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 2019  maggio 04 Sabato calendario

Biografia di Leonardo Bonucci

Leonardo Bonucci, nato a Viterbo il 1° maggio 1987 (32 anni). Calciatore, di ruolo difensore. Giocatore della Juventus (dal 2018, e in precedenza dal 2010 al 2017); già di Inter (2005-2007), Treviso (2007-2009), Pisa (2009), Bari (2009/2010), Milan (2017/2018). Vincitore di otto campionati di serie A (uno con l’Inter, sette con la Juventus) e, con la Juventus, di tre Coppe Italia consecutive (2014/2015, 2015/2016, 2016/2017) e quattro Supercoppe italiane (2012, 2013, 2015, 2018). Militante dal 2010 nella Nazionale maggiore, con cui ha ottenuto il secondo posto ai Campionati europei del 2012. «Per me avere “fame” è fondamentale: ti fa dare qualcosa in più quando le forze mancano» • «Figlio di impiegati, cresciuto centrocampista fra i vicoli medievali di Pianoscarano a Viterbo, diplomato ragioniere con voto altissimo» (Francesco Saverio Intorcia). «“Sono uno di quelli che fin da piccolo voleva fare il calciatore: pallone 18 ore su 24, da quando avevo 5 anni. Capitava che mi buttavo nelle partitelle di mio fratello, Riccardo, che ha quattro anni più di me. Una volta mi sono rotto il mignolo: ero il più piccolo e mi avevano messo in porta”. Juventino. “Tutti tifavano Inter: ero la pecora bianconera della casa”. […] Il fisico l’ha sempre avuto? “Dai sette-otto anni ero sempre il più alto. E un anno ho perso quattro, cinque mesi per il morbo di Osgood-Schlatter (sindrome ossea per la crescita, ndr): mi svegliavo la notte per il male alle ginocchia”. […] In principio fu centrocampista. “Dietro ho iniziato a 17 anni, prima giocavo davanti alla difesa: mi piaceva impostare il gioco, fare il lancio, la bella giocata”» (Massimiliano Nerozzi).  «“A volte centrocampista centrale, altre volte esterno: del difensore neanche l’ombra”. Era Viterbo, era la fine degli anni Novanta. […] “Nel 2002, per motivi di organizzazione, la Viterbese non disputò i campionati regionali e quindi io fui dirottato alla Nuova Bagnaia, società satellite, per fare ritorno alla Viterbese nel 2004, ormai sedicenne. Senza rendermene conto, stavo per vivere anni determinanti, non solo a livello emotivo ma anche, e soprattutto, per un incontro rivelatosi poi fondamentale: quello con mister Carlo Perrone. Un uomo e un allenatore con grandi esperienze alle spalle in squadre di alto livello come Lazio ed Ascoli, cui va il merito di avermi trasformato in difensore centrale, capace, con le sue attestazioni di stima ed i continui segnali di fiducia, di contribuire in modo determinante alla mia crescita, non solo a livello tecnico ma principalmente come uomo. A 17 anni, insieme alla prima panchina in serie C, arriva finalmente anche il primo provino importante: l’Inter. Pieno di sogni e speranze, salgo quindi sul treno diretto a Milano, non immaginando minimamente ciò che il destino aveva in serbo per me. Il primo provino va bene, torno a casa soddisfatto, passano i giorni e arriva la Pasqua. Una Pasqua da ricordare, perché trovo un biglietto aereo con destinazione Abu Dhabi. Con l’Inter. Che esperienza confrontarsi con squadre come Boca Juniors e Feyenoord. E fu proprio lì che la società decise di prendermi per la stagione successiva a Milano. La conferma arrivò a maggio, con la convocazione per un torneo nazionale che l’Inter avrebbe disputato a Parma alla fine del mese. Arrivano così i 18 anni, che per tutti i ragazzi sono sinonimo di esami di maturità, di patente e di vacanze, e che invece per me rappresentano l’inizio di una nuova vita. Ricordo l’arrivo alla stazione di Milano con la musica di Jovanotti nelle orecchie e con il cassetto pieno di sogni. Ricordo la vittoria della Coppa Italia e del campionato italiano con la Primavera, le prime esperienze in panchina con la prima squadra e, meraviglioso, l’esordio del 14 maggio 2006 in serie A”. […] In campo, a Cagliari, lo mandò Roberto Mancini. […] Quell’esordio del 2006 rimase isolato. Leo era forte, era tecnico, era diverso: un difensore con i piedi. Però non era uno su cui puntassero davvero fino in fondo: lo mandarono a Treviso, non