Corriere della Sera, 4 maggio 2019
Di Maio e Salvini giù nei sondaggi
Sono settimane travagliate per il governo, alle prese con svariati elementi di dissenso tra le due forze della maggioranza. Durante la campagna elettorale è del tutto comprensibile che le scaramucce prevalgano sugli elementi di coesione, tuttavia gli elementi di tensione si sono molto acuiti e, in termini di popolarità, sembrano farne le spese più i vicepremier che l’esecutivo nel suo insieme e il premier Conte.
Oggi un italiano su due esprime valutazioni positive per il governo (contro il 39% di giudizi negativi) e il 53% per il presidente del Consiglio (contro il 37%). Il consenso si mantiene molto elevato, oltre l’80%, tra i leghisti e i pentastellati (questi ultimi apprezzano maggiormente degli alleati il premier).
Più contenuto l’apprezzamento di Salvini e Di Maio che risultano graditi, rispettivamente dal 48% e dal 32%. L’indice di gradimento, calcolato escludendo gli intervistati che non si esprimono, rispetto a fine marzo fa segnare un calo generalizzato, ma di intensità diversa: infatti Conte si attesta a 59 (-1), il governo a 56 (-2), Salvini a 55 (-4) e Di Maio a 37 (-7). La strategia del leader pentastellato di differenziarsi, talora in modo molto netto, dall’alleato di governo al momento sembra premiare in termini di intenzioni di voto a favore del Movimento, che da qualche settimana ha invertito il trend discendente, ma ha penalizzato la popolarità di Di Maio che si è alienato una parte importante dei consensi dell’elettorato più numeroso, quello leghista.
Indubbiamente le vicende giudiziarie che negli ultimi mesi hanno visto coinvolti esponenti di diverse aree politiche si riflettono sulle opinioni dei cittadini e sono al centro della contesa politica. Dai tempi di Tangentopoli in poi l’indignazione nei confronti dei reati di corruzione si mantiene estremamente elevata, anche se non sempre gli orientamenti di voto vanno di pari passo con il sentimento di riprovazione dominante. D’altra parte, la memoria e il principio di non contraddizione di certo non sono punti di forza nel nostro Paese.
Quasi due italiani su tre (62%) ritengono molto o abbastanza gravi le accuse formulate nei confronti del sottosegretario alle infrastrutture leghista Armando Siri, indagato per corruzione dalla Procura di Roma nell’ambito di un’inchiesta antimafia; il giudizio sulla gravità delle accuse prevale tra tutti gli elettorati, persino tra i leghisti, sia pure con intensità diversa. Di conseguenza, il 71% ritiene che Siri dovrebbe dimettersi dal suo incarico nel governo. I leghisti sono nettamente divisi: il 41% è favorevole alle dimissioni, il 42% si dichiara contrario. Nel complesso si tratta di una vicenda che secondo il 44% degli italiani rischia di mettere in discussione la credibilità della Lega nell’azione di contrasto alla criminalità e alla corruzione, mentre il 28% è di parere opposto.
Nelle settimane precedenti il Movimento 5 Stelle è stato toccato da una vicenda analoga che ha portato agli arresti il presidente del consiglio comunale di Roma Marcello De Vito, accusato dai magistrati di aver ricevuto tangenti per favorire il progetto di costruzione del nuovo stadio di Roma. Anche in questo caso la gravità delle accuse viene riconosciuta dalla stragrande maggioranza degli italiani (70%). E, come per la Lega con il caso Siri, si afferma nell’opinione pubblica la convinzione che l’inchiesta romana possa mettere in discussione la credibilità del M5S su uno dei suoi punti di forza, costituito dalla lotta alla corruzione. A questo proposito, è interessante osservare come le risposte dei due elettorati della maggioranza siano del tutto speculari, a seconda che si tratti del proprio esponente (in tal caso si minimizzano le presunte conseguenze) o di quello della forza politica alleata (a cui si attribuiscono rischi di perdita della credibilità).
La tensione tra le due forze di governo secondo il 44% è da attribuire alla competizione elettorale e verrà meno dopo le Europee, mentre per il 35% potrebbe compromettere la tenuta dell’alleanza, e tra i leghisti prevale il pessimismo. Quanto alla durata dell’esecutivo, solo uno su cinque (21%) prevede che durerà fino al termine della legislatura, mentre il 27% pronostica la sua fine già dopo le Europee e il 19% comunque entro quest’anno. Ma anche sulle previsioni emergono le divisioni tra i due elettorati della maggioranza: tra i pentastellati il 51% scommette sul governo di legislatura, tra i leghisti il 60% prevede la fine entro l’anno.
Insomma, a giudicare dalle opinioni dei rispettivi elettorati si profila la possibilità che l’esecutivo gialloverde si trasformi da governo del contratto a quello dei separati in casa.