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 2019  maggio 01 Mercoledì calendario

Le orme dello Yeti

Molti ridono, altri stupiscono, qualcuno si indigna, ma a oltre seicento anni dal primo annuncio ufficiale del 1407 anche l’India ha infine scoperto lo Yeti. A scovare l’«abominevole uomo delle nevi» nel 2019 e dopo centinaia di libri, film, fumetti e videogiochi, nientemeno che la squadra di una spedizione d’alta montagna dell’esercito di New Delhi. E’ successo il 9 aprile, ma solo ieri la superpotenza asiatica ha avuto il coraggio di annunciare al mondo che «per la prima volta sono state rinvenute le misteriose impronte del mitico essere». I militari indiani assicurano di averle fotografate nei pressi del campo base del Makalu, la quinta montagna più alta della terra con i suoi 8463 metri di quota, sul versante nepalese, una ventina di chilometri a est dell’Everest. Due immagini delle tracce, per ragioni quasi opposte, hanno fatto impazzire il web sia in Oriente che in Occidente, occupando la giornata di oltre sei milioni di esseri umani aggrappati ai social. L’India ha precisato così che la zampa di quest’ultimo Yeti misura 81 centimetri di lunghezza e 38 di larghezza, evidentemente dilatati dalla fusione della neve: comunque un gigante senza precedenti, nemmeno nella fantasia della realtà virtuale, «in passato avvistato solo nel parco nazionale del Barun», controllato da Kathmandu. Qualche dubbio, sull’effetto scatenato dall’annuncio, è venuto anche ai generali indiani. Un comunicato sottolinea che «le prove sono state fotografate e consegnate agli esperti in materia» e aggiunge, scanso oscillazioni della fede globale nello Yeti, che «si basano su evidenze fisiche, video e racconti».

Sbellicarsi all’idea che le sofisticate forze armate della più popolosa democrazia del pianeta osino diffondere seriamente una notizia simile, è salutare. Non aiuta però a comprendere la serietà e la bellezza del secolare nodo-Yeti, stretto attorno a cultura, scienza, leggenda e politica. Gli appassionati di storia in pillole, con un comodo clic su Wikipedia, possono ingoiare rapidamente le tappe di una saga che nel mondo italiano e tedesco ha assunto il volto «yetesco» di Reinhold Messner. Il «re degli Ottomila», nel pieno della corsa alle vette senza ossigeno, aveva giurato di averlo «incontrato più volte». Ha poi chiarito, nel libro «Yeti, leggenda e verità», che il presunto umanoide affetto da ipertricosi altro non è che «una specie di orso himalayano», un incrocio tra la razza bruna dei plateau asiatici e quella bianca dei ghiacci polari, divise per sempre da glaciazioni, sismi e surriscaldamenti atmosferici. «L’annuncio indiano – dice adesso – lo conferma. Lo Yeti è un orso, ma la sua leggenda supera la scienza fino a incarnare una verità popolare che è diventata realtà. In Tibet, Nepal e Bhutan la gente crede da secoli nella materializzazione zoologica di una fantasia comune: è in questo senso ben più vasto e interiore che un orso, in Himalaya, è uno Yeti». In Oriente il mito resta sacro, almeno quanto l’ironia in Occidente. Nata, tra l’altro, da imbarazzanti errori di traduzione rilanciati perfino, nel 1953, dalla decisiva spedizione di Edmund Hillary sull’Everest. Il britannico Yeti storpia il termine «yeh-teh» con cui gli sherpa nepalesi indicano «quella cosa là», ossia «la creatura delle rocce». In Tibet «dzu-teh» significa la «cosa grossa», «meh-teh» una «cosa più piccola». Ogni civiltà nativa, oltre a un dio, conserva un demone nascosto dentro un animale umanizzato: le maschere sfuggite a Mao nei monasteri tibetani, offerte oggi nei mercati nepalesi, esprimono senza equivoci la medievale onnipotenza di sovrani divini. Questi Yeti, o uomini selvatici rappresentati come orsi, tra il Pamir e la Mongolia si chiamano «alma», tra la Cina e l’Indonesia «xuérèn», in Siberia «chuchunaa», tra i nativi americani del Nord «sasquatch», tra quelli del Sud «isnashi». Se ne conservano zampe e pellicce, zanne e ossa. A stupire davvero, nel 2017, è stato così l’annuncio che uno studio internazionale, guidato da Londra, ha chiuso il rompicapo grazie al Dna. Per via genetica i biologi hanno stabilito che lo Yeti è scientificamente uno speciale orso himalayano, in via di estinzione.
Questo vale in Occidente però, perché l’Oriente si aggrappa al suo Yeti metafisico, colonna dell’altra metà del globo. L’India può anche essere un’avveniristica potenza arcaica, ma ingenua non è. Far scoprire all’esercito lo Yeti tra Nepal e Tibet nel 2019 politicamente significa ricordare, non solo a Pechino, che sull’Himalaya i confini e la sovranità del Tibet storico, ossia la terra dello Yeti e la sorgente dell’acqua, restano indefiniti: e che non tutti i trattati di pace, in Asia, sono stati firmati. È velleitario rinchiudere l’«abominevole uomo delle nevi» in una cellula animale da sparare su twitter: sarà un mostro, un orso, oppure un diavolo, ma «l’abominevole uomo delle nevi» resta prima di tutto un’idea meravigliosa che fa sorridere perché si capisce che con il cuore un estremo mito senza tempo va preso sul serio. Del resto non si può immaginare, ricordano anche a Lhasa, ciò che non esiste.