la Repubblica, 1 maggio 2019
A Tokyo in coda per sposarsi nella "nuova era"
Cinque minuti dopo la mezzanotte, mentre dalla bolgia di Shibuya sale l’eco dei festeggiamenti per la nuova era, esce dall’ufficio la prima coppia. Yu, 25 anni, ha degli enormi orecchini a forma di cuore. Mako, 28, un berretto giallo calato di traverso. «Oggi inizia qualcosa di nuovo per il Paese, e inizia qualcosa di nuovo anche per noi».
Marito e moglie, niente di più semplice: in Giappone basta presentarsi al municipio con un modulo compilato e la firma di due testimoni. La grande cerimonia si può fare prima, dopo o non fare per nulla, ma il giorno che fa fede resta quello della registrazione di fronte allo Stato.
Per questo il municipio di Shibuya stanotte fa orario continuato: quale data più propizia del primo giorno di Reiwa, la “bella armonia”? Yu e Mako sono i primi sposi di Tokyo, probabilmente i primi dell’intero Giappone. «Almeno sarà facile da ricordare», scherza lui. Fine del romanticismo. Le prime coppie hanno preso il posto parecchio in anticipo, quando ancora si poteva scegliere: «Heisei o Reiwa?», chiedeva prima di mezzanotte l’addetta dello stato civile.
Domanda inutile, tutti vogliono sposarsi nell’era che si apre, mica in quella che si chiude. E il municipio di Shibuya, con nipponico spirito di servizio, le ha pensate tutte per renderla una formalità memorabile. Tre panciute guardie di sicurezza, all’apparenza per niente seccate dal turno notturno, accolgono con un inchinone le coppie, porgendo loro la custodia per gli ombrelli bagnati. Gli impiegati le smistano tra sportelli e sale d’attesa. E dopo la fatidica firma, si può procedere alla postazione fotografie, afferrare una delle palette a forma di cuore “just married” e scattarsi un selfie di fronte al cartonato con i due caratteri “Rei-wa”. «Certo che ce lo siamo fatto», dice Kanna, 29 anni, appena diventata moglie di Juntaro. «L’ho spedito a mia mamma in chat». Non proprio il matrimonio che sognano i genitori italiani. In un certo senso, questo Giappone è l’estremo opposto degli esoterici rituali del Palazzo imperiale, del rigido protocollo a cui da oggi saranno sottoposti Naruhito e Masako. Qui siamo a Shibuya, uno dei quartieri più divertenti del mondo, la Times Square versione punk e accelerata dove ogni notte bazzicano ragazzini vestiti da Pokemon, maniaci dello shopping e professionisti a fine turno in stato di ebbrezza, tra ladybar e karaoke. Anche questi ragazzi a sposarsi ci arrivano come capita, chi in giacca e cravatta e chi in tuta, chi con una bottiglia di spumante in un sacco, da stappare all’uscita, chi pronto a tornare a casa a dormire. La colorata sobrietà di un altro Giappone, per cui il matrimonio è un passo semplice: «Stiamo insieme da un anno, era venuto il momento giusto», spiega la 25enne Yu, i capelli rossi. «Spero che questa era sia pacifica come la precedente». Shibuya non è un municipio come gli altri: nel 2015 è stato il primo del Paese a riconoscere le unioni omosessuali. Dalle porte scorrevoli di questo stesso edificio, a un paio di strade appena dalla movida, sono uscite le prime coppie Lgbt giapponesi. E quando chiediamo agli sposini se per la prossima era sarebbero favorevoli a un’imperatrice donna, la risposta è sempre la stessa, scontata: «Qual è il problema?». I veri problemi del Giappone sono altri, non quelli del Trono del crisantemo. «Siamo un Paese maturo, che ha poca capacità di innovare e dove la vita costa sempre di più», attacca Kaiki, 27 anni, ingegnere informatico in una società di cybersicurezza. Guarda la moglie: «Reiwa è un nome, va bene per sposarsi. Ma da solo cosa vuoi che cambi?».