il Giornale, 5 maggio 2019
I danni dei gas emessi dalle mucche
Inquinano come una macchina ma non sono meccaniche, non hanno bisogno di benzina ma vivono d’erba. Sono le mucche e i bovini in genere.
Secondo la Fao, il bestiame che comprende anche maiali, pecore, capre e altri animali è responsabile per circa il 14,5 per cento delle emissioni globali di gas serra. E i bovini contribuiscono per la gran parte, perché emettono dai 100 ai 140 chilogrammi all’anno di metano. Che per la cronaca è gas perniciosissimo, più dell’anidride carbonica: ha un potenziale inquinante rispetto all’effetto serra di 25 volte superiore e una capacità nel trattenere il calore di 30 volte maggiore, anche se è molto meno presente nell’atmosfera. Se pensiamo che al mondo ci sono da 1,3 a 1,5 milioni di bovini, la situazione si fa per così dire irrespirabile.
Non tutti però sono d’accordo, o allarmati. La polemiche tra «flatulentisti» e no-flat(ulenza) dietro la quale si celano due diverse concezioni della società, dell’ambiente e dello stato di salute del Pianeta oltre che dei provvedimenti da prendere a proposito è scoppiata negli Stati Uniti in occasione della presentazione del «Green New Deal» proposto, tra gli altri, dall’astro nascente dei democratici, la senatrice Alexandria Ocasio-Cortez. Un piano per ripensare l’economia americana ponendo l’ambiente al centro e raggiungere in dieci anni il saldo netto di zero emissioni di gas a effetto serra. E non l’eliminazione dei gas tout court perché, come spiegherebbe un abstract della proposta, «non siamo certi di potere eliminare la flatulenza delle mucche e gli aeroplani in così poco tempo».
I lazzi dei repubblicani e gli sfottò pare non si siano fatti attendere, tanto che Ocasio-Cortez ha chiarito come il piano sia volto a finanziare energie pulite e lavorare con gli agricoltori e allevatori per ridurre le emissioni il più possibile, anche grazie alla tecnologia, e non eliminare gli allevamenti e fare diventare tutti vegani, mentre la senatrice democratica Debbie Stabenow si è sentita in dovere di puntualizzare che in ogni caso no, le mucche in realtà non scoreggiano, ruttano.
E in effetti dal 90 al 95 per cento del metano prodotto dalle simpatiche quadrupedi viene emesso, appunto, dalla bocca perché la formazione del gas, che è un sottoprodotto della digestione, avviene nello stomaco e non nell’intestino.
Il tema non è nuovo: in Nuova Zelanda nel 2003 il governo pensò di imporre una «tassa sulla flatulenza» agli allevatori, ma accantonò l’idea a seguito delle proteste.
Comunque sia, le mucche possono essere considerate campionesse di emissioni. E gli altri animali? Il tema è così «caldo» che due studiosi, Dani Rabaiotti e Nick Caruso, sulle animalesche flatulenze hanno scritto un libro: Does it fart? (Scoreggia?). Dal quale si scopre che praticamente tutti i mammiferi sono affetti da aerofagia. Solitamente causata da microbi che durante la digestione scompongono il cibo producendo anidride carbonica o metano, i gas serra che ci tolgono il sonno. Qualunque sia la dieta, quella vegetariana dei cavalli o delle zebre, che emettono peti quando si spaventano, o quella a base di pesce delle foche. Epiche paiono essere le flatulenze delle balene.
C’è anche chi emette più innocua aria, con uno schiocco a scopo intimidatorio come il serpente corallo occidentale. Le aringhe invece usano i peti per comunicare e rimanere in banco.
I bradipi, da par loro, si astengono. La loro digestione è talmente lenta che i gas tenuti nell’intestino per settimane sarebbero dannosi, e quindi vengono disciolti nel sangue. I lamantini usano la flatulenza per spostarsi dalla superficie al fondo del mare mentre le larve di Crisopa, un insetto, usano i peti per uccidere: contengono infatti una sostanza chimica che stordisce le termiti, che poi mangiano. Non proprio un pranzetto gourmet, ma almeno in questo caso non c’è gas serra e l’ambiente è salvo.