamas potrebbero riprendere lo scontro. Esattamente da do