Libero, 4 maggio 2019
Almirante e Berlinguer, trattative segrete
■ La notizia era dispersa in un articolo dimenticato. Ora è diventata una bellissima storia, scritta senza voli di fantapolitica al passato remoto, ma con commosso realismo da Antonio Padellaro. È un’indagine penetrante e assai utile per capire di quale politica e di quali uomini si abbia bisogno oggi per risollevarci proprio come Italia e come uomini. Il gesto di Almirante e Berlinguer è il titolo di questo libro di 90 pagine, lo si trovain edicola insieme al Fatto, dove nessuna parola è svagata, e ogni capitolo vola con concisione romantica. Giorgio Almirante, segretario del Movimento sociale, noto nel Partito comunista come «fascista fucilatore di partigiani», e il capo del fronte nemico si incontrarono quattro, cinque o sei volte, riservatissimamente, nei momenti in cui l’Italia, tra il 1978 e il 1981,era avvolta dalle tenebre del terrorismo. Divennero alleati, soci, davvero amici, come soloi nemici possono esserlo, contro il terrorismo. Ma quel gesto dell’incontrarsi, senza trombe, con gentilezza arida di aggettivi è qualche cosa di più intenso di una tattica contro gli assassini. Brigate rosse. Vale in sé. Ha la potenza dei simboli, di un vento della storia meno acre. Gesto, spiega il fondatore del Fatto quotidiano, è più di un atto. Non ha bisogno dimovimenti, è qualcosa che viene su appena appena in superficie da qualche arcano interiore, come un sobbalzo insieme razionale e sentimentale. C’era il terrorismo certo, c’erano le trame internazionali, incroci turpi dei servizi segreti dimolti Paesi.Coseinauditeincombevano. Ma se questo era l’emergenza, accadeva un cataclisma sottorraneo: si stava consumando l’humus su cui può reggersi una civiltà, andavano sbriciolandosi le colonne di valori non detti ma praticati sia dal popolo ma anche da una porzione della élite. Ora in questi sommessi incontri tra Berlinguer e Almirante ritroviamo una testimonianza vitale di una Italia passata ma ancora possibile: divisainmolte cose,ma tenace nel sapere che lealtà, fiducia, fede, rispetto, amicizia, competitività e altre parole che da sole sono banali, peròinsieme sonoil nerbo di una vita civile. Quella fibra senza cui manca la terra sotto i piedi la rivediamo in quegli a faccia a faccia di cui nulla si sa, salvoimodi,l’educazione, una certaidea della dignità della propria causa. GLI APPUNTAMENTI I due uomini, diversiin tutto, nemici non per modo di dire, si vedevano il venerdì verso sera, in una stanza dell’ultimo piano del palazzo deserto di Montecitorio, ormai abbandonato dai deputati e da gran parte dei commessi. Arrivavano accompagnati ciascuno dal proprio consigliere piùfidato, a cui nulla fu dato sapere, né mai essi chiesero che cosai due personaggi si siano mai detti. Quando giunse il Fascista, con il paltò a righe e la lobbia in testa, il Comunista era naturalmente già lì: era stato lui l’autore dell’invito. Una stretta di mano, poi si chiudeva l’uscio, mentre all’esterno Massimo Magliaro, il nero, e Tonino Tatò, il rosso, parlavano di calcio, di tempo, niente politica, non erano loro a portare con sé un pezzo di destino, loro ne erano al servizio silenzioso. Infatti hanno taciuto. Unavolta,l’unico sopravvissuto, l’uomo difiducia di Almirante per 18 anni, Magliaro, giornalista, ne raccontò casualmente su un aereo traMilano e Roma all’eccellente Sebastiano Messina capitatogli accanto. Il quale dopo qualchemese ne scrisse su Repubblica: era il 3 marzo del 1998, uno scoop sepolto subito. Magliaro è tuttora l’unico testimone vivente, ha confermato i particolari indelebili nella sua memoria a Padellaro. L’interno dello studiolo, al quarto piano, negli anditi della Commissione Lavoro della Camera era arredato con un divano e due poltroncine rosse, un tavolino basso, un portacenere senza cenere, per il momento. Poi Berlinguer si accese, presumibilmente, le sue Turmac, strane sigarette a base ovale. Ma si suppone, nessuno entrò. Magliaro ricorda che Almirante aveva con sé una borsa con alcune cartellette, Berlinguer non è noto cosa portasse, si era già sistemato dentro, detestava far flanella. IL CONTESTO STORICO Padellaro fa rivivere questo gesto nel contesto del tempo. Il rapimento di Moro, le sue lettere, la fermezza, le pozze di sangue, le trame internazionali. Dà peso a un fatto sottaciuto da troppi: il tentativo di assassinio di cui fu bersaglio Enrico Berlinguer, mentreinBulgaria partecipavaa unincontro delicatissimo con i vertici dei vari partiti di ritomoscovita. Destò sospetti per le posizioni che intendeva assumere? La Commissione Mitrokhin, segretata, avrebbe molto da rivelarci. Di fatto un camion guidato da un capo dei servizi speciali bulgari andò a sbattere frontalmente su un ponte control’auto dove viaggiavail segretario del Pci. Morì il suo interprete, due accompagnatori bulgarifurono gravementeferiti,lui stesso sopravvissemiracolosamente. Non volle ricoverarsi a Sofia: lo avrebbero finito, per la prima volta chiese un volo di Stato per ripararsiin patria. Disse questo ad Almirante? Si scambiarono nome e foto dei sospetti passati in clandestinità, e minacciosi gli uni per gli altri? In realtà essi prevedevano razionalmente di essere piuttosto colpiti dai propri amici, camerati o compagni usciti dai loro album di famiglia. È uno squarcio di letteratura verità il racconto che Padellaro fa di quegli anni vissuti da cronista di prima linea delCorriere della Sera. Di giorno ci si affannava nelle redazioni a mettere insieme articoli drammatici, mentre la vita serale a Roma, cui i cronisti partecipavano, camminava sul mare delle chiacchiere e delle battute eleganti, il famoso establishment con la sua corona di demi-monde. La crème rancida. Altra cosa, Almirante e Berlinguer. FIDUCIA RECIPROCA Si stimavano,avevanofiducia. Il Fascista disse in un’intervista: «Voglio essere onesto, io non credo che il Pci alimenti il terrorismo...». Anche Berlinguer si comportò allo stessomodo. Quando seppe che un ragazzo di vent’anni,Paolo Di Nella,era stato uccisoaRomamentreattaccavamanifesti del Fronte della Gioventù,inviò un telegrammaal padreeallamadre, dove esprimeva. Quando Berlinguer, nel giugno del 1984 se ne stavain una baraalleBotteghe Oscure, dopo il fatale ictus a Padova, mentre non voleva arrendersi sul palco di un comizio e la gente capiva e gridava: «Basta, basta!»; in quel giorno Almirante varcò quell’uscio, gli fecero strada i dignitari del Pci in lutto. Fece il segno della croce, si inchinò lievemente. Poche parole, nessuna retorica: «Sono venuto a rendere omaggio a un uomo da cui mi ha diviso tutto ma che ho sempre apprezzato e stimato». Alla fine Padellaro propone a una qualsiasi grande città di chiamare così unluogoimportante: «Piazza Almirantee Berlinguer». In nome dell’amicizia, del rispetto.