La Stampa, 30 aprile 2019
Chi è Mazzarri
Milan a pezzi e Toro in paradiso. Negli eccessi della stagione granata c’è anche questo, un mondo (in parte) capovolto e che viaggia sull’adrenalina di chi, quel mondo, ha costruito. Walter Mazzarri è un po’ così: se lo cerchi dentro ad un conciliabolo di colleghi non lo troverai mai («A me non piace fare salotto...», ripete), se lo insegui in mezzo al campo è, quello, il suo habitat naturale. L’empatia è il suo punto di forza. Un legame sincero che lo rende credibile e lo fa seguire dal gruppo: ovunque è andato è stato così, a Torino ancor di più. Poche le regole, guai a sgarrare perchè, dice, «con le parole non si va da nessuna parte. Contano i fatti e la lealtà nei rapporti...». Al Fila, o nello stanzone del Grande Torino, i faccia a faccia sono l’abitudine. «Mi piace entrare nella testa dei ragazzi e parlarsi è il segreto», racconta l’allenatore a cui il patron Urbano Cairo vorrebbe allungare il contratto al di là del giugno del 2020.
C’è tanto oltre la difesa
Milan a pezzi, Toro in paradiso e volata per l’Europa, anche la più grande, da uno, ics, due. Per Mazzarri, il sesto posto è una costante quando gli tocca la prima volta: anno 2007/08, sbarco nella Marassi blucerchiata e Coppa Uefa come traguardo immediato dopo un girone di ritorno da 35 punti. Trasloco a Napoli due anni più tardi e arriva un altro sesto posto che vale l’Europa League dopo un cammino cominciato in ottobre e vissuto sulla freschezza del giovane Hamsik, sull’estro di Lavezzi, sulla forza di Denis e la vivacità di Zuniga, quest’ultima nella parte decisiva dell’anno.
Lui sa come si fa, verrebbe da dire. E poco importa se nelle ore in cui l’Italia si divide fra chi invoca l’estetica applicata al calcio e chi vince da otto anni anche con la concretezza, il tecnico granata sceglie la via di mezzo che, poi, di mezzo non è: elogiarne la fase difensiva, per Mazzarri, è una nota di merito perchè non significa difensivismo, ma equilibrio e gestione dei momenti. «Prima certe partite le soffrivamo, ora no: andiamo in campo senza il freno di quella sudditanza che ci ha accompagnato nel recente passato. Il nostro è un gioco simile a quello dell’Atalanta...», ha raccontato nella notte del successo contro il Milan.
Squalifica evitata?
Che questo Toro ricordi l’Atalanta, forse, è un salto in avanti triplo. Ma che questo Toro sia duro, durissimo da mandare giù è vero: Mazzarri, per ora, ha vinto, per buona pace dei suoi detrattori. Continuità e mentalità le sue armi, per nulla spuntate sotto il tiro dei fautori dello spettacolo. «Chi vince è sempre la squadra più forte. A me piace farlo insegnando un calcio offensivo, ma la nostra storia è fatta di quattro Mondiali vinti con il nostro dna...», così il ct azzurro Roberto Mancini. La vittoria di Mazzarri è anche quella di chi sa che può contare su uno spogliatoio dove non c’è spazio per le ribellioni e dove ognuno si sente protagonista: la scelta di una rosa ristretta è stata un rischio, evidentemente calcolato. Il prossimo ad uscire dal cono d’ombra potrebbe essere il giovane Bremer, 12’ finora in campo e chiamato al ballottaggio con De Silvestri per vivere, nel derby, la notte più intensa (Djidji e Moretti sono fuori dai giochi). A proposito di cartellini rossi, Mazzarri ne ha presi sei, l’ultimo poche ore fa: gli arbitri non ne apprezzano l’atteggiamento in panchina e, se esce dai propri confini, lo allontanano. Domenica sera, il tecnico granata non ha aggiunto frasi irrispettose uscendo dal campo e, così, oggi potrebbe salvarsi dallo stop di un turno, anche se la pluri recidiva pesa.