Il Messaggero, 4 maggio 2019
Sergio Rubini: «L’anticonformismo è la mia regola»
Sergio Rubini, attore e regista, è nato a Grumo Appula (Bari).
I capelli sudici legati in un codino, un marcato accento pugliese, la camminata claudicante e la consapevolezza di essere arrivato al capolinea: è la nuova matamorfosi di Sergio Rubini, 59, regista e interprete accanto a Rocco Papaleo del film Il grande spirito che, dopo l’applaudita anteprima al BiF&st di Bari, uscirà in sala il 9 maggio. Favola metropolitana, commedia amara, western condito da numerose sparatorie e al tempo stesso metafora dei nostri tempi «avvelenati», il film è ambientato sui tetti di Taranto dove trova rifugio un delinquente soprannominato “Barboncino” (Rubini), inseguito dai compari a cui ha sottratto il malloppo dell’ultima rapina.
Lo accoglie Renato alias Cervo Nero (Papaleo), un tipo fuori di testa che si crede un Sioux, sbeffeggiato dagli abitanti del quartiere (proprio come il povero pensionato di Manduria) e trattato con umanità soltanto da una moglie vessata (Ivana Lotito). Sullo sfondo le ciminiere fumanti dell’Ilva, «il mostro». In primo piano l’improbabile, poetica amicizia nata tra i due “ultimi”. Come le è venuta in mente questa storia?
«Volevo raccontare una favola che fosse anche una metafora contemporanea dal risvolto quasi cristologico: Cervo Nero è l’agnello sacrificale che permette a Barboncino di salvarsi, mentre i cittadini sono i Sioux avvelenati dal”mostro”. Il 7 maggio mostrerò il film a Taranto, il comune che detiene il triste record di morti per tumore. Da pugliese, mi auguro che le cose cambino».
Cosa ha provato quando ha saputo dei fatti di Manduria?
«Orrore. Approfittarsi delle persone innocenti e indifese è l’essenza della crudeltà. Il film non è poi così lontano dalla realtà».
Le è servito il coraggio per andare controcorrente nel cinema delle mille commedie disimpegnate?
«Ma l’anticonformismo dovrebbe essere la regola nel nostro mestiere, specie oggi che si fanno troppi remake. Pensare che una volta noi italiani indicavamo la strada... Quandomi sento troppo pavido mi vergogno di me stesso».
Quand’è che si è considerato più intraprendente?
«Quando, a 18 anni, lasciai il mio paese di Grumo Appula, in provincia di Bari, per fare l’attore a Roma. Al sud stavo benissimo, ma non avrei potuto inseguire il mio sogno. E la Puglia me la porto ancora dentro, è uno spazio mentale prima ancora che geografico».
Il suo film è uno dei titoli di punta della campagna destinata a riempire i cinema d’estate: che si aspetta?
«Cosa devo dire, distribuire i film tra maggio e settembre è come aprire un pub all’aperto a Londra in autunno: da noi si diserta il cinema d’estate perché fa caldo. Spero comunque che i promotori dell’iniziativa abbiano ragione».
A dicembre saranno 60: spaventato o indifferente?
«Mi sento in pace con me stesso. L’età mi ha dato l’opportunità di trasformarmi. Il bilancio è in attivo. Oggi mi sento più spregiudicato, più consapevole».
Èsui social?
«Li frequento con curiosità e un certo sgomento».
Di fronte agli incassi stellari di “Avengers” cosa pensa?
«Che non saranno i supereroi o Checco Zalone a salvare l’industria. Dovrebbe andar bene il cinemamedio».
Cos’ha inprogramma?
«Moschettieri 2. E la regia di un film sulla giovinezza dei fratelli De Filippo. Siamo abituati a conoscerli da vecchi, nel pieno del successo, e a considerarli deimonumenti. Invece da subito hanno rivoluzionato il teatro. Sono stati innovativi, trasgressivi, in una parola i nostri Beatles. Per questo voglio raccontarli ai ragazzi».
Chi dovrebbe andare a vedere”Il grande spirito”?
«Chi cerca una storia diversa. E tante emozioni».