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 2019  aprile 30 Martedì calendario

Intervista a Matteo Berrettini

Il futuro comincia dalle caviglie: «Ho lavorato tanto per sentirmi più solido in campo, negli spostamenti, quando colpisco soprattutto col rovescio». Dalla caviglia ai sogni il passo è breve. Specie se in mezzo ci sono un braccio come pochi, un servizio che supera i 230 km/h e un’età, 23 anni, che garantisce abbastanza spazio là davanti per immaginare prati, terre rosse, cementi, uno dopo l’altro, uno meglio dell’altro. Matteo Berrettini ha vinto a Budapest il suo secondo torneo Atp, schiacciando l’avversario, il serbo Krajinovic. Vincere è emozionarsi, salire al n. 37 del mondo è emozionarsi due volte: «Non è come quando vinsi lo scorso anno a Gstaad. Per niente.
Allora fu qualcosa di molto istintivo, giocavo bene, sì, ma ero ancora troppo "fresco". A Budapest ha inciso tutto ciò che non avevo prima. È stato il coronamento di un’iniziazione lunga, non sempre facile, durante la quale ho sperimentato anche il buio pesto, quando non hai più voglia di allenarti, non sai a che santo rivolgerti, perdi sensibilità, confidenza e in partita ti scomponi alla prima difficoltà. Il momento peggiore? Forse lo scorso anno agli Us Open in gara, quanto alla demotivazione e allo sconforto in allenamento mi vengono in mente i giorni prima della Coppa Davis in India, dove al contrario ho giocato benissimo.
Ma questo è il tennis, il tennis adorato e malefico, ti alzi male la mattina e sei fritto...».
Domenica per esempio, quando ha commesso il doppio fallo in quel nono gioco del primo set, poi perso, poteva sbriciolarsi e invece...
«Dodici mesi fa mi sarei fatto travolgere dai dubbi, avrei lasciato entrare l’avversario, prego, si accomodi, non sia timido, faccia quello che vuole, e di conseguenza avrei sbagliato anche il game successivo e poi magari anche gli altri. Invece è successo il contrario. Più lui, forte del vantaggio di aver portato a casa il primo set per colpe sostanzialmente mie, continuava a spingere sul mio rovescio, in teoria il mio lato debole, più mi appoggiavo bene, più cambiavo rotazioni. Tutte cose che impari lentamente, lavorando sulla mobilità e sull’aspetto psicologico, con i miei allenatori, Vincenzo Santopadre per la parte tecnica, Roberto Squadrone per la parte fisica e Stefano Massari, che è il mio mental coach. Con lui ci stiamo concentrando sul "metabolismo" degli alti e bassi e sull’accettazione di sé, difetti e limiti inclusi».
Cos’è cambiato nella sua vita fuori dal tennis in questi ultimi mesi?
«Mi sento più protetto dalle amicizie, dagli affetti, sto scoprendo nuovi valori. Sono single da poco più di un mese, non dico che prima fosse meglio, o peggio, di sicuro adesso sono più reattivo al mondo circostante, più desideroso di mettermi in contatto con le persone, e questa è una grande risorsa, non vai mai in rosso...».
Oggi, se il tempo lo permette, giocherà a Monaco di Baviera contro l’uzbeko Istomin: avrà pure battuto Djokovic due anni fa, però rimane alla portata...
«Ormai so adattarmi a qualunque tipo di richiesta agonistica, funzionale, a qualunque esigenza. Chiunque ci sia dall’altra parte cerco di non snaturare troppo il mio gioco, ossia provo a restare me stesso quanto più possibile. È una questione di robustezza»
E come ci riesce?
«Allenando il carattere da match, formandolo, senza fretta»
Nei quarti potrebbe incrociare Seppi. Com’è giocare contro un amico rendendolo nemico per due ore?
«Sempre molto complicato. Per due motivi: per un problema di concentrazione, ancor più cruciale in casi del genere, e poi perché l’amico o il compagno di Davis è qualcuno che conosci a memoria. Così alla fine vince chi fa la mossa giusta o una furbata».
La vittoria di Fognini a Montecarlo, lei a Budapest, l’Italia in finale nella nuova Davis. È un momento magico per il tennis maschile italiano.
«Effettivamente. Basta non esagerare con i trionfalismi. Quanto a Fabio, è stato stupendo in campo e stupendo è stato vederlo. Non è stata una finale tecnicamente leggendaria. Succede. E poi come si dice? Ehi ragazzo, guarda che tu non devi giocare bene a tennis: devi vincere la partita!».