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 2019  maggio 06 Lunedì calendario

Emma Dante: «Le donne al rogo se provano desiderio»

Emma Dante, attrice e regista, è nata a Palermo.
«Descriviamola con ironia: Renata è una donna ossessionata dal desiderio. Direi assatanata. Una visionaria, spregiudicata, che finisce nel fuoco dell’Inquisizione. Del resto, la sessualità delle donne è sempre stata considerata oscena. Vietata. Se al posto di Don Giovanni ci fosse stata una Don Giovanna, sarebbe finita nel rogo pure lei». Emma Dante ha incontrato una femmina impegnativa, Renata, la protagonista del mondo cupo e sconvolto dell’Angelo di fuoco, l’opera “proibita” che Prokofiev non vide mai rappresentata, in scena all’Opera diRomadal23maggio (repliche fino al primo giugno). Dirige l’orchestra il maestro Alejo Pérez, cantano Leigh Melrose, Evgenia Muraveva, Sergey Radchenko, Maxime Paster, Mairam Sokolova e GoranJuric.
Dopo una travagliata stesura della partitura, ispirata al romanzo “blasfemo” di Brjusov, il capolavoro andò in scena a trent’anni dal suo completamento e a due anni dalla morte del compositore. Ora Renata, che ha trascorso la sua breve vita tra stregonerie e conventi, dimenandosi nel fervore allucinato della musica, cerca rifugio nella creatività della regista palermitana. Una nuova donna per il suo repertorio molto femminile.
«Solo donne. Infernale. Non so Neanche se le cerco. Mi arrivano e mi prendono. La mia prima opera è stata Carmen, alla Scala. Poi Macbeth a Palermo, dove tutto ruota intorno alla Lady. La muette de Portici al Petruzzelli. Al cinema, uguale. Ho iniziato con Via Castellana Bandiera, duello al femminile nei vicoli di Palermo, e ora Le sorelle Macaluso. Qui a Roma, l’Angelo di Fuoco e subito dopo la ripresa della Cenerentola di Rossini. Ma aldilà delle mie scelte, vorrei che almeno nell’arte non si parlasse più di uomini. O di donne. Liberiamoci dai generi e concentriamoci sulle persone».
Renata, Cenerentola: come si fa a passare dai conflitti novecenteschi tra superstizione e razionalità a una favola?
«Persone diverse. Anche se Cenerentola i suoi guai in famiglia li ha. Nel mio spettacolo viene massacrata di calci dal patrigno, le spose rivali sono armate fino ai denti. Proprio edulcorata, la mia lettura non è. Renata, invece, fa tutto da sola. Persino la regia. E alle sue visioni, ho contrapposto le mie».
Le evochiamo?
«Per me è una martire. Posseduta dal Bene e dal Male, vive nelle catacombe, morirà come una martire e non come una strega. Trafitta dalle spade».
E l’Angelo?
«Ha due anime e in alcuni momenti due interpreti: un ballerino di break dance e uno di capoeira. C’è molta psicanalisi in quest’opera, ragione contro follia, superstizione e scienza. Quando Agrippa fa i suoi esperimenti tra magia e ricerca, il cadavere sul tavolo anatomico diventa Cristo».
Spiritualità e carnalità, che cosa racconta?
«Renata è una giovane che fin da bambina vive affiancata da un angelo. Quando se ne innamora, lei diventa peccatrice e l’angelo una colonna di fuoco. Una macchia anche l’incontro con Ruprecht. E poi Glock. Insomma, quando si libera dagli uomini viene posseduta dal Demonio e definitivamente condannata. Se non è martire lei?».
Salutiamo le donne del passato: quelle di oggi, come stanno?
«Ci dobbiamo pacificare. Le cose non cambiano così. Sicuramente non grazie alle quote rosa. Io non voglio essere ospitata in un “Festival al femminile”. Mi mortifica. Bisogna mettere a fuoco il problema. Che secondo me sta nella mediocrità. Siamo pieni di uomini mediocri. Le donne, invece, per emergere devono essere eccellenti. Ce ne sono fortunatamente. Ora però bisogna rivendicare il diritto alla normalità».
Progetti?
«Misericordia! Quest’Angelo è un delirio. Poi Cenerentola, sempre al Costanzi, dall’8 giugno. Il film da finire. Al festival di Spoleto a luglio debutto con Esodo: Edipo in viaggio con i suoi fantasmi. E a gennaio, Misericordia, al Piccolo: tre prostitute che crescono un bambino autistico. Misericordia è una parola che amo».
Una regista richiesta nei teatri del mondo: che cosa si porta dietro della sua Sicilia?
«Il nostro modo di parlare, comunicare. Il gesto, il nostro, se lo allunghi, se lo porti fino in fondo, diventa teatro».