in prestito, ma in comproprietà. È un segnale, questo. Lo sanno per primi i giocatori: cedere metà del tuo cartellino ti trasforma in una pedina fondamentale più per il mercato che per il campo. Leo lo è stato per l’Inter. Perché Treviso s’è trasformato in un prestito al Pisa, dove ha conosciuto Ventura. Qui cambierà la storia, per l’incontro più che per tutto il resto. […] Nel 2009, Bonucci entrò da inconsapevole protagonista nell’affare Thiago Motta-Milito. Non era solo, c’era anche Mattia Destro. Finirono entrambi al Genoa, non più proprietario del solo 50 per cento, ma di tutto il cartellino. Solo che Destro era uno dell’altra stirpe dei giovani: predestinato. Quindi fu tenuto dal Genoa. Leo no: prestito al Bari. Dove c’era Antonio Conte, che stava preparando il ritorno suo e della squadra in A. Leo arrivò e Conte salutò. […] Saluti, e benvenuto Ventura. L’incontro, di nuovo. Bonucci, per il calcio, è cominciato lì. Dove peraltro nessuno lo conosceva, e dove l’inizio fu complicato. Prima giornata Inter-Bari, l’Inter campione d’Italia, l’Inter di Mourinho. Milito ed Eto’o contro Bonucci e Ranocchia. Sembra un confronto pari? Leo mise un piede sul piede di Milito: rigore. Il Bari pareggiò, cominciando una stagione che si sarebbe rivelata la più importante della sua storia in serie A. Senza sapere e senza conoscere il suo futuro, Bonucci fece 38 partite su 38 da titolare. Per un difensore centrale non è una cosa normale. Il centrale prende gialli e prende rossi. Bonucci riuscì a non farsi squalificare neanche una giornata. Non è statistica, né curiosità: è indice di un certo modo di giocare, di stare in campo, di sentirsi difensore. E Bonucci era pulito, elegante, preciso. Poi prendeva la palla, alzava la testa e giocava: “Falla frullare”, diceva Ventura. Significava “giocala”. E Leo la giocava e la gioca ancora» (Beppe Di Corrado). «Bonucci nel 2009/10 impressiona in coppia con Ranocchia, ma tutti o quasi si convincono che sarà quest’ultimo a fare sfracelli. Il campo dà un’altra sentenza, e quell’anno con Ventura gli consegna l’azzurro e il bianconero» (Filippo Conticello). «Alla Juve arrivò nell’estate del 2010. […] Ma i primi tempi a Torino non furono semplici. La squadra non ingranava, i tifosi mugugnavano e Bonucci era nel mirino. In quel periodo venne coniato il termine “bonucciate”, per riferirsi agli errori che il difensore commetteva per eccesso di confidenza o per disattenzione. Negli anni Cinquanta certi svarioni erano definiti “maldinate”, in omaggio al grande Cesare Maldini» (Andrea Schianchi). «Con Del Neri […] in panchina, il gioco non decollava affatto, e a Bonucci, che nel 2004 alla Viterbese faceva il centrocampista, l’idea di non poter giocare palla e di dover rispondere agli attacchi “laterali” (suo vero tallone d’Achille) non lo faceva sentire per niente a suo agio. […] Bonucci, però, è l’esempio che leader non si nasce, si diventa. A inizio carriera era chiuso, introverso, irascibile. Assunse un mental coach che per fargli controllare gli istinti lo portava in cantina, al buio, e lo riempiva di botte impedendogli di reagire. Quella rabbia, nel corso degli anni, l’ha trasformata in coraggio, ché essere istintivi è un difetto, essere trascinatori è una virtù. Dopo ogni bonucciata si ripeteva: “Ho fame e sono forte”» (Daniele Dell’Orco). «L’arrivo di Antonio Conte cambia le carte in tavola, nasce la leggendaria BBC: Bonucci, insieme a Barzagli e Chiellini, scrive una prima pagina nella storia del calcio italiano, conducendo la Juve degli “invincibili” ad uno scudetto meraviglioso. Un trofeo conquistato […] ai danni del Milan, con una firma pesantissima come quella in Palermo-Juve, il gol del definitivo sorpasso sui rossoneri allenati da Allegri. Da lì in poi è un crescendo: sei scudetti, tre Coppe Italia e tre Supercoppe italiane è il bottino del Leo juventino. Lui che, nonostante il passato interista, ha dichiarato più volte di nutrire fin da piccolo una passione per la Vecchia Signora. Lui che dopo ogni gol invitava tutti a "sciacquarsi la bocca". Peccato per quella Champions, sfuggita per due volte in finale, entrambe disputate da