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 2019  aprile 30 Martedì calendario

I robot-insegnanti piacciono ai bambini

I robot salgono in cattedra e sembrano più bravi degli insegnanti in carne ossa. Con la loro pazienza infinita, l’aspetto buffo e la capacità di creare sul display esercizi diversi e coinvolgenti riescono a rapire l’attenzione degli alunni. Le versioni più sofisticate sono empatiche: usano gli occhi e le parole per incoraggiare i bambini a fare meglio.
Quando un allievo sbaglia un calcolo o non riconosce il colore di un oggetto, Tega, il gioiellino del Massachusetts Institute of Technology, lo guarda negli occhi, dicendo frasi del tipo: «Sono sicuro che farai meglio la prossima volta. Ho fiducia in te». Con il suo aspetto che ricorda un peluche colorato e peloso Tega stabilisce una stretta connessione con i bambini. Cynthia Breazeal, esperta di interazione uomo-macchina del Mit, parla di «speciale affinità» tra robot e baby umani.
Guide personalizzate
Gli adulti tendono a stancarsi rapidamente delle macchine, ma non è così per i bambini. Adorano interagire con loro, come se fossero esseri senzienti e sociali. Per questo i ricercatori di tutto il mondo cercano di sfruttare questo speciale rapporto per trasformare i robot in insegnanti, tutor o, semplicemente, «compagni» con i quali fare i compiti. 
È probabile che i robot non sostituiranno mai completamente gli insegnanti umani. Ma potranno, per esempio, fornire agli studenti l’opportunità di disporre di una guida «personale». Oppure offriranno sostegno extra ai bambini che hanno esigenze speciali o a chi sta imparando una lingua. Quest’anno robot di lingua inglese entreranno in 500 scuole del Giappone e in Cina già centinaia di asili hanno adottato robot educativi. In Occidente, al contrario, a parte qualche esperimento, questi dispositivi non sono ancora riusciti a invadere le scuole.
Di sicuro la rivoluzione è rallentata dai costi della tecnologia didattica. Ma potrebbe essere un ostacolo che riusciremo ad aggirare. Lo scienziato informatico e cognitivo Brian Scassellati dell’Università di Yale, negli Usa, e il suo team hanno realizzato il robot «low cost»: si tratta di Keepon, che assomiglia a due palle da tennis messe l’una sull’altra con occhi e naso. «Produrlo costa solo 200 dollari». 
C’è, intanto, chi esprime timori sui potenziali rischi di affiancare per molto tempo un automa a un bambino. Su questo tema, però, la letteratura scientifica è piuttosto scarsa. I primi test suggeriscono che i robot potrebbero aiutare gli studenti a imparare nuove abilità e potrebbero promuovere buone abitudini di studio, nonché atteggiamenti positivi nei confronti dell’apprendimento. I sostenitori dei robot a scuola credono che le macchine rendano la scuola sostanzialmente più divertente.
«Se i bambini amano imparare, impareranno di più», dice Tony Belpaeme, esperto di social robot della Ghent University, in Belgio. Pensiamo al robot Minnie, sviluppato dall’Università del Wisconsin-Madison per supportare i bambini nella lettura a casa. Minnie, descritta in un articolo pubblicato su «Science Robotics», commenta i libri, mentre i bambini leggono ad alta voce: mostra reazioni emotive alle storie e riassume i punti principali della trama. Il tutto per rafforzare la comprensione della lettura. Nello studio i ricercatori hanno anche dimostrato che con il robot i bambini considerano la lettura un compito più «divertente» e «un’esperienza interessante».
Strategie specifiche
I robot possono poi incoraggiare strategie di ragionamento specifiche, come pensare ad alta voce, attitudine che dovrebbe aiutare gli studenti nella capacità di pianificazione e nella risoluzione dei problemi. Un gruppo di ricercatori della Johns Hopkins University, negli Usa, ha condotto uno studio sul robot Nao, dimostrando che i bambini che si sono esercitati per una settimana con questa creatura nel risolvere problemi matematici ad alta voce hanno aumentato i loro punteggio in media del 52%.
Sono comunque necessari studi più ampi per capire la reale portata dei robot educativi. Quello che già sappiamo è che queste macchine funzionano meglio come entità fisiche e non virtuali. Il corpo del robot, infatti, sembra tanto importante quanto il suo cervello. Una revisione di 33 studi ha rivelato che le persone considerano in modo più positivo i robot «fisici».
Quello che, ancora oggi, manca ai robot è invece la capacità di personalizzare davvero l’interazione con ogni singolo individuo. Tega ci si è avvicinato. Il robot del Mit riesce, infatti, ad analizzare le espressioni facciali per calcolare il livello di coinvolgimento. Ma perfezionare questo aspetto decisivo richiederà ancora tempo e sperimentazioni.