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 2019  maggio 03 Venerdì calendario

Ritratto di Jonathan Franzen

Fu Jonathan Franzen a convincere David Foster Wallace a unirsi agli scrittori invitati a Capri per «Le Conversazioni». La loro amicizia era autentica quanto la loro rivalità, sentita più da Jonathan, devo dire: non che David ne fosse esente, ma la viveva in maniera più rilassata, consapevole com’era di avere già raggiunto lo status di autore di culto. Non si trattava di una questione di qualità, in quella eccellevano entrambi, ma della capacità naturale che aveva David di essere in sintonia con il mondo più giovane e di tendenza. 
Solo recentemente Jonathan è riuscito a trasformare la difficoltà a relazionarsi con gli altri in un elemento centrale della sua narrativa, giungendo a rivelare le proprie asprezze con una sincerità crudele e ammirevole: i saggi hanno titoli sintomatici come Zona disagio e Come stare soli. Tutto ciò può sembrare contrastante con un altro elemento centrale della sua personalità: la capacità di esprimere un affetto generoso e sincero, che nei confronti di David diventava condivisione e protezione. Jonathan conosceva bene la tragica profondità dei tormenti dell’amico, e lo convinse a venire a Capri per tentare di farlo uscire dalla voragine di depressione nella quale era sprofondato: in quei giorni la rivalità lasciò quasi sempre il passo alla volontà di fargli sentire che se si è felici un momento lo si può essere sempre. 
Ho detto «quasi» perché non posso dimenticare una gara a «nomi di città, fiori e animali» nella quale lottava come fosse lo scontro della vita, e una partita a pallanuoto giocata in piscina con un’infradito al posto del pallone, dove non riusciva ad accettare che la sua squadra perdesse. Chi lo conosce riesce ad affezionarsi anche a questi elementi infantili di una personalità seria e rigorosa, perché si intuisce qualcosa di indifeso e profondamente innocente. La sua forza poetica, supportata da uno straordinario talento narrativo, nasce proprio da questo contrasto, e ti sorprende sempre le rare volte in cui lo vedi abbassare le difese e concedersi il lusso del gioco: una sera fece per tutto il gruppo, del quale oltre a David facevano parte anche Zadie Smith, Nathan Englander e Jeffrey Eugenides, un’esilarante imitazione di una nota editor italiana, concedendo perfino i bis. E volle vedere con tutti noi le partite dei Mondiali di calcio, divertendosi soprattutto per le nostre reazioni selvagge. 
In quei giorni fu pieno di attenzioni per l’amico tormentato, a volte in maniera commovente, e non se la prese per lo sconcerto con cui David lo guardò quando gli chiese di andare con lui nel Parco nazionale d’Abruzzo a vedere non so quale specie di uccelli. La passione di Jonathan per il birdwatching era nota a tutti, ma nessuno del gruppo fu sfiorato lontanamente dall’idea di lasciare l’isola per fare quella gita. Neanche l’adorabile compagna Cathy volle seguirlo, e quando tentò di insistere fu David a farsi portavoce del sentimento comune: «Ma siamo a Capri, Jonathan, come ti viene in mente?». Partì da solo, felice di vedere i suoi uccelli, e quando tornò andò subito dall’amico a raccontargli la bellezza del parco. 
In seguito il rapporto tra i due fu sigillato dal dolore: l’estate successiva David ebbe una crisi fortissima, che lo portò sull’orlo del suicidio, e Jonathan si trasferì a vivere da lui, per tirarlo ancora una volta fuori da quel baratro. Rimase a casa sua varie settimane, dimostrando nei fatti cosa significa un’amicizia autentica. Non ci riuscì l’anno successivo, quando David si tolse la vita, e ancora adesso senti nella sua voce il rimpianto per non aver fatto abbastanza. 
Il suo rigore va di pari passo con l’onestà intellettuale e una sincerità a volte brutale, che smorza appena con l’ironia. Una volta lo invitai a discutere in pubblico insieme con Paul Schrader dei film che li avevano maggiormente segnati: a differenza del regista-sceneggiatore, che fece scelte da autentico cinephile, Jonathan decise di essere assolutamente sincero e raccontò quanto lo avesse turbato Brivido caldo. Ovviamente la competenza con cui Schrader spiegò Diario di un ladro suscitò una grande ammirazione, ma, dopo un momento di spiazzamento, l’onestà con cui lui parlava dei suoi turbamenti erotici finì per conquistare il pubblico. 
Jonathan ama sinceramente il cinema, e non appartiene alla vasta categoria di scrittori che lo considera una forma d’arte inferiore: ha gusti eclettici, che vanno da Niente da nascondere di Michael Haneke al Padrino, che definisce «un capolavoro assoluto». Una sera cenammo insieme con Terrence Malick, ma la timidezza di entrambi trasformò la grande ammirazione reciproca in silenzi pieni di sorrisi e discorsi generici su New York e il cibo. Ma poi, uscendo, ringraziò Malick perché «tra i pochissimi registi che non si esprime in prosa ma in versi», e il regista espresse la propria gratitudine per l’«onestà nuda» dei suoi libri. 
Quando viveva più stabilmente a New York avevamo l’abitudine di giocare a tennis a Central Park: eravamo, e siamo, decisamente scarsi, ma anche sul campo da gioco svelava tutte le sue caratteristiche, a cominciare dalla grandissima competitività, l’ironia inaspettata e la severità in primo luogo con sé stesso. Ovviamente a fine partita mi costringeva ad accompagnarlo a vedere gli uccelli del parco, a partire dai falchi che hanno nidificato in un palazzo della Quinta Avenue, sino a molte specie rare: «Siamo nel centro della metropoli, non è entusiasmante?».
Non ha mai avuti paura di farsi nemici, e a volte dà l’impressione di cercarli: furono in molti a infuriarsi quando denunciò la fragilità della letteratura americana in un saggio pubblicato da Harper’s che aveva il titolo shakespeariano di P
erchance to dream. Quello che indispettì non fu tanto la parte critica, meticolosa e spietata, quanto quella costruttiva, che sembrava spianare la strada alle ambizioni del romanzo che stava preparando. Il tempo gli diede ragione: Le correzioni conquistò il mondo letterario, anche se riuscì a scatenare una violenta polemica per la decisione di non accettare il bollino del Book Club di Oprah Winfrey. Nonostante ciò il libro vendette un milione e mezzo di copie, e il successivo Libertà conquistò la copertina di Time con il titolo «Il grande scrittore americano».
Naturalmente questo riconoscimento aumentò anche il numero dei nemici, e da allora non c’è stata dichiarazione pubblica che non sia stata accolta da attacchi, specie quando ha denunciato i pericoli culturali di Twitter o «l’autodistruzione dell’America» spiegando che «tutte le cose vere, autentiche, oneste, stanno scomparendo». Se gli chiedi se è una persona felice rifiuta di rispondere, ma la sua capacità di cercare sempre l’ironia smentisce ogni presa di posizione apocalittica. 
Da qualche anno ha deciso di abitare prevalentemente a Santa Cruz, nel Nord della California, dove vive in stato semi-monacale, concentrato unicamente nella scrittura del suo ultimo romanzo, così almeno ha dichiarato. Una volta mi ha consigliato di disattivare Internet e usare il computer come una macchina da scrivere: «Conosco le mie fragilità: se so che esiste la possibilità di navigare prima o poi lo faccio». Scoprii poi che aveva dato lo stesso consiglio a tutti gli amici scrittori, ma che nessuno lo aveva seguito.