Luca Giampieri per “la Verità”, 3 maggio 2019
LA STORIA DELL’IMPRENDITORE FINITO A FARE IL RIDER - IL 54ENNE CARLO TEDESCHI HA VISTO CROLLARE LA SUA AZIENDA ED È STATO COSTRETTO A FARE IL FATTORINO PER SOPRAVVIVERE: “PEDALO QUATTRO ORE AL GIORNO PER 400 EURO AL MESE. SEI FORTUNATO SE RITROVI LA BICI. A ME HANNO FREGATO DI TUTTO, DAGLI SPECCHIETTI ALLE VITI DEL SELLINO. COL BRUTTO TEMPO TI DANNO IL 20 PER CENTO IN PIÙ MA HO RISCHIATO DI FINIRE SOTTO UN TRAM. UNA VOLTA, MI APRÌ UNA RAGAZZA APPENA USCITA DALLA DOCCIA, NUDA E…”
«Aspetto solo che arrivi il reddito di cittadinanza. Poi mollo tutto». Un colpo di tosse sordo, uscito dai bronchi, sigilla il proposito di Carlo Tedeschi, 54 anni da Vigevano (Pavia). È il lascito cronico di due anni e mezzo di vita da rider. «Una volta finito, userò la bicicletta per lo stretto necessario. Se proprio devo pensare a un hobby, preferisco le barche: sono da sempre la mia passione».
Una barca, il perito elettronico lombardo la aveva. A essere precisi, ne possedeva addirittura due. Prima del 2009, annus horribilis in cui, nel giro di due mesi, vide franare un' azienda di duplicazione di cd-rom con dieci anni di attività e cinque persone a libro paga. «Fornivo grosse società: Ibm, Acer, Mediaset, Citroën. Arrivai a fatturare 400.000 euro l' anno», ricorda l' ex imprenditore.
«Poi, all' improvviso, i clienti cessarono di inviare ordini. Era il boom degli smartphone, i cd-rom non servivano più». Alla fine del 2016, con un fardello di sette anni da disoccupato sulle spalle e una casa pignorata all' asta, Tedeschi si trovò a parlare con un amico. «Anche lui attraversava un momento difficile. Mi suggerì di rivolgermi a Uber per un posto da fattorino. Cominciai così. Oggi lavoro per Glovo».
Ricorda il giorno della sua prima consegna? Fu un impatto traumatico? «Era il 5 dicembre 2016. In realtà, fu divertente. Dopo quasi otto anni senza lavoro, credevo di avere risolto i miei problemi. Pensare di guadagnare attraverso un sistema così moderno mi stimolava. Ma durò poco».
Perché? «Dopo due giorni, mi ritrovai a letto immobile con le gambe distrutte. Avevo pedalato come un disperato. Pensai che non ce l' avrei mai fatta a reggere quei ritmi, mi sembrava di fare la Milano-Sanremo senza allenamento».
E poi? «Provai col motorino, ma in quel periodo dell' anno le temperature erano talmente basse che, alla sera, arrivavo a casa in ipotermia. Così tornai alla bicicletta. Il problema è trovarla quando finisci la consegna».
Ovvero? «Ogni giorno, sento almeno un collega dire "Mi hanno rubato la bici"».
È successo anche a lei? «Mi hanno fregato di tutto e di più: dagli specchietti alle viti del sellino».
Quante ore pedala? «Quattro ore al giorno, con una media di 30-40 chilometri. Da qualche settimana, però, sta diventando sempre più difficile prenotarsi. Il numero dei rider aumenta in maniera esponenziale, ma in primavera c' è meno richiesta e ci si ritrova a sgomitare per accaparrarsi le fasce orarie migliori. Roba da caporalato».
Si spieghi meglio. «Il sistema di prenotazione funziona in base al punteggio. Se hai tanti punti, quando apri il calendario della settimana hai la prelazione sulle fasce orarie. Altrimenti, ti toccano gli avanzi».
Una sorta di graduatoria «Io lo chiamo ricatto. Le aziende sanno che la gente si scanna per lavorare e se ne fregano di trovare un sistema più umano».
A determinare il calo dei punteggi sono le cattive recensioni dei clienti? «Anche. Ma ciò che pesa di più è la mancata presenza nei fine settimana; è lì che si concentra il lavoro. Basta fare un' ora in meno in tutto il weekend e il rating si abbassa. C'è gente che, per non perdere punti, non stacca mai».
Lei è uno di quelli che escono in strada anche sotto la pioggia battente? «Prima sì, col brutto tempo ti danno il 20 per cento in più. Ultimamente ho smesso. A febbraio, sono uscito con la neve pensando di guadagnare bene e sono scivolato. A momenti finivo sotto un tram».
È vero che ha fatto fuori due cellulari in una settimana? «Già. Quando piove a dirotto, puoi indossare quello che vuoi: l' acqua si infila dappertutto. Il primo telefono è andato così. Tre giorni dopo, ho preso un pezzo di porfido sporgente e il cellulare mi è saltato fuori dalla tasca. Le strade di Milano sono una tragedia: in due anni e mezzo, avrò forato una ventina di volte. In un paio di occasioni, mi è esploso letteralmente il copertone».
Si è fatto male? «Una volta, di sera. Sull' asfalto avevano lasciato dei pezzi di automobile dopo un tamponamento. Non li ho visti e sono volato a terra. Per fortuna andavo pianissimo, ma ho preso comunque 12 giorni di infortunio. Per un mese non ho potuto sdraiarmi, faticavo a respirare».
Un anno fa, a un suo collega andò peggio: finì sotto un tram nel centro di Milano e perse una gamba. «Ricordo bene quel giorno. Casualmente, mi trovavo sul lago in vacanza. Leggendo la chat dei rider, capii che era successo un macello. Poi seppi che avevano dovuto amputargli la gamba».
