la Repubblica, 5 maggio 2019
Le proteste contro gli zoo
La sua storia è lunga 127 anni e adesso per il suo zoo il Comune di Barcellona vuole la medaglia di primo bioparco davvero dalla parte degli animali. L’amministrazione della città catalana ha accolto la proposta di un’associazione animalista sostenuta da 17mila firme e ha approvato un’ordinanza che vieta la riproduzione di specie che non possono essere reinserite in natura. Di fatto, la politica vieta così una delle principali attività della maggior parte degli zoo europei, cioè la conservazione di animali. Non stupisce che la decisione di Barcellona sia osteggiata dai 150 lavoratori dello zoo, preoccupati per chiusura della struttura e dalla Eaza, l’Associazione europea degli zoo e degli acquari (di cui il bioparco di Barcellona fa parte), che scrive: «La decisione è dissennata sia dal punto di vista scientifico, sia etico.
Chi l’ha proposta non ha la minima conoscenza di quale siano ruoli e attività dello zoo». L’Eaza rimarca la trasformazione difficile e costosa cui sono andati incontro gli zoo, che si sono voluti e dovuti adeguare alle norme della Ue e alla nuova sensibilità dei visitatori.
Strutture storiche come quella di Vienna, la più antica del mondo con i suoi 267 anni e tra le più visitate in Europa, che ha garantito 1700 metri quadrati all’area degli orsi polari. Lo zoo di Praga ha festeggiato nel 2016 il record di quasi un milione e mezzo di visitatori in un anno, grazie all’ammodernamento finanziato anche dal comune. Lo zoo di Basilea esibisce con orgoglio le 2000 classi di studenti che nel 2018 lo hanno visitato nell’ambito di progetti scolastici di ricerca. Lo zoo di Berlino, con i video dell’orso Knut ha insegnato a tutti l’importanza del marketing, ma alla base c’è per tutti un investimento in recinti meno angusti per rassicurare i visitatori.E anche così, i proventi non vengono soltanto dai biglietti. Per mantenersi gli zoo puntano su progetti di ricerca finanziati spesso da privati, enti scientifici o sulla raccolta fondi. In Gran Bretagna, dove esiste una lunga tradizione di membership, cioè affiliazione tramite quote annuali, questo sistema consente allo zoo di Jersey di portare avanti il progetto “arca”, per avere nella struttura, entro il 2020, il 90 percento di specie ospitate a scopo di conservazione. Lo zoo di Barcellona, così come quello di Jersey e tutti gli aderenti alla Eaza, per statuto devono investire nella protezione di ecosistemi a rischio, perché destinare fondi ai parchi naturali all’estero, o comprare cellulari per i guardia-parco in Uganda come ha fatto la Eaza, serve appunto anche ai progetti di reinserimento degli animali, che però sono assai rari.Infatti pensare che un orango nato in cattività possa facilmente tornare libero nella foresta denota scarse conoscenze etologiche.
Spiega Francesco Petretti, presidente del Bioparco di Roma e biologo della conservazione: «Per alcune specie è assai difficile, in pratica i cuccioli dovrebbero non entrare mai in contatto con gli umani, ma a Roma stiamo portando avanti dei reinserimenti di successo con alcune rare specie di anfibi, come le salamandre». Quanto all’iniziativa di Barcellona Petretti osserva: «Si dovrebbe considerare che il benessere animale è prioritario e perché sia assicurato la riproduzione è essenziale. In più, gli zoo europei lavorano in stretta collaborazione, non consideriamo gli animali “nostri”, sono membri di un patrimonio da salvaguardare. Molte specie vanno incontro a sicura estinzione, la rete degli zoo europei garantisce la salvaguardia della diversità genetica per permettere un reale reinserimento in natura nel futuro».
Chiara Grasso, specializzata in etologia etica e presidente di Eticoscienza, aggiunge: «L’iniziativa del comune di Barcellona è un’azione di pancia e populista, priva di fondamenti scientifici. Gli zoo, soprattutto quelli Eaza, si occupano non solo della conservazione, ma anche della ricerca, della divulgazione e dell’educazione ambientale. Come pensano di evitare la riproduzione, sterilizzeranno gli animali? L’unico risultato sarà la perdita di una variabilità genetica che impoverisce tutti i progetti di reintroduzione europei».