Il Sole 24 Ore, 3 maggio 2019
Tremonti contro i big della revisione
L’Antitrust europeo farebbe bene a occuparsi dello strapotere e della posizione dominante dei 4 grandi colossi internazionali della revisione che – avendo esteso a dismisura il loro business anche alla consulenza finanziaria e industriale, legale e fiscale – minano la concorrenza. Spiazzando le libere professioni. Un nuovo caso Enron-Arthur Andersen potrebbe emergere da alcune grandi banche con bilanci che, pur certificati, contengono in sè su ben più vasta scala quello che un tempo è stata la Parmalat. Su questi temi arriva il monito del professor Giulio Tremonti che, in questa intervista, evidenzia i limiti delle riforme del sistema finanziario pur dopo le tante crisi culminate con il crack sistemico innescato dal caso Lehman Brothers. A partire dalla mancata adozione del “Global Legal Standard” – elaborato dalla presidenza italiana del G8 nel 2009, dopo un lavoro che vide protagonisti, tra gli altri, politici e giuristi come Enrico Letta, Guido Rossi e Alberto Santamaria – ma subito dopo approvato all’unanimità a Parigi in sede Ocse come bozza di un avveniristico trattato multilaterale. «Già alcuni anni prima, era l’autunno del 2003, rappresentai il Governo Italiano in un approfondito vertice con la Sec a Washington, un confronto sulla riforma della legge bancaria italiana che allora era in corso di elaborazione. Fu una discussione ampia. Il mondo aveva da poco conosciuto il caso Parmalat in Italia, ma anche il grande scandalo Enron negli Usa. Il caso Parmalat era stato assolutamente particolare: di solito si nascondono i passivi, in quel caso erano stati inventati gli attivi. Una asimmetria informativa che spiazzò tutti. Ma seppure non così originale, gravissimo era stato il caso Enron che aveva appena travolto Arthur Andersen».
Come si concluse la sua riunione con la Sec? «Diciamo che notai da parte loro qualche cortese perplessità, ritenevano sufficienti le regole che andavano preparando. In realtà regole scritte non tanto per evitare ex ante comportamenti non corretti, come nella logica che poi sarebbe stata del “Global Legal Standard”, ma soprattutto regole sviluppate nella logica ex post della riorganizzazione dei ratios e della previsione di maggiori controlli contabili e di vigilanza. Si iniziò parlando di Parmalat, ma al termine della riunione segnalai che così si andava verso una “global Parmalat”. Pochi anni dopo scoppiò il caso Lehman e crollò l’intero sistema». Il caso Lehman evidenziò tutte le criticità del sistema finanziario, l’inadeguatezza delle regole di Vigilanza e contabili e coinvolse, seppure solo nella reputazione, le società di rating. E le società di revisione, sempre più attive nel ruolo della consulenza, sono anch’esse un esempio di potenziale conflitto di interessi? Secondo Tremonti, «per decenni, le società di revisione hanno avuto un’operatività rigorosamente limitata per oggetto e campo di attività alla revisione contabile. E hanno avuto, anche in Italia, una importante funzione di crescita della cultura economica e dell’etica. Ma negli ultimi anni tutto è cambiato nel mondo e anche in Italia. Il mondo è diventato più grande, globale, ma le società della revisione sono asimmetricamente passate da 8 a 4. Non solo. Hanno esteso sulla più vasta scala immaginabile e pensabile le attività di “consulenza”». Tra le quali, negli ultimi tempi, sono comparse anche quelle fiscali e legate al contenzioso. Che ne pensa? «Nel vecchio mondo, nel campo fiscale, i revisori entravano solo per certificare il “fondo imposte” e non altro, niente di più. Oggi le vecchie società di revisione con le loro galassie sono diventati oligopoli industriali, mega-industrie a tutti gli effetti: per numero degli addetti, per dimensione degli uffici. Il risultato è che comprimono nella massificazione e nella serializzazione dei servizi che producono su scala industriale quello che un tempo era il mondo delle “professioni liberali”, espressione dei criteri e valori intellettuali e morali che le parole stesse “professioni liberali” indicavano. E poi non solo la trasformazione in senso industriale di servizi un tempo riservati alle libere professioni, ma anche l’abbattimento dei valori che dovrebbero comunque essere tipici del mondo industriale. A partire dalla concorrenza. Una prova? La formulazione di offerte al ribasso con tariffe orarie di tipo cinese, non credibili rispetto alla tipologia dei servizi offerti. Seriamente si può escludere in questo contesto l’emersione da qualche parte nel mondo di un nuovo caso Enron-Arthur Andersen?».
Ma come si può affrontare questo strapotere delle 4 big della revisione e della consulenza? «Se c’è un caso di cui dovrebbe o potrebbe occuparsi l’Antitrust europeo, è proprio questo. A tutela da una parte del mercato e dall’altra dei cittadini». C’è un evidente tema di concorrenza, ma anche di conflitto di interessi? «Revisione e consulenza si muovono in continuo su una frontiera mobile che, fatta qualche esclusione – come nel caso delle società quotate – si sviluppa di fatto in una logica sostanziale infragruppo, spesso senza neppure il formale rispetto del criterio delle non propriamente impenetrabili muraglie cinesi». Dove potrebbe arrivare l’emersione un nuovo caso Enron-Arthur Andersen? «Se il caso Enron è stato drammatico e quello che è venuto dopo nel 2008 è stato devastante, una terza crisi sarebbe ancora più drammatico rispetto a quanto visto finora. Le faccio l’esempio dei derivati: sono un enigma avvolto in un mistero o un mistero avvolto in un enigma? All’origine i derivati sono stati un effettivo strumento di copertura dal rischio di tasso e di cambio. Ma più o meno da un paio di decenni è l’opposto. Strumento non di assicurazione ma di speculazione. Facciamo il caso di qualche grande banca europea. Magari il caso di una fusione che è stata esclusa o forse solo rinviata ma non in dipendenza di esuberi di personale, piuttosto in presenza di esuberi di derivati. La domanda che dovremmo e potremmo farci è che senso ha la revisione contabile in questi casi? Che differenza c’è rispetto al caso Parmalat? Forse solo nel fatto che nei derivati gli attivi si confondono con i passivi senza limiti, senza tregua, senza trasparenza. Quasi minando le basi stesse dell’ordine capitalistico che tra l’altro presuppone come elemento essenziale la fiducia. Come dicevano i latini: Quis custodiet ipsos custodes? Forse è arrivato il tempo per separare il mondo delle credenze superstiziose dal mondo della ragione e della fiducia».