Qual è stata la giornata peggiore nella sua carriera di fattorino? «Ne ho avute talmente tante che sto appuntando tutto ciò che mi capita per farne un film. Gente che fa l' ordine e quando citofoni non risponde; li chiami e ti dicono che sono al cinema. Clienti che non possono ricevere la consegna perché il compagno li ha chiusi a chiave in casa. Una volta, mi aprì una ragazza appena uscita dalla doccia. Nuda».
Questo non lo inserirei tra gli episodi infami. «No, quello fu divertente. Poi ci sono gli stronzi».
Mi racconti del Re degli stronzi. «Mezzogiorno. Arrivo in un complesso di uffici con custode, ci saranno state dentro 1.000 persone. Per un' ora provo a individuare la società dove lavora il cliente, dato che non aveva specificato il nome. Alla fine si palesa, furente, e mi dice: "Io la faccio licenziare!". La mia risposta: "Se è così potente, prima mi faccia assumere"».
La consegna più strana? «Un articolo erotico. In farmacia mi domandarono quale dimensione desiderassi. Chiamai il cliente e passai il telefono alla farmacista. Una conversazione tragicomica: "Ma lo vuole da borsetta, normale o extra?"».
Si sarà fatto un' idea pittoresca del genere umano «Più di tutto, mi accorgo che, oltre a essere sfruttati dall'azienda, siamo visti come servi anche dai clienti. Per non parlare dei ristoratori che non ci fanno entrare perché "Non voglio mica che la gente vi veda!"».
In effetti, si dice che i rider siano i nuovi schiavi. Questo la mette in imbarazzo quando deve rivelare che mestiere fa? «Prima no. Ora mi vergogno, perché col tempo mi sono reso conto della considerazione che le persone hanno di noi».
Ma il gioco vale la candela? «Ogni tanto me lo domando anch' io. È pura sopravvivenza».
A cosa pensa mentre pedala? «Prego».
Davvero? «Sì. Per le tragedie che accadono nel mondo, per la gente che sta male. E prego di smettere il prima possibile con questo lavoro».
Alla fine del mese, quanto porta a casa? «Circa 400-500 euro. Se pedali 13 ore al giorno il discorso cambia, puoi guadagnare fino a 2.500 euro».
E chi ce la fa a pedalare per 13 ore? «Gli extracomunitari arrivano anche a 16. Il limite massimo sarebbe 11, ma si scambiano gli account per farne di più. Molti non hanno il permesso di soggiorno, quindi utilizzano le generalità di chi è in regola».
Quanto incidono le mance? «Pochissimo. È pieno di morti di fame, specie tra i ricchi. Sono più attenti i portinai, o gli addetti dei garage: loro sanno cosa vuol dire lavorare. Uno generoso è Paolo Maldini. Quando i rider vedono una richiesta di consegna al suo indirizzo, fanno a gara per prenderla. Ad alcuni ha dato anche 50 euro di mancia. Un vero signore».
Lo stereotipo è che il food delivery sia un' attività ad interim appannaggio di giovani e immigrati. È davvero così? «Basta aprire la finestra per vedere come stanno le cose. Se gli immigrati costituiscono la stragrande maggioranza, gli altri sono soprattutto italiani dai 40 anni in su. Ho conosciuto una pensionata ultrasettantenne che, per arrotondare, faceva consegne in macchina per Foodora. I giovani, dopo qualche giorno, scappano e vanno a lavorare al bar; guadagnano di più e fanno meno fatica».
Subito dopo l' insediamento del governo Lega-M5s, il ministro del lavoro Luigi Di Maio annunciò rigidi provvedimenti per regolamentare l' operato delle startup a tutela dei rider. Qualcosa è cambiato? «Praticamente nulla, a parte un provvedimento tampone sulle assicurazioni. Non c' è Inail, niente Inps e scatti di anzianità, nessun tipo di copertura. È un anno che promette e i salari sono sempre più bassi. Stiamo arrivando a 2,5 euro lordi a consegna».
Si sarebbe aspettato di rimanere escluso dal mercato del lavoro a 44 anni? «Mai. A 13 anni lavoravo già come fonico in un negozio di strumenti musicali. Non avevo mai avuto problemi. In un primo momento, pensavo di potermi riciclare con le mie competenze, ma trovai porte chiuse ovunque. Mi resi conto che, con la crisi, non stava in piedi più niente».
Come ha fatto a mantenersi per otto anni senza un reddito? «Vendendo tutto quello che potevo vendere. Dalle barche a un camper, fino alle attrezzature. Ho fatto anche le bancarelle».
Può dire di avere toccato il fondo? «Sì, con la depressione. Una malattia subdola che richiede molto tempo per essere curata. Ne sono uscito grazie ai farmaci».
C'è la tendenza, in parte giustificata, a denigrare le società di consegna online. Nel suo caso, però, sono state un appiglio in un momento drammatico. «È vero, ma l'errore che fanno in tanti è accettare l'adagio che le startup danno lavoro a migliaia di persone. La realtà è che queste aziende hanno capito che i poveracci sono galline dalle uova d'oro. Non è possibile che, in un paese come l'Italia, si tolleri questo livello di schiavismo».
So che, tra una consegna e l'altra, si sta organizzando per tornare a fare l'imprenditore. «Sono anni che ci lavoro giorno e notte, investendo una parte dei miei guadagni da rider. Ormai è questione di mesi. Partirò con un service audio e video, mi rivolgerò alle agenzie coprendo eventi, cerimonie, feste».
Cosa le resterà di questi anni, quando smetterà? «Nulla. Sarà come essere uscito dal carcere».