titolare» (Mattia Carapelli). Col tempo, si rivelò però problematico il rapporto tra Bonucci e Massimiliano Allegri, subentrato a Conte sulla panchina della Juventus nel luglio 2014. Le tensioni deflagrarono nel febbraio 2017, con «quel furibondo litigio che ha visto protagonisti Allegri e Bonucci durante Juventus-Palermo. Partita mai in discussione e terminata con un chiaro 4-1, ma tra i due volano parole grosse, figlie di una tensione a prima vista ingiustificata. “Ci siamo chiariti, non è successo nulla”, sminuisce l’allenatore al termine del match. Eppure è successo molto, praticamente tutto. Leggenda narra che, dopo quell’episodio, Allegri abbia addirittura dato un ultimatum alla società: Bonucci fuori rosa, o lui o me. Una bagarre risolta poi con diplomazia, con la tribuna “punitiva” in occasione della sfida al Porto e una doppia multa per giocatore e tecnico. Ma il successivo patto d’onore tra i due e l’intera squadra, quello che aveva ad oggetto la vittoria di tutte e tre le competizioni stagionali, non è bastato ad appianare i dissidi. L’atmosfera nello spogliatoio bianconero a Cardiff all’intervallo di Juve-Real Madrid ha riaperto una ferita cucita a malapena. Archiviata la sconfitta in finale di Champions, i campioni d’Italia hanno fatto la propria scelta: […] Allegri blindato fino al 2020, Bonucci al Milan in una delle trattative più improvvise di sempre» (Carapelli). «I 40 milioni per il suo cartellino (più i 10 all’anno del contratto quinquennale) hanno sbilanciato i conti – in quanto ingaggio inizialmente non previsto – e attizzato le accuse della concorrenza e i sospetti di finanza allegra del Milan cinese del contumace Yonghong Li. Ma troppo ghiotta era l’improvvisa occasione di ingaggiare il calciatore. […] Il Milan lo ha voluto, azzardando il capovolgimento delle consuetudini: si fabbrica una squadra forte, a costo di sforare il budget, per poi aggiustare i conti grazie ai risultati e agli annessi introiti, non viceversa» (Enrico Currò). I risultati, però, non arrivarono: i rossoneri conclusero la stagione 2017/2018 al sesto posto in campionato e senza alcuna coppa, e Bonucci, nel luglio 2017 accolto a Milano con aspettative fin troppo elevate e onorato della fascia di capitano su iniziativa della società, appena un anno dopo chiese di poter tornare sui propri passi, e nell’agosto 2018 tornò a vestire la maglia bianconera. «La scelta estiva di Leonardo Bonucci […] ha confermato ciò che era già intuibile: lui e Giorgio Chiellini sono nati per giocare assieme. Una coppia tornata subito formidabile e incoronata da José Mourinho, immaginifico come al solito nella serata del trionfo bianconero all’Old Trafford: “Quei due possono essere professori di difesa ad Harvard”» (Leo Lombardi). «Il centrale della Juventus e della Nazionale è stato per diversi mesi al centro di polemiche per colpa del suo passaggio improvviso dai bianconeri al Milan e successivamente per le sue prestazioni deludenti in maglia rossonera, che hanno poi trovato continuità nei primi mesi del suo ritorno alla Continassa. In quest’ultima circostanza, Bonucci ha definito l’ambiente juventino come casa sua, mettendosi alle spalle un addio “dettato dalla rabbia del momento”. […] Il primo Bonucci bianconero, guidato da Antonio Conte prima e da Allegri poi, ma soprattutto dai suoi compagni di reparto più esperti, era un calciatore unico nel suo genere. L’intuizione di affidarsi ad una difesa a 3 da parte di Conte nell’anno del primo degli ormai 8 scudetti di fila ha portato al centrale viterbese un ingente carico di responsabilità in termini di regia – uno come Pirlo a volte deve essere costretto a sopportare la pressione di qualche avversario –, che ha saputo gestire al meglio grazie alle sue indiscutibili qualità tecniche e su cui ha costruito successivamente una solidità non solo a livello di impostazione, ma anche di copertura. Nel calcio moderno si cercano sempre di più difensori dai piedi buoni, […] e Bonucci ha rappresentato per almeno 3 o 4 anni l’eccellenza assoluta in materia, riuscendo a conquistare elogi anche quando la linea è diventata a 4, con l’arrivo di Allegri sulla panchina