Corriere della Sera, 1 maggio 2019
Viaggio tra 14 case editrici
E gli altri? È talmente interessante il libro di Cristina Taglietti, Risvolti di copertina (in uscita domani per Laterza), che a pagine chiuse viene voglia di esclamare: e gli altri editori? Perché questo viaggio nell’editoria è un’appassionante ricognizione – raccontata (e dialogata) – sul lavoro culturale di oggi. E dunque, è lecito, una volta terminata la lettura, volerne sapere di più. Quattordici case editrici, dove «case» è la parola chiave. Si parte sempre dai quartieri, dalle vie, dalle porte, dai muri, dalle insegne, dalle stanze, dai tavoli, dalle scrivanie, dalla materialità delle composizioni e delle strutture. Ed è un modo insolito di partire, quando si parla di editoria, un modo affascinante e sensuale. Ci vorrebbero anche gli odori dei libri, ma già avere il colore delle pareti, i quadri, l’arredamento è disporsi in una prospettiva nuova rispetto alle abituali panoramiche storico-culturali. Soprattutto c’è l’organizzazione della quotidianità. E nella quotidianità non ci sono soltanto gli editori e i direttori editoriali, ci sono nomi non carismatici, invisibili faticatori del libro. Alla Sellerio non ci sono solo Antonio e Olivia, gli eredi di Elvira e di Enzo, c’è il quasi novantenne Beppe Ajello che «sembra il personaggio di un romanzo», il quale condivide con Delia Poerio la stanza dove passano tutti i manoscritti in arrivo. Circa tremila l’anno, tanti dei quali sono invii indistinti che probabilmente vengono mandati anche ad altri editori: il modo più sicuro per farsi bocciare.
La geografia delle 14 tappe riflette, più o meno, la densità editoriale italiana: molta Milano (7), poi Roma (2), Bologna (2), Torino (1), Firenze (1), Palermo (1). Grandi (Giunti, Mondadori, gruppo GeMS, Feltrinelli), medi (oltre a Sellerio, e/o e il Mulino), piccoli (Castoro, NN, L’orma, Bao). E poi c’è l’esperienza nuovissima (la cui forza di navigazione è quasi incredibile) de La nave di Teseo, con Elisabetta Sgarbi che chiede la disponibilità totale dei suoi collaboratori, ed è insieme un nuovo e un vecchio modo di concepire l’attività editoriale: «A volte per esempio abbiamo fatto delle riunioni a Ferrara, il sabato. La sera a cena magari ci si vede, c’è poca differenza tra vita e lavoro». Ed ecco il mondo scolastico di Zanichelli dove «il manuale per il docente è come il cacciavite per l’elettricista» (Massimo Bergamini dixit, autore di bestseller matematici per le scuole). Ciascuna delle singole ricognizioni in loco ha un suo Virgilio che accompagna l’autrice e dialoga con lei, mostra, racconta il dietro le quinte, i meccanismi, di solito lunghi e spesso faticosi, qualche volta – ma solo qualche volta – perfettamente collaudati, che portano alla decisione e da lì all’uscita del libro, dopo numerosi passaggi: gli aggiustamenti, la discussione degli editor con l’autore, la confezione (copertina e risvolti), la promozione, la distribuzione, le presentazioni, le fiere, il riscontro della stampa e del lettore, la vendita.
Quel che colpisce (e di cui sono consapevoli per primi gli editori) è la «non pianificabilità» dei successi. Se chiedete a un addetto ai lavori quanti titoli, a parte (ma non sempre) i bestseller internazionali annunciati, hanno ottenuto i risultati previsti, vi sentirete rispondere con una percentuale minima. Ciò che conta è il lavoro serio, la visione, quella che Ernesto Franco, direttore generale dell’Einaudi, chiama felicemente «l’intenzione», è fondamentale, così come la coerenza nel portare avanti un’idea (e un autore). Il marketing aiuta, ma non è mai determinante in partenza. E l’arroganza non è indispensabile, visto che la volontà di concentrazione ha finito per produrre un quadro più differenziato di prima e considerando che anche i piccoli, negli ultimi tempi, hanno avuto soddisfazioni da classifica. Qualche esempio? La sorpresa di Kent Haruf uscita dal cappello di una magnifica start up come NN di Eugenia Dubini oppure il ritorno di Annie Ernaux, inosservata in passato sotto grandi sigle e ora trionfante con L’orma della simpatica coppia Lorenzo Flabbi-Marco Federici Solari, che a quanto pare amano molto l’autoironia, oltre al duro lavoro. Oppure ancora il caso della «Schiappa» che illumina d’immenso Il Castoro di Renata Gorgani.
