Il Messaggero, 4 maggio 2019
Il caso Woody Allen, nessuno vuole il suo libro
NEW YORK L’effetto #MeToo torna ad abbattersi su Woody Allen. Dopo Hollywood, anche il mondo dell’editoria sbatte la porta in faccia al regista, 83 anni, accusato dalla figlia adottiva Dylan di averla abusata quando aveva 7 anni, nel 1992. All’epoca Allen vennne scagionato da un paio di inchieste giudiziarie. Tuttavia è bastato che qualche mese fa, nel clima surriscaldato del caso Weinstein, la donna rilanciasse l’addebito perché Woody si ritrovasse emarginato, umiliato, addirittura cancellato. E ora quattro grandi editori americani, ha rivelato il New York Times, si sono rifiutati di pubblicare le memorie del regista temendo il boicottaggio del pubblico e l’attacco dei media.
Gli stessi che soltanto qualche anno fa avrebbero fatto a pugni, a suon di assegni milionari, per aggiudicarsele alla luce delle ottime vendite dei precedenti libri di Allen come Saperla lunga, Effetti collaterali, Citarsi addosso, Pura anarchia. Interrogati dal quotidiano americano, i rappresentanti di Harper Collins, Hachette, Macmillan, Simon & Schuster, Penguin Random House si sarebbero rifiutati di commentare. «Woody resta una figura ancora culturalmente importante, ma i rischi commerciali di pubblicare una sua nuova opera sarebbero stati eccessivi», si è limitata a dichiarare una fonte, pretendendo l’anonimato.
CACCIA ALLE STREGHEQuesto nuovo capitolo della caccia alle streghe, che annovera l’autore quattro volte premio Oscar di Io e Annie, si aggiunge alla catena di boicottaggi provocati dalle accuse tardive di Dylan Farrow, sostenuta dalla madre Mia e dal fratello Ronan mentre Moses, un altro figlio adottato dalla protagonista di Rosemary’s Baby, si è schierato dalla parte di Woody. Innanzitutto non è uscito l’ultimo film del regista A Rainy Day in New York girato due anni fa e interpretato da Jude Law, Selena Gomez, Elle Fanning, Timothée Chalamet, Rebecca Hall. I distributori non ne hanno voluto sapere. Lo vedremo però in Italia, il 3 ottobre, grazie alla Lucky Red di Andrea Occhipinti mentre attori come Chalamet, Greta Gerwig, Ellen Page, Natalie Portman, Mira Sorvino, Colin Firth hanno pubblicamente preso le distanze dal regista giurando che mai e poi mai sarebbero tornati sul set con lui.
LA DIFESAA difenderlo hanno pensato invece Javier Bardem («sono contrario a questo linciaggio, dopo Vicky Cristina Barcelona lavorerei nuovamente con lui»), Alec Baldwin e Anjelica Huston che aveva interpretato Crimini e misfatti e Misterioso omicidio a Manhattan: «Se Woody mi richiamasse, gli direi di sì in un secondo», ha assicurato nei giorni scorsi al New York Magazine. È tuttora in corso la causa per danni intentata da Allen contro Amazon che, all’indomani dello scandalo, ha rotto il contratto risalente ai tempi di Café Society. Ritenendolo colpevole di abusi sessuali, il colosso di Jefff Bezos si è rifiutato perfino di distribuire A Rainy Day in New York sulla piattaforma digitale. Il regista, che parla di «rottura unilaterale», ha chiesto un risarcimento di 68 milioni di dollari. E non si arrende: il cinema è la sua vita, ha sempre girato un film all’anno e ha già trovato i finanziamenti (dal gruppo spagnolo Mediapro) per girare il prossimo che dovrebbe essere ambientato nei Paesi Baschi. I sopralluoghi li ha già effettuati ma non si sa ancora quando comincerà le riprese e quali saranno gli interpreti.
AUTOIRONIAIntanto, Woody continua a difendersi da tutte le accuse, facendo addirittura appello alla sua proverbiale ironia. «Sono un grande sostenitore del movimento #MeToo», ha detto al giornale argentino Periodismo para todos, «potrei essere il volto del suo manifesto: lavoro nel cinema da 50 anni, ho collaborato con centinaia di attrici e non ce n’è stata una, che mi abbia mai accusato di comportamenti inappropriati. Ho avuto rapporti stupendi con ciascuna di loro».
Ha aggiunto che il fatto di venire accostato a Harvey Weinstein lo infastidisce molto. «Non posso essere accomunato a persone orribili come lui che è stato accusato da 20, 50, 100 donne: io, per una sola accusa di cui è stata dimostrata la falsità, mi ritrovo nel mucchio». E rischia di non lavorare più, come paventa Tim Gray di Variety. Ma si spera che la storia prevalga sul giustizialismo sommario e gli renda giustizia. Prima che sia troppo tardi.
Gloria Satta