Robinson, 5 maggio 2019
In politica attenti alle metafore
Ritorna il padre del frame e del framing, della cornice e dell’inquadratura di ogni discorso politico. Non pensare all’elefante di George Lakoff, linguista e cognitivista americano, in cattedra a Berkeley, uscì la prima volta nel 2004 e diventò un bestseller negli Stati Uniti e in tutto il mondo. Era il punto più basso – almeno così sembrava, prima di Trump – della depressione dei Democrats. George W. Bush riusciva a giustificare la guerra in Iraq con una provetta colorata e qualche documento falso e poi anche a spacciare, vestito da top gun, per una “missione compiuta” quello che era l’inizio di una serie di disastri. Rivinse così nel 2006, mentre Fox News presentava i paesi europei come delle “marmottine” paurose della guerra e John Kerry, troppo ricco, elegante e coltivato, come uno che «sembrava francese», parola che suonava come un insulto, rispetto a uno come Bush, schietto texano. Lakoff impiegava i dispositivi delle scienze cognitive – in un modo che non ha mai convinto del tutto tanti suoi colleghi, ma certo con qualche efficacia sul campo – per spiegare come neuroni e sinapsi cerebrali si attivano intorno alle metafore provocando emozioni e passioni morali e mostrando come i Repubblicani fossero maestri di lunga data nel maneggiare il framing. Una volta che sei “inquadrato” come un francese chic, non serve che tu lo neghi, perché la negazione risveglia comunque la stessa immagine, attiva le stesse emozioni anche se le vuoi rifiutare ed è prigioniera del frame. Quando ti dicono di «non pensare all’elefante», tu comunque attivi nel cervello la poderosa immagine dell’animale con tanto di proboscide, così come nel celebre errore di Nixon, quando andò in televisione a dire « I’m not a crook » (Non sono un imbroglione). La frittata era fatta.
Gli universi morali dei progressisti e dei conservatori si aggregano secondo Lakoff nei due opposti modelli del «padre severo» a destra e della «madre premurosa» a sinistra. Hanno entrambi una forza morale. E un tema insistente su cui batte Lakoff è che i Democratici sottovalutano l’effettiva energia che avvolge l’ispirazione del padre severo, quella per cui non devi aiutare il disoccupato con il sussidio perché questo lo corrompe e devi impedire che l’America abbia uno stato sociale come gli europei, perché il big government è profondamente immorale.
Il framing agisce in profondità e la semina repubblicana è stata così lunga che alla fine i democratici sono finiti vittime del linguaggio degli avversari. Il successo di queste idee è stato grande in quegli anni, poi è stato un po’ oscurato e messo in dubbio dalla campagna elettorale di Obama. Questa, nel 2008, dimostrava, da una parte, che ai trucchi di Bush e del suo geniale e malefico spin doctor Karl Rove, si potevano opporre idee migliori e spin doctor più bravi, il che sembrava vanificare le teorie di Lakoff, ma dall’altra la vittoria di Obama era pur costruita su un frame alternativo, basato sulla speranza, e il primo presidente nero era stato molto attento a non commettere l’errore della «negazione dell’elefante». Il libro è ritornato, con i dovuti rimaneggiamenti nel 2014, e ora in Italia, aggiornato al dopo Trump. E qui la prova dell’elefante diventa più difficile, perché distogliere neuroni e sinapsi dai tweet di questo presidente è impresa quasi impossibile. E per di più la rimonta del framing conservatore è più aggressiva che in passato e attizza un vizio più forte tra i progressisti. Questi sono, secondo Lakoff, “biconcettuali” come i conservatori (c’è un po’ di madre premurosa nei padri severi, e viceversa) ma il dosaggio è in loro più sfumato e complicato, per cui finiscono per dividersi molto più degli altri. Tanto che oggi la decisione sull’impeachment sì o no produce una frattura lancinante. Si vede, insomma, solo l’elefante.