della Juve. Complice anche l’idea radicata che la maggior parte dei tifosi ha della Juventus, il ritorno di Bonucci è stato totalmente in salita, anche e soprattutto per quanto riguarda il rapporto con la gente bianconera, che fino a pochi anni prima lo avrebbe difeso a spada tratta in qualsiasi circostanza, e ciò non ha potuto fare a meno di ripercuotersi sulle sue prestazioni. Una delle squadre più forti d’Europa non ha potuto comunque fare a meno di dimostrare lacune dettate spesso (ma non esclusivamente) da indecisioni del numero 19, a volte troppo leggero in marcatura – esempi perfetti i gol presi da Stepinski, Inglese e Zapata in campionato – e spesso troppo spavaldo in fase di possesso palla – come nel caso dei palloni regalati a Mertens e Piatek nelle due sfide casalinghe con Napoli e Milan. […] Oggi, dunque, parliamo di un difensore che, pur mantenendo lo stesso fuoco negli occhi, non è più riuscito a ripetersi a quei livelli cui ci aveva abituato: è come se fosse tornato ai primi anni della sua carriera, con quell’incertezza tipica di chi conosce i propri mezzi ma non è abbastanza forte mentalmente per metterli a disposizione della causa» (Luca Vano) • In maglia azzurra dal 2010 (reclutato da Marcello Lippi in febbraio e promosso titolare da Cesare Prandelli in agosto, dopo il deludente Campionato mondiale che l’aveva visto convocato ma non schierato in campo), ha partecipato con risultati altalenanti a tutti i tornei internazionali dal 2012 in poi, ed è stato tra i protagonisti degli incontri che nel novembre 2017 hanno clamorosamente sancito la mancata qualificazione della Nazionale italiana ai Mondiali del 2018. «Fino all’ultimo pensavamo di poter raddrizzare la partita. È stata una delusione incredibile anche per noi giocatori, ma lo sport a volte riserva pure delusioni» (a Nicola Bambini). «È un neo che non si cancellerà mai nella carriera di un giocatore. Non andare al Mondiale per la Nazionale italiana è qualcosa di veramente catastrofico. Io l’ho vissuta in questa maniera, tant’è che nei mesi di giugno e luglio ho visto a malapena due partite» • Sposato dal 2011 con l’ex modella Martina Maccari, tre figli: Lorenzo (2012), convinto tifoso torinista, Matteo (2014), nel 2016 operato d’urgenza per una «patologia acuta» per la quale è tuttora sotto controllo, e Matilda (2019) • «Chi l’ha aiutata più di tutti? "Martina, con la sua determinazione, un’energia che sfiora la testardaggine. Lei mi ha convinto a sposarla, nonostante il nostro amore non fosse stato un colpo di fulmine, lei mi ha dato stabilità, sempre lei mi ha tirato fuori dal pozzo dopo ogni caduta, come quando mi sono trovato, da innocente, sbattuto nell’inchiesta sul calcio-scommesse. Martina mi ha insegnato a essere fiero di me stesso nel bene e nel male. E ho capito che nel dolore tutte le famiglie si assomigliano. I privilegi si azzerano nella sventura: se vuoi riemergere devi lottare"» (Dario Cresto-Dina) • «Con i suoi genitori che rapporto ha? “Da mia mamma ho preso il carattere: lei è una che non vuol mai perdere. Mio papà invece ha il merito di avermi lasciato crescere libero”. Non le diceva mai cosa fare in campo? “Assolutamente no: si metteva da parte in tribuna. Sia che giocassi bene sia che giocassi male lui, non diceva nulla”» (Bambini) • «Mi dica quali sono state le tre persone fondamentali per la sua crescita sportiva. "Carlo Perrone, che mi allenò alla Viterbese. Ero il centravanti e il capitano della squadra Berretti, avevo segnato quattro gol in sette partite, amavo essere decisivo, ma lui mi disse: Leo, devi fare il difensore centrale se tieni alla carriera. Cambiai ruolo di malumore: fu la svolta. Alberto Ferrarini, che è stato il mio mental coach: mi ha insegnato ad accettare i giudizi negativi senza più deprimermi e perdere la concentrazione. Antonio Conte, che mi ha trasformato sul piano tecnico e tattico, e ci ha trasformati tutti alla Juve, prendendo una squadra dal settimo posto per portarla a tre scudetti consecutivi"» (Cresto-Dina) • «Lei non parla volentieri di sé, appare scontroso se non indisponente. Perché? "Sono fatto così, forse perché ho avuto una