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 2019  maggio 03 Venerdì calendario

Pensione anche per i cani militari

C’è una questione a quattro zampe che sta tenendo acceso il dibattito sui blog e le riviste online delle forze armate: riguarda i cani con le stellette e il loro futuro dopo gli otto anni di onorato servizio prestati a fianco dei militari, molto spesso in territori di guerra. «Dignità dopo la pensione», chiede chi ha avuto a che fare con questi pelosi particolarmente coraggiosi e preparati. Anche perché – specifica qualcuno che ha prestato servizio con loro in Afghanistan – «per noi sono colleghi a tutti gli effetti». E allora, non meraviglia se la problematica sollevata dalla rappresentanza militare del Co.I.R. del Comando Logistico, di bocca in bocca, sia arrivata all’attenzione del generale di Corpo d’armata Francesco Paolo Figliuolo, al quale è stato chiesto di farsi promotore del caso affinché si riesca a trovare una soluzione.
Il problema non è l’abbandono. Questi cani vengono praticamente sempre adottati da chi li ha addestrati e avuti al fianco negli anni di servizio. Ma dal momento in cui lasciano l’attività, perdono ogni assistenza che, invece, resta a carico delle persone con cui continueranno a vivere. «Sono servitori dello Stato – scrivono dal Consiglio intermedio di rappresentanza – ma una volta che si è esaurito il loro ciclo lavorativo restano in stato di abbandono. Bisogna però ricordare che a esaurirsi è il loro lavoro, non la loro esistenza». Il tono della lettera pubblicata su tutte le riviste del settore sottolinea anche, con una vena polemica, che «fino a quando gli amici a quattro zampe fanno gioco per essere esibiti come simbolo di eccellenza, dedizione al servizio, perfetto esempio di come il cane abbia le stesse, se non superiori, capacità intellettive dell’uomo: tutto bene. Ma è quando si spengono i riflettori, quando finiscono in un oblio umiliante, stridente al cospetto di un’attività gloriosa, è in quel momento che dovrebbero accendersi su di loro le luci della ribalta».

IL CONTRIBUTO
Insomma, un tono inequivocabile, di chi nutre un’autentica passione per i cani. Soprattutto per questi cani, che non sono proprio come gli altri. Il divano di casa lo hanno visto poco e niente durante l’attività lavorativa. Hanno salvato vite, individuato droga ed esplosivi. E quindi, le richieste successive sono: «Ce la fa il conduttore ad affrontare le spese veterinarie per assicurare una vita dignitosa al suo compagno di lavoro e lotta nei teatri di guerra? O deve fare i salti mortali, e magari togliere qualcosa alla famiglia per darla a un altro membro essenziale della sua vita da cui il suo stesso nucleo familiare ed egli stesso non possono prescindere?». Fatte le debite distinzioni, il tema c’è. Tanto che la Rappresentanza militare ha sollevato il caso un paio di mesi fa, anche davanti al ministro della Difesa Elisabetta Trenta, durante un meeting nel quale sono stati passati in rassegna i temi centrali per il settore, e tra questi la situazione dei cani con le stellette e il loro destino dopo il pensionamento. La risposta e l’impegno sono arrivati: «È stata portata alla mia attenzione la questione dei cani che operano nei nostri team di ricerca di armi ed esplosivi – ha confermato il ministro – Ho già chiesto all’Esercito un approfondimento sui temi sollevati per valutare i margini di intervento».

LA DELIBERA
Il Co.I.R. la soluzione ce l’avrebbe già pronta e l’ha illustrata attraverso una delibera al generale Figliuolo. Si tratterebbe di «effettuare una variante normativa» all’articolo 534 del Decreto del presidente della Repubblica n.90 del 15 marzo 2010, «Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, a norma dell’articolo 14 della legge 28 novembre 2005 n. 246». Qualcosa che potrebbe «garantire – spiegano nel documento – ai cani ceduti al personale militare l’assistenza veterinaria a carico del servizio veterinario militare», e inoltre, di voler «predisporre una proposta normativa al fine di istituire un’assicurazione sulla vita dell’animale utile a sopperire eventuali incidenti, anche mortali, cui l’animale potrebbe incorrere», interessando il Co.Ce.R. Esercito al fine di «valutare la possibilità di farsi promotore, in fase di stesura dei decreti correttivi al riordino dei ruoli, di una modifica normativa».
La speranza ora è che la richiesta abbia seguito, e non succeda come negli Usa, dove i cani anti-bomba impiegati in Afghanistan dall’esercito statunitense, sono stati – per ammissione dello stesso Pentagono – abbandonati per anni nelle gabbie, senza la riassegnazione a una famiglia. Il ringraziamento per la devozione e l’impegno manifestati.