la Repubblica, 6 maggio 2019
La barca che sarà esposta alla Biennale
Un relitto si aggira per l’Europa. È partito venerdì sera dal porto commerciale di Augusta. Nel momento in cui state leggendo dovrebbe trovarsi in alto Adriatico. Entro sera approderà a Marghera. Verrà esposto alla Biennale di Venezia. Un giorno, forse, arriverà fino a Bruxelles.
Pesa cinquanta tonnellate. Ha la fiancata squarciata. L’elica è collegata da una precaria fasciatura di corda. Non ha un nome, recava soltanto una benedicente iscrizione in arabo. Ora si chiama Barca Nostra. È diventato un progetto artistico. Un simbolo universale. Non abbiamo condiviso il viaggio, ma siamo partecipi del naufragio. Alla coscienza di ciascuno aggiungere o meno la parola “responsabili”.
Lo trascina una chiatta di nome Angelo B.. Non c’erano angeli il 18 aprile 2015 quando andò a fondo. Nato come peschereccio poteva trasportare un equipaggio inferiore alle venti persone. Aveva a bordo tra settecento e millecento migranti, cinque per metro quadrato. I superstiti: ventotto.
La sineddoche che riaccende la memoria collettiva è il corpo del bambino con la pagella scolastica cucita addosso. È stato recuperato dalla volontà, rimesso in mare da un’idea che lo sospinge, contro il maestrale e le umane intemperie.
Cristoph Büchel, artista svizzero residente in Islanda, lo stesso che quattro anni fa alla Biennale sollevò polemiche per aver trasformato una chiesa in moschea, ha avuto l’idea di utilizzarlo come “cavallo di Troia” seppure all’inverso, un’irruzione di sconfitti nella sorvegliata fortezza in cui viviamo.
La curatrice del progetto, Maria Chiara di Trapani, ha affrontato le onde della burocrazia per rimetterlo in viaggio. E Barca Nostra va, in questa barella sul mare, verso il più inatteso dei destini.
La sua fine è nota. La notte del 10 aprile del 2015 il peschereccio, di nazionalità eritrea, si trova in acque internazionali, a 96 chilometri dalla costa libica e 197 dall’isola di Lampedusa. Alto 23 metri, è stato farcito di carne umana a ogni livello: stiva, sala macchine, ponte. Non regge il carico. È fallato dalla partenza.
Quella corda intorno all’elica è la prova che chi l’ha messo in acqua sapeva e ha cercato con quell’espediente di rinviare l’inevitabile al mare aperto, senza lasciare traccia. La richiesta di soccorso viene girata a un mercantile portoghese che si avvicina.
L’affondamento è provocato dall’onda generata dalla sua manovra o dallo spostamento dei disperati sullo stesso lato. I corpi recuperati sono un numero imprecisato.
L’imbarcazione scende e si deposita a 370 metri dalla superficie, custodendo i corpi per oltre un anno. È il governo Renzi a disporne il recupero, nel giugno del 2016, investendo oltre nove milioni di euro.
Viene trasportata nella base Nato di Melilli, vicino ad Augusta, in Sicilia. Un colpo di gru apre uno squarcio per fare uscire i corpi ridotti a poltiglia.
Chi c’era ricorda tutta quella carne come mollica di pane fradicia. Le membra, quando distinguibili, in posizioni impossibili. Nell’aria un odore pungente che cancella perfino quello dell’inquinamento prodotto dalle vicine fabbriche. Sacchi e ammoniaca per far sparire tutto. Restano la memoria e il relitto senza nome, appoggiato su una struttura di ferro. Protetto, infine, dall’invalicabilità del confine militare. Avvolto da una coltre di silenzio. Chi l’avvicina lo trova, a seconda dello sguardo, fragile o maestoso. Comunque irreale. Nascono progetti per un ultimo capitolo della sua vita. E muoiono. Si arenano le proposte (di Matteo Renzi) di portarla in piazza Duomo a Milano, (del comune di Milano) di metterla al centro di un museo a Città Studi, (di una petizione di rifugiati) di condurla in processione a Bruxelles.
A Palermo per un altra iniziativa artistica, Cristoph Büchel ha l’idea di Barca Nostra, di Venezia, i cui primi insediamenti furono opera di rifugiati dalle invasioni barbariche, dell’Arsenale, da cui si partiva per combattere nel Mediterraneo. Arriva l’invito ufficiale. Comincia l’odissea burocratica durata otto mesi. Per legge un relitto, che è di proprietà dello Stato e dato in custodia alla Difesa, dovrebbe essere smaltito come rifiuto speciale. Questo cerca una diversa rotta. Trova correnti favorevoli e venti contrari, facilitatori e frenatori.
Uno dei primi e decisivi documenti viene firmato dall’assessore ai Beni Culurali della regione Sicilia, Sebastiano Tusa. È il suo ultimo atto prima di morire precipitando in volo per Nairobi il 10 marzo scorso.
Non prima di aver lasciato precise istruzioni. Le assecondano l’impegno del sindaco di Augusta, Maria Concetta Di Pietro, di comprensivi funzionari dei minsiteri e del comitato trasversale intitolato al 18 aprile 2015. La firma decisiva la mette il presidente del consiglio Giuseppe Conte, per coincidenza, il 18 aprile 2019. Per un anno il relitto è concesso all’artista Cristoph Büchel. Venerdì sera l’ultimo respiro trattenuto, un documento mancante per la dogana, infine prodotto, che libera da franchigia il carico, attribuendogli, com’era in principio per chi mise in mare il peschereccio senza nome: valore zero.
La sua posizione in laguna è stata modificata rispetto alle iniziali intenzioni. Starà fra le gru, a venti metri da un bar. Chiacchiericci, luci al neon. Forse infelice. Forse più efficace. È un impatto con la quotidianità, la sperona. Lo scopo del progetto artistico non si esaurisce con il posizionamento, vuole l’interazione, la reazione: compassione, indifferenza, ostilità. Uscendo da un corridoio i visitatori vedranno per prima cosa lo squarcio. Qualcuno lo sentirà.