È sulla diversità che bisogna puntare, non sull’omologazione. Può sembrare un paradosso, ma lo dice persino Enrico Selva Coddè, uno degli uomini più potenti dell’editoria italiana, dall’alto della sua posizione di vertice nel gruppo Mondadori: «Il centro dà degli orientamenti, delle strategie, delle infrastrutture, e il mio ruolo, quello di un editore con molti editori, è di non porre limiti, ma proporre linee di sviluppo».
Un altro aspetto che colpisce (almeno nelle parole degli intervistati) è che se i piccoli non ignorano la dimensione industriale, i grandi non vogliono rinunciare al tratto artigianale che appartiene alla tradizione. E che rimane una peculiarità anche dei piccoli diventati medio-grandi. Il coraggio è una buona carta, che può distruggere e può salvare. La formula del Mulino la illustra bene Ugo Berti nella formula: «Reimmaginarsi per continuare a fare le stesse cose». Ma pensate a e/o, la casa dei coniugi Sandro e Sandra (Ferri e Ozzola), che con L’amica geniale di Elena Ferrante hanno guadagnato posizioni nel mondo ma ancora prima hanno letteralmente inventato Europa Editions, che è molto di più che una filiale americana: «Da un lato ci piaceva essere artigianali e molto poco manageriali, dall’altro puntavamo a raggiungere un pubblico più ampio». In quarant’anni ci sono riusciti, promuovendo nel labirintico mercato degli Stati Uniti non solo i propri libri tradotti ma anche i libri di altri editori italiani. Impresa di famiglia che si avvale ora anche della «variabile» Eva, psicologa junghiana, la figlia trentenne di Sandro e Sandra, che guarda all’Est asiatico, al distopico, aprendo verso un nuovo orizzonte che non era quello originario immaginato in origine da mamma e papà. Versatilità, eclettismo. Si potrebbe dire multitasking. Questo è, rispetto al passato, la casa editrice di oggi e di domani: bisogna saper scegliere, curare i libri, intanto magari avviare corsi di scrittura o di lettura, occuparsi dei social, allestire gli stand nelle fiere (sempre più numerose), non dimenticare i bilanci e, perché no, scoprirsi librai in proprio. La «seconda vita» di Feltrinelli nella nuova sede milanese progettata da Herzog & de Meuron è pensata proprio in questa chiave, non più verticale ma orizzontale. Per questo il direttore editoriale Gianluca Foglia parla di un «flusso di conversazione quotidiana che rende una casa editrice un organismo che respira», evitando la ritualità sacrale e ingessata delle riunioni.
Caterina Marietti e Michele Foschini non avrebbero mai fondato Bao Publishing, con sede in una mansarda milanese, se non sapessero occuparsi di tutto: scouting, acquisizioni all’estero, redazione, comunicazione. E non avrebbero mai scoperto Zerocalcare se non avessero seguito il suo blog, non l’avrebbero trattenuto se non avessero tenuto d’occhio i centri sociali o le mense occupate. Ma anche i grandi oggi hanno bisogno di «reinventarsi»: non per nulla Stefano Mauri, presidente di GeMS, punta molto sull’interazione tra produzione di libri e distribuzione, vero marchio di famiglia (l’immensa famiglia di tanti editori abita la stessa palazzina di zona Sempione). Per questo confida nel progetto di un torneo letterario («Io Scrittore») per trovare autori potenziali e insieme allestire una sorta di «palestra di autocoscienza di scrittura». Il merito di Cristina Taglietti è quello di farci conoscere un mondo molto più variegato di quello che gli stessi addetti ai lavori potrebbero immaginare (figurarsi gli altri lettori curiosi). Restiamo dunque in attesa del secondo viaggio nell’editoria, quello che comprenderà anche, con gli altri, la Laterza che elegantemente questa volta ha voluto dare ospitalità da dietro le quinte.