Il Sole 24 Ore, 30 aprile 2019
Iraq, produzione petrolifera record
Forse neanche Saddam Hussein, il dittatore che ha governato l’Iraq con il pugno di ferro dal 1979 al 2003, avrebbe potuto immaginare traguardi così ambiziosi. Negli ultimi dieci anni la produzione petrolifera irachena è infatti raddoppiata superando i quattro milioni e mezzo di barili al giorno (mbg). È un record storico per questo sfortunato Paese, che negli ultimi 40 anni ha conosciuto solo guerre e violenze intervallati da pochi periodi di pace. Nei momenti migliori della dittatura di Saddam, nel 1980, la produzione aveva toccato il picco di circa 3,5 mgb. Quando il dittatore venne rovesciato, nell’aprile del 2003, l’estrazione non superava i 2,5 mbg (per poi scendere negli anni successivi).
I contratti firmati con le major energetiche straniere – tra cui Exxon Mobil, Lukoil, Bp, Eni, le grandi compagnie statali cinesi – per potenziare l’estrazione dei grandi giacimenti, e avviarla in quelli nuovi, hanno dato i loro frutti. L’Iraq ora vanta una capacità produttiva di oltre 5 mbg. E sull’onda dell’entusiasmo Baghdad ostenta obiettivi ancor più ambiziosi: raggiungere 7,5 mbg entro il 2025.
Sarà tanto se arriverà a sei milioni, precisano diversi analisti internazionali. Ciò nonostante si tratta di un boom capace di modificare non solo gli equilibri in seno all’Opec (di cui l’Iraq è divenuto secondo produttore) ma anche quelli del palcoscenico mondiale dell’energia. Un recente rapporto dell’Agenzia internazionale dell’energia (Aie) stima che questo Paese di quasi 40 milioni di abitanti, diverrà molto presto il quarto produttore mondiale di greggio(per altre organizzazioni lo è già divenuto), lasciandosi alle spalle il Canada. Si troverà così nel club dei quattro giganti dell’oro nero, in compagnia di Russia, Arabia Saudita e Stati Uniti.
Da qui al 2030, precisa l’Aie, l’incremento produttivo iracheno sarà di 1,3 mbd, il terzo al mondo. Baghdad si candida così a divenire il terzo esportatore mondiale. Euforico, il Governo iracheno che a lungo è stato sganciato dalle quote produttive Opec a causa delle diverse guerre, oggi punta ad avere più voce in capitolo in seno all’Organizzazione, mettendo in discussione il dominio assoluto di Riad.
La prudenza, tuttavia,è d’obbligo. L’Iraq era, e resta, un gigante dai piedi d’argilla. Che potrebbero sgretolarsi se dovesse ripiombare in un nuovo conflitto. Perché se tante sono le sue potenzialità, tanti sono i suoi problemi. Immaginiamo un Paese con le quarte riserve di greggio al mondo, la quarta produzione mondiale, eppure condannato ad importare benzina e prodotti distillati dai vicini. Un paese colpito da quattro guerre (Iran-Iraq, 1980-1988, prima guerra del Golfo 1991, seconda guerra del Golfo, 2003, gli anni del terrore, 2003-2009, e guerra contro l’Isis, 2014-2018) che hanno distrutto le sue infrastrutture, provocando un trauma collettivo. Un Paese la cui fatiscente griglia elettrica ha abituato la popolazione a convivere con esasperanti black out. E che sul fronte politico ha presto deluso le speranze di un Governo stabile e forte. Il nuovo Esecutivo di coalizione, formatosi faticosamente in ottobre (vi figurano anche curdi e sunniti), è paralizzato da tempo a causa dei dissidi tra i due maggiori gruppi di potere. Entrambi sono sciiti – uno filo-iraniano, l’altro nazionalista – e minacciano di far cadere un Governo ancora orfano di 10 ministeri, tra cui quelli strategici degli Interni e della Difesa.
Per rimettersi in piedi l’Iraq ha un disperato bisogno degli investimenti internazionali. Ma si trova prigioniero nel durissimo scontro in atto tra Stati Uniti ed Iran. Le più che solide relazioni con il vicino Iran sono un dato di fatto. Entrambi sciiti, Iran e Iraq sono alleati nella guerra civile siriana. Le agguerrite milizie filo-iraniane sono intervenute a fianco del governo iracheno nella guerra contro l’Isis. Quanto ai rapporti commerciali, sono in costante crescita. Quelli militari anche. Stesso discorso per quelli culturali. Gli Usa, partner indispensabili nella guerra al terrorismo, che hanno 5.200 militari in Iraq, hanno concesso a Baghdad un permesso temporaneo di importare benzina e gas dall’Iran, permettendogli così di non incorrere nelle sanzioni. Ma ora Washington ha perso la pazienza; vuole che Baghdad tagli i legami con Teheran. Quelli economici, ed anche quelli militari. La tolleranza della Casa Bianca non durerà per sempre. Dal canto suo Teheran ha intimato a Baghdad di chiedere il ritiro dei militari americani dal suolo iracheno. Il premier iracheno, lo sciita Adel Abdul Madi, sta ora cercando di rafforzare le relazioni commerciali con le potenze sunnite del Golfo, con il Kuwait ma anche con l’Arabia saudita. La quale è tuttavia il nemico giurato dell’Iran.In modo da trovare un’alternativa nell’import di distillati qualora Washington dovesse perdere la pazienza. La popolazione irachena cresce ogni anno di un milione di persone. La domanda di energia elettrica raddoppierà da qui al 2030. Il Governo, l’attuale o quello che verrà, dovrà dimostrare al mondo che merita fiducia. Il fatto che nell’ultimo round, nell’aprile del 2018, per l’assegnazione dei contratti petroliferi sia stato disertato dalle grandi compagnie internazionali non è però un buon segno.