la Repubblica, 5 maggio 2019
Tumore per la protesi al seno. Primo caso in Italia
È morta a causa di un linfoma a grandi cellule associato a una protesi al seno, che le era stata impiantata circa 12 anni fa. La donna è la prima, a quanto risulta al ministero della Salute, ad aver perso la vita per una patologia legata ai diffusissimi dispositivi medici, intorno ai quali in questi mesi è sorto un caso internazionale. Si discute sulla loro pericolosità, appunto sulla possibilità che provochino quel tipo di tumore. Ad essere al centro dell’attenzione sono le protesi cosiddette” testurizzate”, cioè ruvide, di gran lunga le più usate, per le quali la Francia ha di recente imposto uno stop alla commercializzazione parlando di «pericolo raro ma grave». L’Italia aspetta a prendere una posizione. La ministra Giulia Grillo ha incaricato il Consiglio superiore di sanità, da lei recentenemente nominato con la promessa di aver scelto personaggi indipendenti e di alto profilo scientifico, di darle un parere, atteso per il 13 maggio. Quel giorno si capirà se il nostro Paese si metterà sulla scia della Francia o sceglierà una soluzione diversa.
È la trasmissione Report, in onda domani sera su RaiTre ( 21.20) ad aver scoperto il caso della donna, che è morta nel febbraio dell’anno scorso all’Umberto I di Roma, alcuni mesi dopo un intervento tentato per arginare il cancro. Le protesi le aveva messe in un’altra struttura per motivi estetici e non è nota la sua storia sanitaria, ad esempio non si sa quando siano iniziati i sintomi. Marcella Marletta, la dirigente del ministero che si occupa dei dispositivi medici, conferma il caso. «La segnalazione è del 14 febbraio, mentre la documentazione è arrivata il 23 aprile. Noi il primo aprile avevamo già chiesto al ministro di andare al Consiglio superiore di sanità».
Sono state contate 41 donne, in dieci anni, che si sono ammalate nel nostro Paese a causa delle protesi, a fronte di migliaia che hanno fatto l’intervento al seno, per motivi estetici (il 65%) o di salute. Secondo alcuni studi scientifici internazionali i casi di linfoma provocati da questi dispositivi sono uno ogni 25-30mila donne operate. La situazione è delicatissima per i sistemi sanitari, perché l’epidemiologia suggerisce di non enfatizzare il problema, che è raro, ma allo stesso tempo la gravità della malattia e l’assenza di dati precisi sulle pazienti operate sono preoccupanti. È stato infatti avviato solo ora, malgrado l’allora ministro Balduzzi lo avesse chiesto già nel 2012 ai tempi dello scandalo delle protesi pip, un registro delle pazienti italiane che hanno impiantato le protesi. Le stime comunque parlano di 410mila donne in dieci anni.
I sistemi sanitari regionali e gli stessi professionisti, chirurghi plastici e oncologi, si trovano a fronteggiare la preoccupazione delle pazienti. Gli esperti consigliano di farsi controllare periodicamente e di controllarsi. Sono infatti sintomi come il rigonfiamento del seno o la chiara presenza di liquido a dover mettere in guardia le donne. A quel punto, se si conferma la presenza di un “sieroma”, si fa l’esame istologico. «Le persone non si devono allarmare – dice un’oncologa – Ogni giorno riceviamo decine di mail di pazienti preoccupate, che invece non hanno nulla da temere. L’importante è controllare che non ci siano sintomi come la comparsa di siero». Anche il ministero potrebbe contribuire a tranquillizzare le donne, prendendo una posizione sulla base del parere del Consiglio superiore di sanità.