Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  maggio 03 Venerdì calendario

Stanlio e Ollio

Nel loro centinaio di film, usciti tra gli Anni ’20 e gli Anni ’50 – i personaggi di Stan Laurel e Oliver Hardy, il magro Stanlio e l’obeso Ollio, vanno spesso a letto insieme. Sempre per dormire, sempre con camicie da notte immacolate, sempre in un contesto innocente: mogli o fidanzate li hanno obbligati a stare alla larga da loro. Ma questa assidua intimità faceva pensar male. Invece i riferimenti esotico/esoterici, cioè massonici Hardy apparteneva a una loggia di osservanza Shrine de I figli del deserto di William A. Seiter (1933), parevano spunti buffi innocenti.
Negli ultimi decenni, in tempi di outing quasi obbligato, gli storici del cinema si sono soffermati sul rapporto fra i due interpreti. Il film di Jon S. Baird a loro dedicato, Stanlio & Ollio, dà per scontato che fra loro ci si siano stati legami non solo professionali. Alla fine del film c’è uno scambio di battute amare nel quale Hardy parla d’amore, anche se solo da parte sua. Nel complesso, però, il film di Baird sceglie la cifra della malinconia, lasciando in secondo piano quella della gayezza. 
Londra nel 1953 è la capitale di un impero che ha perduto la sua perla, l’India, e sta perdendo quasi tutto il resto. Il razionamento, in vigore dalla Seconda guerra mondiale, è appena finito. Non è finita invece la crisi economica. Sono i teatri minori dei sobborghi e la piccola borghesia in età a ricordarsi dei 60enni che si presentano ormai coi nomi – Stanlio & Ollio – dei loro vetusti personaggi. Dai palcoscenici i due possono però notare che le poltrone vuote sono più delle piene. Eppure – ma questo il film di Baird lo omette – ancora nel 1950 avevano trionfato nella tournée italiana da Sanremo fino a Roma. Sulla Costa Azzurra avevano appena girato quello che sarebbe stato il loro ultimo film, Atollo K di Léo Joannon. Rivedendolo, si capisce che era meglio non insistere col cinema. Ma, quando si ama il proprio lavoro, come ingannare l’attesa della morte? I ricordi non lasciano tregua, specie a chi ne ha di bellissimi. Perfino gli attriti decennali di Stan Laurel – la mente del duo – col produttore Hal Roach (Danny Huston) a Hollywood, paiono momenti da rimpiangere.
C’è un dettaglio politico ipocrita nella sceneggiatura di Jeff Pope. In un flashback che riporta alla Hollywood dell’autunno 1937, Laurel – suddito di un re inglese dal vastissimo impero africano – rinfaccia a Roach, cittadino americano, di essere amico per ragioni commerciali di Mussolini, uno «che prende a calci» gli etiopici. Non è impossibile che ciò sia realmente accaduto, ma nel film di Baird pare un omaggio politicamente corretto agli afroamericani. Per il resto il film procede per la sua strada, sostenuto dalla scenografia di John Paul Kelly, perfetta nel ricostruire una città e un’epoca. Bravi gli attori, specie i protagonisti. Paiono perfino sprecati, perché da loro Baird si accontenta di interpretazioni che sono soprattutto imitazioni.
Maurizio Cabona