la Repubblica, 4 aprile 2019
I pistoleri antieroi di Jacques Audiard: “Per me il western è pura commedia”
Jacques Audiard, autore francese di film duri dall’anima sociale – Un profeta, Deephan – non è il primo regista a cui si pensa per una commedia western. Il genere è straordinariamente elastico, capace di contenere epoche, ideologie, poetiche, stili diversi e tornare ciclicamente popolare, vedi le riletture recenti dei Coen e di Tarantino. Ma l’operazione messa in piedi con I fratelli Sisters, applaudito e premiato con il Leone d’Argento all’ultima Venezia (in sala il 2 maggio), è decisamente inusuale. Tratto dal romanzo Arrivano i Sister di Patrick deWitt, il film racconta di due fratelli pistoleri, John C. Reilly e Joaquin Phoenix, uno più anziano e riflessivo, l’altro scapestrato, al servizio di un losco riccone (Rutger Hauer).
Vengono inviati a caccia di un chimico (Riz Ahmed) che ha messo a punto una formula indispensabile nella caccia all’oro. Ad agganciare la preda in vista dell’arrivo dei killer c’è Jake Gyllenhaal. Si tratta di un film psicologico, in cui non mancano le sparatorie e i paesaggi, ma che è centrato sui dialoghi ed è senza eroi. “L’ho affrontato come un film d’epoca più che come un western”, racconta Audiard. Perché “da francese, il genere non mi appartiene. Anche il romanzo, che ho amato, ha lo stesso tipo di approccio. Si interessa più al percorso interiore dei personaggi e alle relazioni piuttosto che all’ambientazione western. Le due coppie, cercatore e scout da un lato, i fratelli dall’altro, vivono in modo diverso rispetto al loro tempo. I primi due abbracciano la modernità, i fratelli sono uomini di Neanderthal. Rispetto al romanzo nel film ho sviluppato la parte legata all’utopia, alla modernità”.
Un film pensato per parlare al presente. “Non sarei riuscito a farlo, se non ci fosse stato questo forte punto di contatto con il presente. È curioso scegliere un film d’epoca per renderlo metafora di oggi, ma di fatto la possibilità di utopia, speranza, fiducia nel progresso è senza tempo. Anche se, visti i risultati, il film è pessimista”. Quanto ai fratelli, “hanno la psicologia di due dodicenni, hanno perso il padre in modo traumatico, e vivono nell’idea di tornare dalla madre. Non esistono altre figure perché i personaggi sono rimasti fermi alla fase puberale”.
Audiard spiega la sua avversione al western: “Ne ho visti molti, ma non ero molto attratto da questi film concentrati sui grandi spazi, sul senso di conquista e figure maschili che mi incutevano timore e femminili che non mi dicevano molto. Mi piacciono invece i western anni 60 e 70, quando hanno iniziato a trattare tematiche sociali, penso al Piccolo grande uomo: l’aspetto ecologista, quello del genocidio dei nativi americani. Come se il genere si fosse aperto finalmente alle istanze democratiche”. Chiama in causa la commedia: “La stranezza del cinema anni 30 americano è avere da un lato una cospicua produzione western, dall’altro la commedia di Frank Capra e di altri autori che sono espressioni meravigliose di intelligenza e seduzione. Vale anche per il noir. Il western di quell’epoca resta per me in una sorta di recinto genocidario e virile. In I fratelli Sisters ho voluto rileggere il western con i canoni della commedia di quegli anni”. E una commedia, stavolta musicale, è il suo prossimo progetto. “A quali film mi ispiro? Les parapluies de Cherbourg di Jacques Demy e Cabaret di Bob Fosse”.