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 2019  maggio 03 Venerdì calendario

La love-story che imbarazza l’Onu

Sesso, potere e soldi: la solita, vecchia triade delle pulsioni umane, fucina di mille ferocie. Che stavolta viene declinata nel cuore di uno degli organismi che, sulla carta, meno dovrebbe prestarsi all’esplodere di queste passioni. Si chiama Unaids, ed è il braccio operativo delle Nazioni Unite sull’emergenza dell’Aids: emergenza uscita dai riflettori dei media ma che ancora imperversa nel sud del mondo. Sacrificio, duro lavoro nelle missioni sul campo: questo uno si immaginerebbe da Unaids. E invece i vertici dell’organizzazione sono investiti da una bufera che – iniziata nel nome del #Metoo, con una accusa di molestie sessuali ai danni di un vicedirettore – sta portando allo scoperto brutte storie di potere e di affari, di amanti e di viaggi in business class qua e là per il mondo.
A lanciare il primo sasso è stata Martina Bostrom, funzionaria svedese dell’organizzazione, che ha accusato il vicedirettore Luiz Loures, brasiliano, di averle messo le mani addosso in ascensore, in un hotel di Bangkok, l’8 maggio 2015, in una delle tante convention a base di hotel a 5 stelle che i vertici di Unaids frequentano qua e là per il pianeta. Per un anno e mezzo la donna tace, poi si decide a denunciare Loures. A quel punto parte l’inchiesta interna, a cura dell’ufficio investigativo della Organizzazione mondiale della sanità, che oltre a finanziare Unaids fornisce sede e logistica all’organizzazione. Dopo quattordici mesi di inchiesta, il rapporto finale dice che le accuse della Bostrom non hanno trovato alcun tipo di conferma. Ma intanto lo scandalo ha investito l’organizzazione, i cui vertici – a partire da numero 1, il direttore esecutivo, il maliano Michel Sidibè – vengono accusati di non avere messo in atto cautele sufficienti per proteggere la componente femminile da prepotenze e agguati. Scende in campo Code Blue, agguerrita Ong americana che dà la caccia ai molestatori nelle aziende. Sidibè si trova costretto a nominare una commissione indipendente che conclude i suoi lavori con giudizi pesanti sul clima che le donne respirano in Unaids, che una testimone descrive come un «terreno di caccia per predatori». Ma la stragrande maggioranza del consiglio direttivo di Unaids rfiuta di fare proprio il rapporto commissionato da Sidibè.
Vere o non vere le accuse a Loures? Una inchiesta-bis è ripartita da poco, dopo che anche un’altra presunta vittima ha accusato il brasiliano di molestie. Il problema è che intanto a uscirne malconcia rischia di essere la grande accusatrice, la Bostrom, cui fonti interne a Unaids consultate dal Giornale rinfacciano di essersi lanciata nella campagna #Metoo per neutralizzare l’inchiesta che la vedeva sotto tiro insieme a un astro emergente: il medico senegalese Badara Samb, un virologo già in forza all’Oms, sbarcato a Unaids nel 2012 facendo incetta di risorse e di cuori. 
Tra le conquiste di Samb – un gigante di quasi due metri, loquace e affascinante – c’è anche lei, la Bostrom, che ottiene di essere assegnata al suo staff. Su quanto accade dopo, è eloquente il rapporto che l’11 luglio 2018 David Webb, capo dell’ufficio investigativo dell’Oms manda al vicedirettore di Unaids, la svedese Gunilla Carlsson. Bostrom e Samb vengono accusati di pratiche fraudolente e utilizzi indebiti dei fondi dell’organizzazione, di esseri fatti pagare viaggi da aziende esterne che intanto Samb reclutava come fornitori di Unaids, di avere utilizzato gli alberghi pagati da Unaids per i loro incontri intimi, persino di avere impiegato le mail dell’organizzazione «per scambiarsi messaggi con esplicito linguaggio sessuale, volgarità, nudità, incluse foto dei rispettivi genitali, anche durante l’orario di lavoro». Il comportamento dei due, conclude il rapporto, ha messo a rischio la reputazione di Unaids. L’indagine contro la coppia viene congelata, in attesa dell’esito dell’inchiesta-bis per molestie sessuali. Il ruolo di whistleblower, di fonte anonima, della Bostrom le garantisce una sorta di salvacondotto. Ma solo per ora.
Intanto Loures ha lasciato Unaids nel febbraio 2018, alla fine del suo mandato. Ma il vero obiettivo è la poltrona di Sidibe, che gestisce un budget da 180 milioni di dollari all’anno, un apparato gigantesco e spesso superpagato, finanziato dalle Nazioni Unite e da una serie di cosponsor. Nei giorni scorsi è stata lanciata la gara per il successore, che dovrò essere nominato l’anno prossimo dal segretario generale dell’Onu Antono Guterres. «Stipendio attraente e pacchetto di benefit», promette il bando. Ma la vera sfida sarà dimostrare al mondo che quelli di Unaids si occupano di bloccare davvero l’Hiv, oltre che di bere, fare sesso e accapigliarsi per il potere.