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 2019  maggio 04 Sabato calendario

Coppola ricorda Apocalypse Now

Cinque del pomeriggio, Beacon Theatre, New York. Cravatta del colore di un grillo, il sorriso quando i fotografi lo chiamano per nome, “Francis! Francis!”. Al Tribeca Film Festival è il giorno di Francis Ford Coppola. Un incontro per raccontare i retroscena di Apocalypse Now in compagnia dell’amico regista Steven Soderbergh, e un match con la stampa e i distributori a cui non fa sconti: «Avete affossato il film quando lo proiettarono, ancora incompleto, a Cannes nel ‘79», ricorda. Al Festival avrebbe poi vinto la Palma d’oro, ex aequo con Il tamburo di latta di Volker Schlöndorff. «Ero spaventato, depresso. Mi sembrava di non riuscire a combinare nulla se non fallire. I giornalisti definirono il mio lavoro “disastroso”, certi che non avrebbe mai visto la luce».
All’epoca i distributori, scontenti, gli imposero tagli su tagli, Coppola consolò la troupe improvvisando una cantilena: “Una buona sceneggiatura, non l’abbiamo avuta / un buon film, non l’abbiamo avuto / un buon regista, non l’abbiamo avuto / Che cosa abbiamo? / Abbiamo un cuore!”. A quarant’anni dall’uscita in sala il regista all’epoca quarantenne considera il successo del film pellicola «una strana combinazione di eventi» perché «alla fine degli anni Settanta nessuno aveva ancora girato un film sulla guerra in Vietnam e dato che non riuscivo a trovare soldi, avevo deciso di auto-finanziarlo con i ricavi de Il padrino. Ma volevo fare qualcosa di completamente diverso rispetto all’epopea di Don Vito Corleone. Nulla di classico o formale. Rincorrevo il surrealismo». Nessuno, ricorda, voleva prendere parte all’operazione, «non riuscivo nemmeno a trovare un attore disposto a girare nelle Filippine». L’accordo sul budget da 12 milioni di dollari con Paramount si gonfiò fino a toccare quota 30. «Le critiche e il flop annunciato mi avevano portato alla disperazione. Avevo tre figli, una famiglia, ero sicuro che non sarei più stato in grado di rialzarmi». Oggi, dopo 5 Oscar (come regista e sceneggiatore), bastano un fotogramma, le eliche di un elicottero o i nomi di Marlon Brando ( colonnello Kurtz), Martin Sheen (capitano Willard) e Robert Duvall(tenente colonnello Kilgore) per lanciarsi in un applauso a scena aperta ma «durante la lavorazione il clima era diverso. Ho dovuto licenziare uno dei protagonisti, Harvey Keitel, e ricostruire interi set abbattuti da un tifone. Senza contare l’attacco di cuore che colpì Martin Sheen. Accanto aveva una moglie che lo amava moltissimo ma questo non giovò: lo tenne lontano dal set per mesi».
La parola “supplizio” è uno dei ritornelli di Coppola, il primo riferimento è a Marlon Brando: «Si comportava come un ragazzino, abbiamo dovuto allontanarlo dal set. Un giorno si ripresentò sovrappeso quando gli avevo espressamente chiesto di dimagrire. Rifiutò di radersi il cranio. La sua enorme intelligenza, però, lo assolveva da ogni peccato. Un uomo straordinario. Nella mia carriera ho incontrato una decina di persone geniali, dentro ci metto Kurosawa, Fellini e Brando».Qualche rimpianto ce l’ha: «Non faccio praticamente più film.Che c’è di meraviglioso nel successo, mi chiedo, se non puoi girare i film che vorresti? Ad ogni modo sono orgoglioso di rimanere un cineasta indipendente. La tenuta nella Napa Valley e i miei vigneti sono uno svago. Il rischio conta in questo mestiere: non si fa arte senza rischio. Così come non si mettono al mondo figli senza sesso». Il 15 agosto, una nuova versione restaurata in 4K diApocalypse Now sarà nelle sale Usa, seguita da un’edizione in Blu-Ray. Nel 1979 Coppola scelse di portare il film a 2 ore e 33 minuti, senza spaventare troppo il pubblico, «avevo bisogno di recuperare tutti i miei soldi al botteghino». Nel 2001, per Apocalypse Now: Redux, inserì 49 minuti che erano rimasti in sala di montaggio. «La versione definitiva recupera vecchi tagli preservati su Betamax e ha venti minuti in meno, dura tre ore e due minuti. Il suono di Walter Murch non è mai stato così profondo». Al Beacon Theatre, Apocalypse Now: Final Cut si è guadagnato una standing ovation. «Se il pubblico ama ancora il film dopo quarant’anni, se il disastro annunciato s’è trasformato in qualcosa di rivoluzionario, lo devo soltanto alla passione della troupe. La più grande lezione di cinema? Usate il vostro cuore».