il Giornale, 3 maggio 2019
Elogio della stroncatura
Jay Rayner è il temutissimo critico gastronomico del Guardian. I racconti delle sue esperienze gastronomiche sono vera letteratura, colti e spassosi. Ma Rayner è anche convinto che siano le stroncature a interessare il lettore. Il ché non lo induce a calcare la mano solo allo scopo di soddisfare il senso per il sangue dei suoi fan, ma certamente spinge la sua prosa a raggiungere le vette soprattutto quando si tratta di raccontare qualcosa che non va piuttosto che qualcosa che va. Non è un caso che due dei suoi più venduti libri siano raccolte di pessime esperienze gastronomiche. Il primo, uscito nel 2012, si intitolava «My Dining Hell», ovvero «Il Mio inferno gastronomico». Sottotitolo: «Venti modi per trascorrere una pessima serata». Nel 2018 il bis: «Wasted Calories and Ruined Nights». Ovvero: «Calore sprecate e notti rovinate».
Quando stronca un ristorante Rayner non usa mezze misure. E non guarda in faccia nessuno. Un paio di anni fa andò a cena al Le Cinq, un allora tristellato parigino (oggi bistellato e chissà che il parere di Rayner abbia contribuito al declassamento) che presenta ai propri clienti un conto da 600 euro. Ecco l’attacco dell’articolo: «C’è solo una cosa peggiore di vedersi servito un pasto pessimo. Ed è vederselo servito da camerieri seriosi che non hanno la minima idea di quanto orribili siano le cose che ti stanno facendo». Così un ristorante si trasforma, parole sue, in una «scena del crimine». «In termini di rapporto tra prezzo e aspettative Le Cinq è di gran lunga la peggiore esperienza che io abbia mai vissuto. E sono 18 anni che faccio questo lavoro».
In Italia questo tipo di trattamento per i ristoranti anche di altissimo livello non è possibile. Un po’ perché molte recensioni sono scritte a seguito di inviti. Ma molto perché esiste un certo culto della personalità degli chef di vaglia, considerati spesso come maitre-á-penser intoccabili. Immaginate che davevro qualcuno possa muovere una critica a Massimo Bottura senza essere in qualche modo espulso dal circo della comunicazione gastronomia?
Qualche anno fa ci provò Federico F. Ferrero, medico nutrizionista e vincitore dell’edizione 2013 di Masterchef Italia. Iniziò a collaborare con la stampa e tanto per scaldarsi stroncò due mostri sacri della alta cucina italiana: l’Enoteca Pinchiorri (tre stelle) e Mauro Uliassi (allora due stelle e oggi tristellato). Niente di che rispetto al Rayner-style ma abbastanza per fare un po’ di scalpore nella morta gora del giornalismo attovagliato. Anche Edoardo Raspelli esibisce come medaglie le trenta querele ricevute per articoli non graditi, ma erano altri tempi.
E oggi? Non ci resta che Tripadvisor. Dove la stroncatura è frutto spesso di ignoranza, di rancore, di voglia di vendetta, di supponenza. Ma dove comunque ancora si trovano guizzi di gustosa indipendenza.
Ecco alcune delle più strampalate critiche ai più titolati ristoranti italiani tratte dal portale della civetta. Non citeremo il locale e non per omertà ma solo perché possiate divertirvi a indovinare, sapendo che si tratta in tuti i casi di ristoranti tre stelle, quindi della top ten italiana.
Sgrammaticature e strafalcioni sono stati lasciati.
Uno. «Location fredda ed assolutamente non accogliente. Personale trasparente, che non é in grado di trasferire alcuna emozione al cliente, anzi quasi angosciante. Cucina........ Boh, io non ricordo alcun piatto».
Due. «Premetto che sono un ignorante, assolutamente non in grado di capire i numerosi commenti positivi su questo ristorante. Considerata la fama di cui gode lo chef, il prezzo sbalorditivo in assoluto, ma specialmente in rapporto a quello che si mangia, mi aspettavo almeno di non dover ricorrere ad un fantastico “camogli” al primo autogrill capitatomi al ritorno subito dopo essere usciti dal ristorante in questione!».
Tre. «Veniamo al menù degustazione. Costato quasi una rata di mutuo, era composto da poche portate. Ti aspetti allora che siano portate eccellenti, indimenticabili. Bene, niente di tutto ciò. Certo non cattive, per carità. Piacevoli al palato, ma meritano questo clamore e questi prezzi? Per me sicuramente no».
Quattro: «Non credo di aver mai mangiato così male in un posto tanto blasonato. Al di la del servizio, che ha toccato l’acme dello stucchevole, quello che mi ha sorpreso sono i prezzi stratosferici dell’acqua. Qui non è un problema di estetica, ma di etica».
Cinque: «La sala fumatori è l’unica parte del locale interessante. L’unica. Consiglio allora, a chi voglia a tutti i costi vivere quest’esperienza, di iniziare a fumare giusto per non sprecare completamente una serata».
Sei (tradotta dall’inglese: «Ignorati alla porta per 5-10 minuti prima di andarcene. Forse la colpa era dei miei pantaloncini in piena estate?».
Sei (la nostra preferita): «Le stesse movenze sacerdotali del professionalissimo/elegantissimo personale di sala (di un’attenzione che arriva a sconfinare nell’asfissia) sembrano appartenere quasi ad una studiata teatralità autoreferenziale finalizzata ad enfatizzare l’inconscio autocompiacimento del cliente di far parte per una sera di una pièce teatrale, in cui i protagonisti non sono in realtà i piatti ma i commensali».