adolescenza solitaria. Indosso un’armatura. Sono una mente tanto pensante e una bocca poco parlante. Lo ammetto, la diffidenza è un mio limite, i miei veri amici sono pochissimi". Qual è la ragione della maglia 19? "Un […] lascito di Ferrarini, appassionato di numerologia e simbolismi. Difficile da spiegare. Le dico soltanto che il numero 19 è presente nella data di nascita di mia moglie e dei miei figli e nel giorno del nostro matrimonio"» (Cresto-Dina) • Vari tatuaggi. «“Per aspera ad astra”: tatuaggio non a caso. “Attraverso le difficoltà fino alle stelle: me lo sono fatto a Treviso, quando andavo in tribuna ogni partita”. Altri marchi? “Le iniziali dei miei genitori, Claudio e Dorita, e di mio fratello. Dietro al collo, ‘Per gioco o per destino. Unforgettable’: una frase che mi sono fatto con Martina; […] la mia ascesa è cominciata con la convivenza con lei”» (Nerozzi) • «I lunghi lanci di Leonardo Bonucci dovrebbero ormai essere materia di studio. […] Precisi, calcolati al millimetro, studiati e progettati per mandare in goal l’attaccante di turno: le sciabolate del centrale della Juventus sono così perfette e caratteristiche che pochi altri difensori sanno creare parabole del genere. […] Bonucci ha sempre dimostrato di essere un centrale molto pragmatico, che preferisce spesso avventurarsi in area e staccare di testa o, appunto, fare sbalorditivi assist dalla distanza per gli attaccanti suoi compagni di squadra» (Francesco Iazzi). «La sua dote è l’anticipo, non l’uno contro uno. Non gioca a calcio guardando il pallone, ma l’avversario. Come nel poker» (Dell’Orco). «Dopo aver segnato, Leonardo Bonucci alza il dito indice e lo porta vicino al volto e fa un cerchio attorno al viso. Vuol dire: guardatemi, sono io, questa è la mia faccia. È una sfida lanciata a nessuno, quindi a tutti. È un gesto nato dopo il caos di “Scommessopoli”, quando l’hanno tirato in mezzo e poi scagionato, lasciando però che il sospetto serpeggiasse ovunque tranne che dalle sue parti. Perché lui ha detto: non c’entro, sono pulito. Guardate la mia faccia, allora. Bonucci è sicuro di sé, si capisce da come parla e da come gioca. Si capisce anche quando sbaglia, perché quando succede (spesso) è esattamente per quel motivo lì: troppa confidenza con le proprie capacità, troppa leggerezza nel giocare palle difficili. […] È completo, di una completezza che trovi una volta ogni molti anni, in un difensore. Difende e costruisce, anticipa e segna. Ha idea del gioco e lo gestisce da dietro, una caratteristica che abbiamo dimenticato: Cannavaro e soprattutto Nesta, i due centrali italiani più forti dell’èra contemporanea, ovvero del dopo-Baresi, erano decisamente migliori difensori di Bonucci, ma avevano piedi e idee peggiori. Leo guarda, Leo si muove, Leo la gioca, […] se la fa ridare, ricomincia. Conosce tempi e luoghi dell’impostazione perché li ha frequentati a lungo. […] Non butta il pallone, non spreca, non fa tutto quello che per una vita siamo stati abituati a veder fare ai difensori. Diverso Bonucci, per stile e per approccio. Bonucciate comprese, ovvero le leggerezze, le palle perse al limite dell’area, il tocco inutilmente difficile in una zona del campo delicata. Ce ne sono una, due, tre a campionato, fanno parte del modo di essere e di giocare. Sono fisiologiche, e soprattutto compatibili con la qualità che esprime quando bisogna cominciare un’azione. Se vuoi un difensore che sappia fare il centrocampista, devi accettare il rischio che ogni tanto ragioni come un centrocampista. Allora è questo Bonucci. Prendetelo o lasciatelo. […] Se segna, chiede che lo si guardi in faccia. Se sbaglia, pure» (Di Corrado) • «Mi piace costruire il gioco: cerco di non buttare mai via il pallone, anche se a volte un sano calcio in tribuna non fa male. D’altronde, i miei idoli da ragazzino erano Baggio e Del Piero. Poi, quando arretrai in difesa, scelsi come modelli Nesta e Cannavaro» • «Quando appenderà le scarpette, vedremo anche lei in Federazione? “Io voglio provare a fare l’allenatore. Ma prima, a carriera conclusa, voglio farmi qualche bel viaggio con tutta la famiglia. Prima tappa, il Perù”» (Bambini).