il Fatto Quotidiano, 7 maggio 2019
Figli di camorristi che si dissociano dai padri
È facile incontrare Pietro Ioia, a Napoli. Basta andare di fronte al carcere di Poggioreale, qualche metro più in là dal luogo in cui venerdì è stata colpita la piccola Noemi, assieme alla nonna seduta in un bar di Piazza Nazionale. La stessa piazza in cui, due giorni fa, si è riunita la rete “Di – sarmiAmo Napoli” pe r manifestare contro l’enne – simo fatto di sangue. Antonio Piccirillo, figlio di un boss, megafono in mano, ha preso e distanze dal padre e lanciato un appello: “D i ss ociatevi da questo schifo e costruitevi il vostro futuro. Lo dico soprattutto ai figli di camorristi: ribellatevi a quel sistema m a l a t o”. Antonio – 23 anni, occhi azzurri e biondo come il padre, Rosario ’o biondo- ha ringraziato, “per la spinta a tirare fuori quello che ho dentro”Pietro Ioia, ex camorrista e narcotrafficante. Ogni mattina, tre giorni alla settimana, Pietro Ioia lo trovi di fronte al carcere, tra il banchetto dove si vendono le borse per le donne che portano il “pacco”, per i loro cari detenuti, e il locale che, per un’ironia tutta napoletana, ha l’insegna “Bar della Libertà”. “Nella mia vita sono partito col piede sbagliato”, dice lui, 60 anni di cui 22 passati in carcere. Oggi Pietro è un’attivista per i diritti di detenuti ed ex detenuti (sua la denuncia delle violenze nel carcere di Poggioreale); un attore (di teatro e di cinema, nel film La paranza dei bambini era il boss che insegnava ai g u aglionecellia tagliare la droga e a gestire una piazza di spaccio); uno scrittore (suo è l’a u t o b i ografico La cella zero: morte e rinascita di un uomo in gabbia, Marotta&Cafiero editore). A dimostrare che “se si è tolto il marchio uno come me, possono farlo tutti”. Come ha conosciuto Antonio Pi cc i r i l l o? Sei mesi fa, fu lui a cercarmi. “Io ho mio padre a Secondigliano”, mi disse. Il padre lo conoscevo negli anni ‘80: era il capozona della Torretta. Antonio mi parlò di un problema: nella sala colloqui, in carcere, dove i detenuti possono incontrare per un’ora alla settimana un familiare, era rotto l’o r o l ogio. A quelle lancette è appesa tutta l’attesa di una settimana per un sorriso, una carezza, un abbraccio. Anche un secondo in più con i tuoi cari aiuta a resistere dentro. Mi colpirono i suoi modi: spesso chi ha un boss come padre si atteggia a figlio di potente. Antonio no. Antonio ha urlato agli altri ragazzi come lui: “D i ss o c i atev i”. Dopo che Noemi è stata colpita, stava come un pazzo. Voleva andare in piazza. Ma non potevo immaginare un discorso così... Solo a Napoli negli ultimi anni sono stati arrestati almeno 17 ragazzi per 30 omicidi: tutti “figli d’ar te” della cam o r ra. Antonio è una mosca bianca. Ma ci sono altri 4-5 ragazzi con cui sono in contatto, pronti a dare una svolta alle loro vite. Non chiediamo di rinnegare i propri padri, ma di dissociarsi, sì. Come aveva fatto tanti anni fa Nunzio Giuliano, che si era dissociato dal fratello Lovegino e dalla famiglia: era diventato un esempio. Questi ragazzi devono avere un input. “Sono partito con il piede s b ag l i a to”, lei ha detto rispetto agli errori che l’hanno portata in carcere. Io all’inizio avevo una piazza di spaccio di hashish da 10 milioni di lire a settimana. Finisco in carcere a 20 anni, una volta fuori partii per la Spagna, e lì conobbi una donna colombiana: mi propose di andare a Pereira per conoscere il suo patrigno, un narcotrafficante della zona. Feci carriera: la prima volta feci entrare 5 chili di cocaina. Avevo denaro, donne. Sarò entrato e uscito 5-6 volte da Poggioreale. Una volta fuori, un po’perché non cambiavo mentalità e un po’ perché non trovavo lavoro, tornavo a sbagliare. La malavita è un ammortizzatore sociale. Era giovane, come questi ragazzi che sparano in una guerriglia permanente... Ero incosciente, colpa anche del luccichio del denaro. È quello che vogliono questi ragazzini: i soldi subito, facili. Cosa l’ha fatta cambiare? In carcere ho fatto un corso da carpentiere. Una volta uscito, sono andato a Modena. Ho lavorato per tre mesi, ma non mi hanno assunto: colpa del certificato penale. Per me fu quello l’input per cambiare vita. E poi la cultura, la cultura per me è stata vita. Mi ha fatto rinascere. È l’unico vero antidoto che abbiamo contro il male. Perché le istituzioni estirpano le radici con i blitz, ma se poi su quella terra non ci si lavora, a livello sociale ed economico, la malapianta rinasce. La vera sicurezza è questa: sapere che hai un’alternativa che ti dà da mangiare. Con la mia associazione di ex detenuti Don, anni fa ci dettero la possibilità, grazie a un progetto della Regione Campania, di fare le guide turistiche a Napoli. Finiti i soldi, il progetto è morto. È stato come se ci avessero detto: “T o rnate a rubare”. Alla manifestazione di domenica eravate in pochi... La gente è stanca. Ma se noi non siamo presenti sui territori con queste manifestazioni, se le istituzioni fanno solo le passerelle in ospedale, come possiamo intercettare i ragazzi come Antonio? Sono riesplose le polemiche sul “modello drogato degli eroi di Gomorra”, ha detto il sindaco di Napoli. Ai miei tempi c’era Il Padrino, ma io non sono stato influenzato da quel film. Con o senza Gomorra, la criminalità ha una forza di attrazione fortissima nei confronti dei ragazzi. E se mancano i modelli positivi non è per una fiction o un libro. © RIPRODUZIONE RIS