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 2019  maggio 04 Sabato calendario

Rinasce il Paradiso terrestre (giardino dell’Eden)

Le abbondanti piogge degli ultimi mesi hanno riportato la vita nelle vaste paludi della Mesopotamia, patria di branzini e storioni giganti, ma anche di lontre, sciacalli, aquile e germani. Per dare la caccia ai guerriglieri sciiti che vi avevano trovato rifugio, nel 1990 Saddam Hussein le prosciugò quasi per intero. Ma oggi, grazie ai recenti temporali, queste lagune alla confluenza del Tigri e dell’Eufrate, a un centinaio di chilometri da Nassiriya, sono ridiventate quella sconfinata distesa di giunchi e acque smeraldine che in passato le resero il biblico giardino dell’Eden. Un tempo questo invaso che si schiude all’improvviso nel petroso deserto iracheno era grande come il Belgio. Poi, durante la prima guerra del Golfo, il luogo divenne teatro di una sfortunata rivolta contro Saddam, incoraggiata ma non sostenuta dagli americani. I rastrellamenti dell’esercito iracheno furono spietati, ma non risolutivi. Perciò, per snidare i miliziani che si nascondevano nelle paludi, il dittatore iracheno costruì due dighe sui due fiumi: migliaia di persone morirono di stenti e molte altre furono costrette a trasferirsi in Iran o nel nord del Paese. Furono distrutti villaggi, avvelenate le acque dei pozzi. Nel 2003, alla vigilia della caduta del regime di Bagdad, la superficie di questi preziosi acquitrini si era ridotta di oltre nove decimi. La persecuzione di Saddam contro gli arabi delle paludi provocò la scomparsa di un preziosissimo ecosistema e di una civiltà millenaria: quella dei villaggi galleggianti, che mai potrà rinascere. Questo doppio crimine fu uno dei principali capi d’imputazione di cui Saddam dovette rispondere al processo che gli valse la forca. Fino a pochi anni fa, gran parte delle lagune era ridotta a terra riarsa, spaccata dal sole. Poi, poco alla volta, l’acqua è tornata. E nel 2016, con colpevolissimo ritardo, queste splendide paludi sono finalmente diventate patrimonio dell’Unesco. Adesso tutto è di nuovo meravigliosamente scenografico, dai placidi bufali che quando passi girano pigramente la testa, ai pescatori che s’avvicinano silenziosi su piroghe che governano con lunghe pertiche. In queste remote maremme è stato perfino costruito un ecomostro: un bulbo gigante, alto 45 metri e ricoperto di pannelli argentati, che si erge su un isolotto sperduto tra i canneti. Eretto per ricordare i martiri uccisi da Saddam, il raccapricciante santuario è costato diversi milioni di dollari, anche se a Chibaish, la più vicina cittadina sulla terraferma, non si conta neanche un ospedale. La leggenda vuole che la popolazione locale sia di origine sumerica, ma recenti studi genetici smentirebbero questa poetica ipotesi: le paludi sarebbero state più prosaicamente popolate da ondate di migrazioni provenienti dalla vicina penisola arabica. Fatto sta che se una volta in questo luogo unico al mondo viveva mezzo milione di persone, oggi ce ne sono meno della metà. Dal 2003 è stato riportato alla vita circa un terzo dell’estensione delle paludi prosciugate, ma difficilmente l’acqua tornerà a ricoprire la superficie di una volta. Dei 2000 chilometri quadrati che erano sopravvissuti alle devastazioni di Saddam, si è riusciti a riportarle a circa 3600 chilometri, anche perché la portata dei fiumi che le alimentano è molto diminuita, per il surriscaldamento e per le dighe costruite nel tratto turco e siriano sul Tigri e l’Eufrate. Dopo decine di progetti destinati a salvaguardare questo prezioso scrigno naturalistico, gli esperti rimangono scettici. Infatti, per quanto benedette dai locali, le recenti piogge non risolveranno il problema. I più pessimisti sono certi che senza un generoso intervento internazionale, le paludi potrebbero definitivamente scomparire. Per evitare che diventino una cloaca senza vita, dev’essere adesso giocata ogni carta.