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 2019  maggio 01 Mercoledì calendario

Pinketts se n’è andato senza fare troppo casino

Come l’anima di un figlio nato da una madre morta di parto rimane azzoppata per tutta la vita, il libro E dopo tanta notte strizzami le occhiaie dello scrittore milanese Andrea G. Pinketts, scomparso per un carcinoma il 20 dicembre scorso a 57 anni, è un’opera frammentaria, in cui tutti i racconti che lo compongono si comportano come anelli di una catena saldata a mano, nel mezzo e alla fine della malattia. Questo suo ultimo lavoro, uscito postumo per Mondadori (244 pp., 18 euro), è popolato di un fitto sottobosco di personaggi storti, sorpresi dall’impossibile che, forse non a caso, li colpisce come un tumore, e vivono sospesi fra una sardonica accettazione della loro diversità e un incrollabile impegno nel cercare di mettere un argine all’inconsistenza della condizione umana, permeabile anche alle più strane aggressioni del destino. Si legga, per esempio, Pesto alla milanese, la storia di un uomo color verde mela, che abbassandosi sembrava un cespuglio ed è capitato che qualcuno gli abbia pisciato addosso. «Verde come un gelato al pistacchio», racconta il protagonista quasi in forma di poesia, «sono verde come l’assenzio, sono verde come un pisello, sono verde come l’Irlanda, sono verde come il credo di un ambientalista, sono verde come la cravatta di un leghista». In Sparati il pallore, un uomo soffre della sindrome di Liquid Face, ovvero gli si scioglie la faccia, e incontra una bambina cui pure si scioglie la faccia. L’unica soluzione per bloccare lo scioglimento, ha scoperto l’uomo, è mettersi il rossetto; solo così, all’istante, la faccia torna allo stato solido. E ancora La coscienza di Xeno: Xeno Magnaghi è un tizio che racconta le sue peripezie in Italia. È uno che adora i perditempo e onora i perdigiorno, in un Paese che ha una «costituzione chiara come una falsa bionda: l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro. In realtà aveva mentito sapendo di mentolo, di metanolo, sapendo di mentire. L’Italia a conti fatti era una repubblica fondata sul capolavoro. E sul dopolavoro: operai, impiegati, dirigenti, disoccupati cosmici che anziché giocare a briscola ormai si cimentavano da disoccupati cronici in improbabili sfide al videopoker. L’Italia non aveva più un lavoro, l’Italia faceva marchette all’estero». Chi manca, in questo libro è il doppio letterario di Pinketts, Lazzaro Santandrea, protagonista di molte delle sue storie e che, raccontava lui, gli apparve una notte al bar dopo tredici ore di riprese per Onda Tv. 

CANNIBALE E INQUIETO
Pinketts era nato Pinchetti, giornalista prima di Onda Tv, poi inchiestista per Panorama e Esquire. Gli venne di diventare scrittore nei primi anni Novanta: il romanzo Lazzaro, vieni fuori gli spalancò le porte dell’ultimo decennio del secolo scorso, quando esplose il movimento letterario dei Cannibali. L’antologia Gioventù cannibale uscì nel 1996 e insieme con Pinketts c’erano Niccolò Ammaniti, Aldo Nove, Stefano Massaron. Pinketts non amava le etichette, schifava “giallista”, “scrittore di noir”, “pulp”. Eppure a volte le etichette, usate a segno, a qualcosa servono: Pinketts sdoganò in Italia il genere “hardboiled”, un rimescolamento del giallo classico alla Agatha Christie con scene turpi, ossute, e quella spietatezza cialtrona della vita vera. Il genere nacque negli anni Venti con l’americano Dashiell Hammett, un comunista veterano di due guerre mondiali, che fornì a Humphrey Bogart il personaggio del detectiveprivato cinico, solo, che campa di caffè nero, sigarette e whisky. Pinketts aveva un talento bizzoso e “benzinato”, con l’Antico Toscano che gli pendeva sul mento e un bicchiere di alcol distante da lui non più di un avanbraccio. Ha sempre vissuto con la mamma Mirella, che diceva che il fumo e l’alcool erano per lui delle appendici, alla Hemingway e alla Bukowski; e al bar Trottoir, in piazza XXIV maggio, a Milano. Uno scrittore anacronistico, arrivato in un’epoca che, ricambiata, non fece nulla per piacergli, un’epoca della quale nemmeno riusciva a scandire le parole («Spettacl.. spettacolor.. com’è che si dice?», chiese all’intervistatore, «Spettacolarizzazione» – «Ecco, quello»), che trovava nauseabonde e deprecabili. E un’epoca veloce e superficiale per uno che è appagato dal lento “s-cenerare” del sigaro: «L’uomo misura il vago tempo con il sigaro» diceva Pinketts citando Borges, «dà il gusto della riflessione». Non se n’è andato circonfuso di fama a 27 anni come le rockstar, ma a 57, età bastarda e senza gloria: negli ultimi tempi ruminava un sigaro di liquirizia e poteva ordinare solo un mojito a base di acqua. Lo scrittore rideva di quella sbiadita versione di se stesso, con una voce roca che lasciava l’impronta nell’aria. «L’uscita è il momento più importante della vita di un uomo. Puoi sempre riscattare una cattiva entrata con una buona permanenza, puoi sfondare la porta del prossimo e costruirgliene una blindata, puoi iniziare con lo schiaffeggiare una donna e se sai rallentare la mano puoi improvvisare una carezza. Ma l’uscita è la cosa più definitiva di te. Non la puoi rimediare neanche con un ritorno», scriveva nel suo primo romanzo. Quanto a E dopo tanta notte, che possiamo considerare un ritorno, è vero che non può rimediare l’uscita di Andrea G. Pinketts, ma almeno la rallenta.