Libero, 1 maggio 2019
Maurizio Costanzo: «Se non lavoro, muoio»
È prossimo agli 81 anni, Maurizio Costanzo, ma ha tanto di quel vigore da riuscire a stringere tre generazioni in un solo abbraccio, le stesse che ha tirato su con quella tv che ha fatto la storia del costume nazionale. Come nessun altro prima, ha saputo integrare la cultura all’intrattenimento con una formula che, a tutt’oggi, è l’unico a conoscere. Appena maggiorenne esordisce come giornalista collaborando con il quotidiano romano Paese Sera; di lì a poco lo attende un’investitura che darà inizio all’inarrestabile ascesa: a 22 anni imbriglia le redini della redazione romana di Grazia. Il giornalista, negli anni a venire, imparerà infatti ad affinare una rara capacità di individuare talenti: sono molti i personaggi che gli devono popolarità ed affermazione, e quando gli domandiamo se abbia mai riscosso la loro gratitudine, risponde: «Sopravvivo anche senza le lodi dei beneficati, tuttavia posso affermare di averle sempre ricevute».
ADORATI GENITORI
Ma è soprattutto lui medesimo ad inchinarsi al valore della riconoscenza, e non perde occasione per manifestarla verso gli adorati genitori: «Sono stati i primi a favorire la mia carriera, e nonostante non abbiano fatto nulla per promuoverla, si sono astenuti anche dall’ostacolarla. Questo era già tanto in un’epoca in cui si diceva che gli unici a girar di notte fossero ladri, puttane e giornalisti. Per i miei, la professione che ho intrapreso, ha rappresentato una “vergogna” che hanno affrontato a testa alta. Mi rammarico di non averli più accanto per ringraziarli, ma sono sicuro che li rincontrerò».
Quel suo cipiglio sardonico entra nelle case degli italiani a rivendicare valori di rettitudine e legalità, e la strenua battaglia a sostegno della giustizia, gli costò una condanna a morte da parte della criminalità organizzata: era il 14 maggio del 1993 quando la mafia confezionò per lui un ordigno da 70 kg di tritolo. Gli domandiamo se, quel tragico episodio, abbia sedimentato in lui delle paure: «Mi ha segnato profondamente, ma le cose che mi spaventano sono ben altre. La malattia invalidante è una di queste, o se vuole, il rincoglionimento. Anche la solitudine mi intimorisce, ma si può trovare il modo di sfruttarla quale risorsa: godere della propria compagnia significa entrare in contatto con se stessi ed imparare a conoscersi. Sono figlio unico, ho quindi cominciato a familiarizzare con l’isolamento e la noia sin dalla più tenera età, tuttavia benedico i miei momenti morti, perché più di quelli vivi mi hanno spronato ad agire. Pavento anche gli stupidi, ed in rappresentanza della categoria pongo gli omofobi: qualcuno che si faccia condizionare dai gusti di un altro a tal punto da opinarlo come individuo, deve per forza avere dei gravi limiti intellettivi». E se non fosse riuscito a dare riscontro all’aspirazione del giornalismo? «Se vuole sapere quale fosse il piano B, le rispondo subito di non averne mai avuto uno. Bisogna trovare il coraggio di nutrire i propri sogni investendoci tempo e risorse. Lo so, è un azzardo, ma tutta l’esistenza lo è, e se non sei disposto a rischiare non sei pronto a vivere».
Quando gli domandiamo se abbia dei rimpianti, prima di palesarmi i suoi di uomo, enuncia quelli relativi al Costanzo cultore del bello: «Mi rammarico che ad Alda Merini non sia stato reso il premio Nobel. Quanto a me rimpiango il tempo che passa, e per trascorrerlo al meglio, oltre che nel lavoro, lo investo negli affetti. Nipoti e figli rendono completa la mia vita, mia moglie, invece, la sublima, e benchè non deleghi alle parole i miei sentimenti, glieli dichiaro in maniera più funzionale. A che serve dire “Ti amo”? Se hai bisogno di sentirlo significa che nutri dubbi sull’amore dell’altro, ma per fortuna non è il caso di Maria, e neppure il mio. È una lavoratrice instancabile, ed il modo migliore che io trovi per comunicarle la mia adorazione è quello di esserci, facendo di me stesso l’unico punto fermo di un’esistenza in perenne movimento».
COME PIERO ANGELA
Sulla scia della leggenda che genio e follia vadano a braccetto, ci viene un dubbio: Costanzo si sente un po’ pazzo? «Sì, forse lo sono a lavorare ancora, ma la capacità di reinventarmi anche ad età improbabili l’ho appresa da un professionista come Piero Angela. Anche lui la pensa come me, e cioè che il lavoro renda giovani». Tanto è vero che, esortato ad evocare il futuro, lo descrive così: «Mi vedo a condurre il Costanzo Show, ma soprattutto, indefinitamente, m’immagino di vivere». Non appena lo invitiamo ad aggiungere un comandamento ai tradizionali dieci, non ci pensa su a lungo: «Integrerei il decalogo con “Non rompere le palle”». A questo punto gli chiederemmo di enumerare tutti i personaggi intervistati, ma vista l’impresa, potrebbe sollecitarci ad onorare l’11° comandamento. Non rimane che basarsi sui calcoli empirici di chi ha contato qualcosa come 45mila interviste. E benché le sue domande siano avvolte da un alone di leggendaria irriverenza, i vip farebbero carte false per esserne bersaglio. Costanzo dovrebbe essere clonato ad ogni tribunale del Bel Paese, con la certezza che l’imputato, pur non assoggettandosi ad alcun giuramento di onestà, riveli comunque l’inconfessabile.