Corriere della Sera, 5 maggio 2019
Come «rimuovere» il presidente Usa
Gli americani attendevano dal rapporto di Robert Mueller una risposta inequivocabile sulle relazioni che Donald Trump avrebbe avuto con i servizi russi per strappare la vittoria a Hillary Clinton nelle elezioni presidenziali del 2016. Ma l’attesa è andata delusa. Mueller non esclude che vi sia stata collusione di alcuni membri della campagna di Trump con oligarchi russi o agenti legati al Cremlino. Ma non è in grado di affermare senza l’ombra di un dubbio l’esistenza di un complotto. Ha accertato che vi sono stati contatti, ma non ha potuto stabilire con certezza se dietro quei contatti vi fosse un coordinamento. Scrive anche di avere scoperto che in dieci casi, nel corso di indagini che lo concernevano, Trump avrebbe «probabilmente» cercato di ostacolare il corso della giustizia. Ma la parola probabile non basta a incriminare una persona e Mueller aggiunge comunque di non avere denunciato Trump perché, secondo il Dipartimento della Giustizia, il presidente degli Stati Uniti, nel corso delle sue funzioni, gode di immunità giudiziaria di fronte alla magistratura ordinaria.
Dopo un’indagine iniziata nel maggio del 2017 spetta quindi al Congresso decidere se avviare una procedura d’incriminazione che dovrebbe essere approvata dalla Camera dei Rappresentanti e concludersi con un processo di fronte al Senato. Nelle repubbliche europee, invece, il capo dell’esecutivo può essere costretto a dimettersi con un semplice voto di sfiducia. In Francia (una repubblica semipresidenziale) il governo può chiedere la fiducia quando presenta il suo programma all’Assemblea Nazionale, e deve dimettersi se gli è negata. Ma il presidente americano non è soltanto capo dell’esecutivo; è anche un monarca elettivo. Per detronizzarlo, quindi, non basta che la maggioranza dei parlamentari decida di non potere continuare a riporre la propria fiducia nelle sue doti politiche. Occorre trovare un reato di cui incolparlo. Non è sorprendente quindi che la battaglia contro il presidente divenga in ultima analisi l’instancabile ricerca di un reato che giustifichi un processo contro la sua persona. E non è sorprendente che questo continuo duello tra il presidente e i suoi nemici divenga una sorta di guerra civile, fortunatamente senza spargimento di sangue, con spiacevoli ripercussioni sul clima politico della nazione. Tutto sarebbe più semplice e più credibile se gli americani, correggendo la loro costituzione, trovassero altre formule per sbarazzarsi di un presidente. Riconoscerebbero, come disse ironicamente un lontano predecessore di Donald Trump, che in una democrazia, è «reato» quello che la maggioranza del Parlamento, senza ricorrere a indagini para giudiziarie, considera tale.