Robinson, 5 maggio 2019
Le massime di Massimiliano Allegri
Anno Domini 2009: Balzaretti avanza potente sulla fascia sinistra, evita un avversario e crossa dalla tre quarti. La palla arriva a Marcelo Zalayeta, che la stoppa con un braccio e scarica sulla traversa. Il pallone rimbalza in campo. Non sulla linea: in campo. Guardalinee e arbitro danno il gol.
È solo uno dei millemila episodi che nella mia modesta carriera di tifoso di una squadra anche più modesta hanno incrociato i destini della Juventus. I cui dirigenti, ai tempi di Calciopoli, auspicarono che la Fiorentina dovesse salvarsi dalla retrocessione e il Bologna no. Come curiosamente accadde.
Ciononostante non ho mai provato una vera antipatia per quei colori, perché odio i conformismi. E dunque mi pare così banale, che il più forte sia il più amato, ma anche il più odiato dall’altra metà del mondo, che mi limito ai singoli frammenti. Mi incazzo, nel caso, una topica alla volta. E non riesco a vedere nel potere juventino, nella malagrazia con cui lo esercita, altro che uno specchio manco deformante di quel che siamo. Un soccorso verso il più forte (no, non lo cito Flaiano: è più inflazionato di Oscar Wilde) che in questo controverso Paese vale per chiunque possa vantare una posizione dominante. Nell’approcciarmi al libro di Massimiliano Allegri, dunque, ho evitato che mi facesse velo la casacca che indossa, l’autografo rifiutato al bimbo che fa il giro del web, l’autografo, non il bimbo, la tentazione del facile sberleffo a chi trionfa con imbarazzante continuità tra le frontiere amiche e si fa prendere a pallate da alcuni esagitati olandesi appena lasciate le italiche lande.
In primis, invece, mi sono concentrato sulla firma del tomo: Massimiliano Allegri. Che rappresenta una gioiosa eccezione. In casi come questi, di solito, il libro è confezionato da un giornalista che appare in caratteri braille in un angolo poco illuminato della copertina alla dicitura “scritto con”. Normalmente costui rincorre la stella sportiva tra un after dinner e una premiazione, ne registra alcuni colpi di tosse e li guarnisce di sintassi. Cosicché l’autore ufficiale riesce nell’impresa di pubblicare un proprio volume senza averne mai letto uno. Neppure quello che firma. Il caso di Andre Agassi, di Open, dell’elegante sartoria che J. R. Moheringer applicò a una storia di per sé clamorosa, fa eccezione. Agassi scelse il proprio editor dopo averne delibato le opere precedenti, sentì l’esigenza di dare un senso narrativo, una veste espressiva, ai propri ricordi, che ne fecero a lungo un trionfatore di vendite e critiche.
Allegri no. Allegri ha fatto tutto da solo. Si è messo lì, tra un allenamento e l’altro, per confezionare una propria filosofia di vita. Ha persino cercato negli archivi ciò che gli altri dicono di lui e ne ha fatto piccole citazioni, mai banali, intitolate sobriamente “Dicono di me”. Sir Alex Ferguson, leggenda del pallone inglese, scrive ad esempio di lui che è un tecnico straordinario e che ha reso solida la Juve. Cose così. Ma c’è di più. La scansione delle 32 regole di Allegri (35 sul campo) risulta una piacevole passeggiata, con considerevoli punte di lirismo. «Fa’ l’opposto dei tuoi avversari» è la mia pillola preferita, perché configura l’ipotesi di giocare il pallone con le mani. Ma sono eccellenti anche le derive protodannunziane di «La semplicità è la cosa più difficile», in cui Allegri si raccomanda di tenere lontane le persone negative (gli uomini, si sa, non cambiano), o di «Il momento per vincere alla roulette è breve», e l’esilarante pletora di “Dicono di me” che va dal team manager della Juve («La più grande dote di Allegri è l’intelligenza») al responsabile sanitario («Un uomo ordinato e preciso») al responsabile dell’ufficio stampa («Autorevole, umano, ironico»). A sorpresa, nessuno dei suoi collaboratori gli riconosce la benché minima pecca. Ci sono anche elogi del cazzeggio (e di “Amici miei”, di Nino Frassica), rivelazioni spiazzanti («Per vincere il campionato dobbiamo subire meno gol di tutti»), un elogio dell’aziendalismo, l’invito a non autocompiacersi – deve aver riletto il libro – massime alla Osho («Per vincere, gioca la partita nella tua mente») e mille altri spunti filosofici che potrebbero capziosamente riassumersi in «Allena la squadra più forte di tutte, magari vinci». Chi ama Massimiliano Allegri come un guru, chi non si aspetti la benché minima rivelazione, chi apprezzi espressioni da Borgorosso come «Devi sapere cosa ogni cavallo può darti», amerà questo libro. Per gli altri: beh, contentatevi. A fine campionato le letture si compensano.