il Fatto Quotidiano, 30 aprile 2019
Ciriaco De Mita voleva morire a 87 anni. Intervista
Lei sarebbe dovuto morire, secondo i suoi stessi calcoli, quattro anni fa. Che ci fa ancora qui a Nusco, nel suo studio, con le immancabili carte napoletane sul tavolo e perdipiù ricandidato a sindaco del paese?
Avevo ipotizzato di morire a 87 anni. Ne ero veramente convinto e mi pareva del resto anche una bella età. Rimango dell’idea che quegli anni fossero giusti.
Ciriaco De Mita è indispettito dei 91 anni che si ritrova.
Sono rimasto sorpreso ma come vede non ne sono affatto dispiaciuto. Vorrei emulare mio nonno che si accomiatò con la preghiera della buona morte. Nel sonno si spense. Non infastidì nessuno, aveva già preparato il viaggio. Anche mio padre morì in modo piuttosto rispettabile. Quando giunse l’ora disse a noi figli: vi ho dimostrato di sapere soffrire. Adesso lasciatemi morire.
Ricandidarsi a sindaco però è una cattiveria.
La scelta risale a tre giorni fa. Neanch’io lo credevo possibile. È stato un atto di resistenza all’oltraggio di un’amicizia sulla quale avevo fatto affidamento.
Purtroppo i cattivi sono più numerosi dei buoni.
Purtroppo conservo la memoria. Dovrei aggiungere un secondo purtroppo: io penso da quando avevo 7 anni.
Molti dei nuovi governanti neanche hanno mai votato una scheda elettorale con il nome del suo partito, la Democrazia cristiana. Twitter nemmeno accetterebbe la sua domanda d’iscrizione.
Di cosa parla?
Ora conta l’istante, contano i selfie, conta parlare alla pancia del Paese. De Mita è fuori sincrono con questo tempo. Lei è come quei blob di Ghezzi.
Le ho già detto che fin da bambino sono stato allenato al pensiero. Chi pensa ha memoria, chi non pensa semplifica rovinosamente. Chi pensa sa che ogni ragione ha un punto d’incontro nel compromesso con l’altro. Chi non pensa banalizza. Banalizzando e semplificando sempre più si esalta il desiderio nella più completa ignoranza del contesto. L’utile netto di questa somma di disgrazie è che otterremo un aumento indiscriminato dei pagliacci.
Lei chiama pagliacci i nuovi governanti?
Onestamente devo dire che Grillo mi è simpatico. È venuto anche qui a Nusco a recitare. Ai tempi dei suoi problemi in Rai l’ho difeso insieme a Biagio Agnes. Ha avuto la capacità di interpretare i bisogni della gente. Per interpretarli li ha dovuti conoscere, quindi è stato bravo.
Grillo è promosso.
Un momento. Grillo conosce i bisogni ma non ha soluzioni. Poi si è messo insieme a un personaggio enigmatico (io penso anche un po’ mostruoso) come quel Casaleggio.
Grillo ha fatto meglio di don Sturzo. È arrivato al 33 per cento in minor tempo.
Concordo sull’enormità del successo. Che forse è stato troppo più grande delle sue stesse aspettative. Tutti questi giovanotti, senza alcuna arte, si sono ritrovati lanciati in cielo. E da lassù, dalle vette incredibili, adesso si schianteranno a terra. È la legge della fisica. Più vai in alto senza aver messo in conto che bisogna saper volare, più la caduta – se sei pesante e ti mancano le ali – sarà rovinosa.
Lei pronostica il disastro. Al tempo della sua Dc uno come Gava l’avrebbe accusato di malocchio.
Non ho alcun dubbio che andranno al disastro, ma per via di un loro difetto genetico. I Cinquestelle sono il medico dolente dell’Italia ammalata. Anziché approntare la terapia aggiungono al dolore altrui il loro lamento. Ha mai visto un medico lamentarsi per i dolori del paziente? Sono destinati a scomparire (detto questo, ripeto: Grillo mi fa simpatia).
E i loro compagni di ventura?
Quel Salvini è assai rozzo, ma il suo movimento ha custodito negli anni un collegamento più solido con gli artigiani, i lavoratori autonomi del Nord. Un corpo sociale importante che gli farà da paracadute. In sintesi: mi sembra meglio messo.
Se la maggioranza è questa, bisognerà guardare all’opposizione.
Il Partito democratico è senza pensiero. Il Pd dunque è il tentativo del niente. E un partito che non ha pensiero semplicemente non esiste.
Non ha mai amato il Pd.
Il Pd lo immaginò per primo Francesco Rutelli come strumento di garanzia verso Prodi. Fallì, arrivò Veltroni e in verità fu assai cortese con me. Mi chiamò e mi disse: vorrei darti l’incarico di formare la nuova classe dirigente. Poi la nebbia.
Presidente De Mita: l’opposizione non esiste, la maggioranza è formata da pagliacci. Non resta che scappare.
Ogni domanda deve avere una risposta. Presto o tardi questo equilibrio si riformerà.
Cosa vuol dire?
Che ci può essere qualcuno che chiederà il ripristino delle regole.
Cioè un tizio.
Le esperienze democratiche possono finire, lo sa?
Lei pensa al moderno tiranno.
Ritengo plausibile che una società lungamente stressata dai bisogni insoddisfatti divenga preda di qualcuno. Io lo dico non perché lo desideri, ma perché lo temo. E se voi giornalisti invece di denunciare unicamente le malefatte non vi sforzate di proporre soluzioni, sappiate che tra dieci anni anche la stampa libera non esisterà più.
Il dittatore prossimo venturo.
La paralisi è un evento possibile, bisogna tenerne conto. E ci sarà chi invocherà una misura di salvaguardia.