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 2019  maggio 03 Venerdì calendario

Un film su Pavarotti

C’è un momento che definisce la carriera internazionale di Luciano Pavarotti, lo spartiacque fra il prima e il dopo. È il 2 giugno del 1966, il giorno del debutto al Covent Garden a Londra, quando Luciano interpreta con Joan Sutherland La Fille du Regiment di Donizetti. Quella sera Pavarotti, provocato dal direttore d’orchestra decide di fare quel che non aveva mai fatto nessuno: toccare i numerosi «do di petto» previsti a voce piena dallo spartito nell’aria «Ah Mes». Alla fine li raggiunge tutti e nove, con la nota finale limpidissima, sospesa nell’aria: oltre 6 secondi di acuto, 12 secondi con la variazione.
Finora c’erano solo registrazioni audio di quel momento chiave per la storia dell’opera, ma ora nel nuovo film/documentario Pavarotti di Ron Howard possiamo vedere l’intera scena grazie a materiale di repertorio in bianco e nero. Il viso tenero, da ragazzo, di Luciano, che aveva appena 31 anni, tradisce l’emozione e la tensione necessarie per compiere la prodezza: «È necessario il controllo totale dei muscoli – dice Luciano in una vecchia intervista – poi tutto scivola via in scioltezza».
Questo è soltanto uno dei momenti straordinari di un film, colmo di passione e di emozioni positive. Un film che cerca di soddisfare la curiosità che si è sempre avuta sulla differenza fra l’uomo e il cantante in questo personaggio davvero «Larger than Life», incontenibile, con il dono del sorriso abbagliante che vorrebbe abbracciare il mondo intero. «Scoprirlo, studiarlo, mi ha arricchito la vita» mi dice Ron Howard subito dopo la proiezione. Howard, con l’aiuto di Nigel Sinclair, il produttore, ha lavorato con la famiglia, con le case discografiche, con gli amici. Ha avuto dalla moglie del tenore Nicoletta Mantovani materiale inedito e accesso a tutti coloro che potevano dargli un quadro privato, il dietro le quinte di un personaggi che ha colpito la sensibilità emotiva del mondo interno.
Colpisce la cura della produzione. La scena del Covent Garden è immersa nella storia dettagliata di come si arriva a quel momento. Ci sono le immagini del 1963 a Sarajevo, il passaggio a Miami e nel 1965 la sostituzione chiave alla Royal Opera House di Giuseppe de Stefano nella Bohème, un trionfo.
Ma è solo nel 1966 che Luciano diventa per il mondo intero, ancora giovanissimo, il «Re del Do di Petto», come titolavano tutti i giornali del mondo. Il passo del film è sempre sostenuto, emotivo, interessante. Altre immagini inedite? Quelle che ha girato a casa Nicoletta. L’amatissima moglie gli chiede: «Come vorresti essere ricordato fra cento anni come cantante?». «Come uno che ha portato l’opera fra la gente comune», risponde. «E come uomo?». C’è un momento di struggente perplessità nello sguardo di Luciano, uno sguardo sospeso come alcune delle sue note più belle.
Il film ci mostra il dolore e le divisioni al momento della separazione dalla prima famiglia. Le polemiche, i titoli dei giornali, il dolore: «Non potevamo ignorare le mille sfaccettature del personaggio, anche quelle controverse – dice Howard – ma alla fine del lavoro sapevo di essermi arricchito sul piano emotivo».
Ci sono i ricordi del giovane tenore Vittorio Grigolo, il suo protetto. Ci sono le immagini straordinarie girate dal flautista Andrea Griminelli, con le quali apre il film: dopo un concerto in Brasile Luciano perlustra la foresta amazzonica in barca e in aeroplanino per raggiungere nel cuore della giungla Manaus, città misteriosa e remota che ospita l’Amazon Theatre. In quel teatro aveva cantato Enrico Caruso, il 7 gennaio del 1897, e Luciano voleva provare l’emozione di cantare dove cantò il suo predecessore più ammirato. Il teatro è chiuso ma naturalmente riesce a farlo aprire. La platea è assente, ma Luciano canta lo stesso. Canta l’opera per se stesso, per gli amici, per il pianista che si era portato dietro.
Nel film rivediamo i suoi agenti, ciascuno con un ruolo chiave per lo sviluppo della carriera. Herbert Breslin per quella americana, Tibor Rudas per quella mondiale, con gli spettacoli dei tre tenori e il simpatico britannico Artie Goldsmith per il salto finale verso il rock con gli «Amici di Pavarotti».
Vediamo i leggendari concerti di beneficenza che Luciano teneva a Modena con le rockstar, da Bono a Sting a Lucio Dalla a mille altri. La passione musicale si evolve così nel bisogno della restituzione a chi non ha avuto la sua fortuna, soprattutto ai bambini. Ci sono le interviste con Nicoletta, con Adua, la prima moglie. Le interviste con le figlie, Giuliana, Lorenza, Cristina, e le immagini della piccola Alice nata dal matrimonio con Nicoletta. Nel film, che uscirà in Italia a fine settembre, il cerchio si chiude. «Persino Adua si è ammorbidita» mi dice Nigel Sinclair, il produttore. Le figlie piangono e ridono. E giunge la risposta allo sguardo struggente di Luciano alla domanda di Nicoletta: «Come Uomo?». Oltre alla passione, al bel canto, resta la costante positiva su cui Luciano ha costruito la sua vita, onnivora di emozioni: se come uomo il film ci dice che non è facile conciliare il ruolo di superstar con quello di padre e marito, ci dice anche che l’amore per i suoi cari è stato infinito.