la Repubblica, 1 maggio 2019
Benvenuti a Sgarbilandia
SUTRI (VITERBO) Alzi la mano chi sa dove si trovi Sutri. Disposta lungo la via Francigena a una trentina di chilometri da Roma, la cittadina ha mantenuto le sue forme medievali ed è immersa in un territorio di tesori archeologici. Era però sparita dalle mappe. Finché non è diventato un folle e provocatorio laboratorio di sperimentazione per Vittorio Sgarbi che, da sindaco, un anno fa ha voluto la nascita di un museo che sta imponendo Sutri negli itinerari turistici.
«L’apertura di un museo è un atto ambizioso», spiega Sgarbi, «e tenere chiuso Palazzo Doebbing era l’errore più grave che si potesse compiere. Un peccato mortale, che abbiamo sventato. Il palazzo porta il nome di Joseph Bernard Doebbing, tedesco eletto vescovo qui nel 1900. Nell’origine di questo posto c’è una vocazione internazionale».
Qualcuno potrebbe dire: benvenuti a Sgarbilandia. Fatto sta che Sutri dimostra come un investimento sulla cultura possa tramutarsi in un volano per la crescita. Il primo ciclo di mostre a Palazzo Doebbing ha richiamato undicimila visitatori e il nuovo, appena inaugurato, promette di totalizzarne di più, anche grazie all’annesso Museo di arte antica e di arte sacra, ora allestito con le collezioni comunale e diocesana.
Nella sezione temporanea, fino al 12 gennaio, sono in mostra undici artisti. Superato l’Efebo di Sutri, capolavoro arrivato dal Museo Nazionale Romano, si raggiunge la sala con l’Estasi di San Francesco di Tiziano e l’Immacolata di Scipione Pulzone. Il percorso, sostenuto dalla Fondazione Cultura e Arte di Emmanuele Emanuele, si chiama “Dialoghi a Sutri” e sembra di trovarsi al centro di un confronto impossibile tra l’algido Scipione e la pittura materica dell’ultimo Vecellio. L’impatto è reso più complesso dalle tele di Guttuso che occupano le pareti laterali.
Eppure, quando la mostra sembra sul punto di sfaldarsi, ci si accorge che il tessuto non cede. «Tutta l’arte è contemporanea», precisa Sgarbi, «solo facendo dialogare secoli diversi, le opere restano vive. Una mostra così, seppur in un centro così piccolo, è degna di una metropoli europea».
L’arcicritico ha rinunciato alla griglia spazio-temporale per una trama sorretta da una pluralità di suggestioni, sottili legami tra le opere e gli artisti. Un primo nesso lo si scopre tra una natura morta di Guttuso, Spadole e ricci, e un dettaglio della tela di Pulzone. Un pesce, attributo di Sant’Andrea, penzola con inedito realismo all’estrema sinistra della pala dell’Immacolata. Il pesce di Pulzone e quelli di Guttuso sono così vicini che non può sfuggire il suggerimento e avviare, tramite Guttuso, il contrasto tra i due pittori cinquecenteschi.
Il gioco di corrispondenze tra animali torna nell’eco tra il fenicottero dell’Incantatrice di serpenti di Rousseau e i Fenicotteri di Ligabue. Una rete di citazioni innesca confronti tra opposte polarità: l’espressionismo e la classicità, il sacro e il profano, l’impegno civile e l’introspezione.
Il Massacro d’agnelli guttusiano, al di qua dell’etica del lavoro, ha la metrica di una crocifissione. Il ferro penetra le carni della vittima che attende di essere sacrificata assieme alle altre due che già sono appese ai suoi lati.
Il Ritratto con finestra di Ligabue è un ossessivo esorcismo del caos. Tutto è fermo, le croci di una chiesa, della finestra che l’inquadra e della carta da parati, inchiodano il disfacimento dell’essere. La sacralità del popolo è un’altra strada che lega Guttuso a Rosai, Ligabue e i ritratti di Carlos Solito che ha fotografato i volti petrosi di centenari sardi.
Nelle intenzioni di Sgarbi la mostra di Solito doveva emergere dalla pietra nelle grotte prossime all’anfiteatro. Non è stato possibile e il fotografo è ospitato nello stesso livello di una mostra di disegni e pastelli di Francis Bacon, grande ammiratore di Rosai.
Con Lamagna e Solito conclude il trio di artisti contemporanei Luca Crocicchi. Il cielo nero di Passaggio è animato da fiori bianchi, leggeri come farfalle. Crocicchi restituisce una realtà passata al setaccio della memoria. Questa distanza dal presente si rivela anche con un leggero fuori fuoco che scompare nei vasi di fiori sui quali campeggia una L identica a quella con cui Ligabue sigla il suo Fiori alla finestra. Nel siglare l’opera questi artisti prendono congedo da un angolo di mondo sottratto al caos e la fede nel potere salvifico del loro lavoro lascia una traccia di sé nella diligenza infantile della firma.
Tra la classicità di Pulzone e la drammaticità tizianesca, il risultato è una sospensione metafisica, che ci accompagna lungo la mostra e che si ritrova negli autoritratti di Fausto Pirandello, caratterizzati da un’inquadratura strettissima. «C’è da giurare che la prossima Biennale non sarà altrettanto stimolante», azzarda alla sua maniera Sgarbi. Venezia aspetta di dire la sua, ma nel laboratorio di Sutri-Sgarbilandia qualcosa si è mosso davvero.