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 2019  maggio 04 Sabato calendario

Arlacchi e il Venezuela

Il “golpe” di Guaidó in Venezuela è una dimostrazione in vitro di come un fuoco concentrato di balle, in termini moderni fake news, può far apparire reale l’irreale e il falso. Tutti i giornali e i media internazionali ci avevano rotto i timpani facendoci intendere che in Venezuela era in atto un colpo di Stato, che Caracas era nel caos, che erano in corso combattimenti, che il presidente “usurpatore” Maduro stava per fuggire dal Paese e gettarsi nelle braccia di Putin.
Ebbene Pino Arlacchi, che non è proprio l’ultimo venuto, essendo stato fra le tante altre cose sottosegretario delle Nazioni Unite, che in quei giorni era a Caracas, quindi sul posto, ha raccontato a Salvatore Cannavò del Fatto, forse l’unico giornale che insieme al nostro governo, in questo caso a trazione Cinque Stelle, non si è fatto abbagliare, una realtà molto diversa. Ha attraversato la città e l’ha trovata tranquilla tranne che in piazza Altamira, luogo tradizionale in cui si radunano i sostenitori della destra estrema, “i guarimbas, le squadre dei bulli dei quartieri alti che assaltano i cortei popolari picchiando, bruciando e sparando”.
Sono stato in Venezuela, per motivi personali e non professionali, a metà degli anni 90 prima che Chavez prendesse il potere. Mille ricchissime famiglie di Caracas possedevano, in pratica, quasi tutta la ricchezza nazionale, il resto era desolazione, miseria, analfabetismo. Come avevo scritto in un altro pezzo (“Altro che Isis, i terroristi più pericolosi sono gli Stati Uniti”, Il Fatto, 5 marzo 2019), basato su dati forniti dal Fmi e dalla Banca Mondiale, il “chavismo” aveva lavorato ottimamente in Venezuela: le spese sociali avevano raggiunto il 70 per cento del bilancio dello Stato, il Pil pro capite era triplicato in poco più di 10 anni, la povertà era passata dal 40 al 7 per cento, la mortalità infantile dimezzata, la malnutrizione era diminuita dal 21 al 5 per cento, il coefficiente Gini di disuguaglianza sociale era sceso al livello più basso dell’America Latina, l’analfabetismo praticamente azzerato.
Alla morte di Chavez gli Stati Uniti hanno colto la palla al balzo per abbattere questo scandalo: un Paese socialista che si permetteva di migliorare invece che peggiorare. Hanno sottoposto il Venezuela a sanzioni economiche e sociali sempre più pressanti. È chiaro che in questo modo si mette facilmente in ginocchio un Paese, qualsiasi Paese. Racconta ancora Arlacchi (menomale che qualcuno d’una sinistra non comunista esiste ancora, peraltro qualcosa in questo senso si vede adesso in Spagna dove il governo socialista di Pedro Sanchez ha finalmente un programma socialista): “Le sanzioni economiche americane tagliano le medicine, il rapporto Sachs spiega molto bene che negli ultimi due anni a seguito delle sanzioni sono morte 40 mila persone in più soprattutto per la mancanza di medicine come l’insulina o i farmaci anti-Hiv, il governo ha i soldi per comprare ma le banche internazionali si rifiutano di eseguire le transazioni”.
Capite allora chi è che domina la danza? Capite che quando qualcuno parla di “poteri forti” (non è il mio caso, mi sembra un’espressione troppo vaga) non sta vaneggiando? Adesso gli americani, visto che il fantoccio Guaidó non regge più, minacciano un intervento armato in Venezuela se dobbiamo dar retta alle parole del segretario di Stato Mike Pompeo (basta guardarlo in faccia, costui, per capire di che pasta è fatto). Io non posso credere che gli americani vogliano ripetere in Venezuela gli errori, e gli orrori, che anche con la complicità di alcuni Paesi europei, Francia in testa, hanno compiuto in Serbia nel 1999, in Iraq nel 2003, in Libia nel 2011.
Domenica 12 maggio parteciperò a un convegno a Brescia in cui parlerò del “diritto dei popoli di filarsi da sé la propria storia”. Cioè del diritto all’autodeterminazione sancito peraltro solennemente a Helsinki nel 1975 da quasi tutti gli Stati del mondo. Questo diritto è stato stracciato non solo nei Paesi che abbiamo nominato, ma anche nell’ex Africa Nera da cui ci giungono le migrazioni che tanto ci preoccupano o fingono di preoccuparci. L’Onu non conta più nulla, quel poco di diritto internazionale che ancora esisteva nemmeno. Alla forza del diritto abbiamo sostituito definitivamente il diritto della forza. Una concezione che sarebbe piaciuta ad Adolf Hitler.