Libero, 4 maggio 2019
Sulla libertà di stampa i veri fascisti sono i grillini
Ah, se ci fossero ancora i grillini: farebbero un bordello che metà basta. Loro sono sempre stati bravissimi a strumentalizzare qualsiasi sciocchezza che riguardasse la libertà di stampa in Italia (tipo la classifica farlocca di Reporter senza frontiere, quella che ci vede dopo il Ghana e la Namibia) per farne vessillo, bandiera, slogan, ergo concludere che in ogni caso la stampa è morta, la tv è morta, è tutto morto. Ora però i grillini non ci sono più, cioè, sono dall’altra parte della vetrina e, siccome la stampa non è ancora morta, ma certo non se la passa bene, hanno deciso di terminarla grazie al governo più oscurantista e illiberale che si ricordi. Chi lo dice? Noi di sicuro, e così pure lo dicono giornali e organismi italiani di ogni colore: ma ora tocca aggiungere il Consiglio d’Europa, che ha puntato il dito segnatamente contro Luigi Di Maio in un documento intitolato «Freedom of expression in 2018» in cui si monitora la situazione europea alla vigilia della giornata mondiale della libertà di stampa. Sì, c’è proprio il nome di Di Maio – inteso come responsabile politico dei Cinque Stelle – nel capitolo dedicato agli attacchi all’indipendenza dei mezzi di informazione. «manipolazione dei media» E come mai? Leggiamo: «Le pressioni finanziarie, il favoritismo e altre forme di manipolazione indiretta dei media possono costituire museruole insidiose e sono usate sempre di più da politici di ogni colore… In Italia, il vice primo ministro e leader del Movimento 5 Stelle ha chiesto alle imprese detenute dallo Stato di smettere di fare pubblicità sui giornali e ha annunciato piani per una riduzione dei contributi pubblici indiretti ai media nella legge di bilancio 2019». E qui c’è poco da interpretare: è tutto oggettivo. Così come lo è un post di Di Maio, pubblicato nel novembre 2018, che «conteneva linguaggio insultante contro giornalisti italiani e chiedeva nuove restrizioni legali sugli editori». Poi il Consiglio d’Europa scrive cose apparentemente generiche sui media audio visivi «che continuano a essere fonti di informazioni maggiori e che il pubblico generale usa per formare la propria opinione», quindi «devono essere efficacemente isolati da abusi da parte dei poteri regolatori». Oh, ma di che abusi si parla? Forse di quelli che vedono peraltro acquiescenti autori e conduttori televisivi: quelli cioè che permettono a un qualsiasi Casalino «responsabile per la comunicazione» di mandare o non mandare i vari parlamentari grillini richiesti dai talkshow mettendo al tempo stesso dei veti nominali sul giornalisti che potessero o meno partecipare ai dibattiti. Chi scrive ne sa qualcosa: da anni anche i talkshow del servizio pubblico hanno dovuto subire delle censure sugli ospiti in funzione degli umori del giro grillino. Sono gli stessi grillini secondo i quali l’abolizione dell’Ordine dei giornalisti «è già sul tavolo del governo». Ma sarebbe il minore dei problemi. Proseguiamo infatti col rapporto del Consiglio d’Europa, che – quale onore – ci affianca alla Turchia e alla Serbia e cita Di Maio anche per «l’annuncio della riduzione dei contributi indiretti ai media nella Legge di bilancio per il 2019». Ma è più di un annuncio: è quello che stanno facendo, accampando come scusa quel «liberismo» e quel «mercato» che in Italia dovrebbe far chiudere bottega anche a case editrici, cinema, teatri, opere liriche, musei, mostre e monumenti. Ai grillini non interessa che l’informazione rientri tra i diritti costituzionali garantiti dallo Stato: e non chieda elemosine, ma gli stessi contributi diretti o indiretti che esistono nella gran parte dei Paesi europei. il pretesto del mercatO Saranno anche morti, i giornali, ma i grillini se ne preoccupano moltissimo forse perché ogni giorno si vendono comunque 2,8 milioni di giornali cartacei che hanno 16,2 milioni di lettori: forse non pensano che tra costoro ci siano grillini. Ma, circa il caso dei mancati finanziamenti, il rapporto europeo non entra troppo nel dettaglio: anche perché deve monitorare lo stato di salute di ben 47 Paesi membri. Altrimenti, se avesse approfondito, il Consiglio avrebbe potuto verificare che il taglio finanziario voluto dall’emendamento dei grillini non abolisce propriamente i fondi per l’editoria, ma ne vieta l’accesso a circa una ventina di testate diversissime tra loro (l’Avvenire, il manifesto, Libero tra queste) che tu guarda: non sono mai state tenere coi grillini medesimi. No, non abolisce i fondi: i 180 milioni complessivi restano intatti ma saranno da destinare a un fondo a disposizione della presidenza del consiglio per progetti di «soggetti pubblici e privati» che promuovano la «cultura della libera informazione plurale, della comunicazione partecipata e dal basso, dell’innovazione digitale e sociale, dell’uso dei media». Parolame per dire: i soldi li daremo a chi ci pare.