Corriere della Sera, 3 maggio 2019
La guerra di cifre sugli irregolari
Questo conto dei conti può cominciare dalla rumenta , la spazzatura, in genovese. Così due leghisti ingegnosi, l’assessore alla sicurezza Stefano Garassino e il presidente del municipio Centro-Est Andrea Carratù, spiegarono due anni fa alla Commissione periferie il calcolo dei migranti irregolari nei vicoli centrali di Genova: «Noi all’anagrafe abbiamo qui 20 mila iscritti; se la nostra municipalizzata, l’Amiu, qui raccoglie rumenta da 28 mila persone, ecco che ottomila ballano: quelli sono gli invisibili della zona».
Gli invisibili sono difficili da vedere, va da sé. Ma allargando quel metodo ad altre città visitate, e incrociandolo con i dati delle mense Caritas e con quelli dell’Istat (che conta ovviamente solo i regolari) i commissari del Parlamento della scorsa legislatura scrissero nella loro relazione unitaria a dicembre 2017 il numero ormai famoso: 600 mila. «La Caritas fa monitoraggio dal 1992 ed è molto attendibile», sostiene il forzista Andrea Causin, che di quella commissione è stato presidente. Su quel numero Matteo Salvini ha fatto campagna elettorale nel 2018, promettendo 600 mila rimpatri veloci. Vinte le elezioni, nel contratto di governo s’è tenuto più basso: 500 mila, che rendevano comunque necessaria una «rigorosa politica di rimpatri». I rimpatri invece marciano a una media di 20 al giorno, occorrerebbero almeno 80 anni (l’alleato-competitor Di Maio cominciava a rinfacciarlo ai leghisti). Finché dal Viminale, alla vigilia della Liberazione, non è uscito un numero sorprendente. «Gli irregolari sono 90 mila!», ha proclamato Salvini: «Gli altri giochino al lotto, ma i numeri dicono questo». Subito contestato dagli esperti, il ministro ha ottenuto il singolare assenso di una parte della sinistra per ragioni a lui avverse ma complementari: se il problema dei clandestini è risolto, anzi non è mai esistito, (ri) accogliamoli tutti!
E allora vediamo questi numeri. Salvini calcola, dal 2015, 478.683 migranti sbarcati, ne sottrae 268.839 che avrebbero raggiunto altri Paesi Ue, ne sottrae ancora 119.000 qui in accoglienza (i rimpatri, abbiamo visto, sono spiccioli): totale, 90.844. I problemi sono almeno tre. Il primo: il calcolo non può partire dal 2015, perché almeno dal 2011 inizia la fase più recente delle grandi migrazioni e, da allora, gli sbarchi sono 767.501 (di cui 170.100 solo nel 2013 e 2014). Il secondo: ci si limita a parlare di sbarchi, che non coincidono affatto con l’irregolarità (molti sbarcati, soprattutto in passato, hanno chiesto asilo e ottenuto protezione) e, per converso, molta irregolarità non viene dagli sbarchi ma dai visa overstayers e dai permessi di soggiorno scaduti: il calcolo, come si vede è assai più complesso e il metodo usato dal Viminale è suggestivo, legato all’immagine dei barconi. Terzo problema: persino assumendo che gli altri Paesi Ue ci comunichino che ben 300 mila nostri movimenti secondari sono arrivati da loro in questi 4 anni (Salvini ne dichiara un po’ meno), il sistema Eurodac va preso con le molle: non potendo essere detenuto, il migrante irregolare viene segnalato, gli si rilevano le impronte e poi lo si rimanda in giro, è impossibile stabilire quante volte venga ricontato negli anni. Perfino da tre confronti l’errore appare chiaro: è plausibile avere ottomila irregolari nel piccolo centro di Genova e solo 90 mila in tutta Italia? È verosimile avere, come accertato da uno studio di Welforum, 70-80 mila badanti senza permesso di soggiorno e avere in tutto appena 90 mila irregolari (non certo badanti)? È sensato immaginare che gli irregolari solo da noi siano l’1,5 per cento dei regolari (90 mila su 6 milioni) mentre in tutta Europa la percentuale è del 10 per cento e, secondo l’Oim, del 15 in tutto il mondo?
Una delle fonti più attendibili in materia è la fondazione Ismu. Quando nel 2018 presentò il suo XXIV rapporto sulle migrazioni, il responsabile della demografia era Gian Carlo Blangiardo, un tecnico dalla reputazione così robusta da indurre Salvini a volerlo alla guida dell’Istat. In quel rapporto, Ismu certificò 533 mila irregolari, con tendenza in aumento: «La crescita è iniziata nel 2013, quando si sono esauriti gli effetti dell’ultima sanatoria, varata da Monti l’anno prima». Il suo metodo induttivo è quello dei sondaggi nei centri di raccolta degli stranieri in tutta Italia: chiese, moschee, mense (come quelle Caritas, appunto); si contano i «sommersi» e poi si applicano al quadro generale; il metodo si è sempre rivelato assai attendibile in occasione di ogni sanatoria (il momento in cui almeno una buona parte del sommerso emerge).
Blangiardo ha ipotizzato che nella dichiarazione di Salvini manchi una locuzione: «In più». Gli immigrati irregolari non sono 90 mila in tutto, ma 90 mila in più, ha detto il professore al Foglio: «Al 1° gennaio 2018 erano 533 mila, è inevitabile che siano aumentati». Ovvio, con le frontiere chiuse e l’aumento dei dinieghi. La stima dei 600 mila invisibili appare del tutto corretta, dunque. Ma tanto questa quanto quella dei 90 mila «in più» potrebbero risultare ancora per difetto. L’Ispi, un centro studi di livello internazionale attivo da 90 anni, ha calcolato come per effetto del decreto Sicurezza di Salvini (ora legge) gli irregolari aumenteranno di 137 mila unità in due anni (superando quota 700 mila). Il ricercatore Matteo Villa ha contato, solo tra giugno 2018 a febbraio 2019, 48.406 dinieghi di protezione a fronte di 4.806 rimpatri, con un effetto di 43.600 irregolari in più: clandestini che, espulsi dai centri d’accoglienza ma non rimpatriati, andranno a rannicchiarsi nelle pieghe delle nostre periferie. L’ultima parola non toccherà ai numeri dei professori o agli spot di qualche politico, ma agli italiani che vivranno accanto a questi fantasmi.