La Stampa, 30 aprile 2019
La banda composta da tre robot
La musica viene dalla tradizione cinese, brani classici suonati con flauti in bambù, percussioni e konghou, un antico strumento a corda simile a un’arpa. Ma sul palco dell’Università di Pechino non ci sono minute fanciulle dal volto pallido o giovani promesse della virilità della Repubblica Popolare: Yuheng, Yaoguang e Kaiyang sono tre robot. Prendono i nomi da tre stelle del Grande Carro, l’anima la devono invece a un gruppo di docenti e studenti della Tsinghua University di Hong Kong. I fondi per realizzarli arrivano dallo Stato e da alcuni imprenditori laureati presso lo stesso ateneo.
I tre robot non hanno volto, per il resto però sono costruiti a immagine e somiglianza di esseri umani. «Cerchiamo di creare un’immagine dell’automa partendo dal punto di vista degli scultori per rendere la postura e le forme dei robot più realistiche», ha detto Mi Haipeng, professore associato presso l’Accademia delle Arti e del Design della Tsinghua University e responsabile del progetto. Gli sviluppatori possiedono competenze diverse in materie come controllo e interazione con i robot, scultura, nuovi media, teatro e musica.
Lo spettacolo, chiamato Il Fantasma del Moja, racconta la storia di uno studente che inventa robot musicali in un laboratorio e affronta una lunga serie di sfide. L’attore umano e i robot si esibiscono insieme sul palco. «Attraverso l’arte speriamo di trasmettere l’idea di coesistenza armoniosa tra gli esseri umani e la tecnologia», ha sottolineato Mi. Aggiungendo che Moja, la band di robot musicisti, avrà altri membri in futuro.
Negli ultimi anni l’arte applicata alla robotica, una forma artistica completamente nuova, è emersa sia in Cina che all’estero. A differenza dei robot industriali e degli automi di servizio, questi «art robot» servono per esplorare la relazione tra robotica ed esseri umani e tra tecnologia avanzatissima e cultura tradizionale. Di sicuro l’esperimento ha funzionato almeno per la Tsinghua University, che ha postato sulla pagina Facebook e sul sito diverse foto e ci ha guadagnato un’attenzione mediatica inusuale per un progetto di ricerca sui robot.
Per una volta, tuttavia, i cinesi non arrivano primi: quarant’anni fa, infatti, i tedeschi Kraftwerk dedicarono un intero album ai robot (The Man-Machine), e per presentarlo inviarono agli incontri con i giornalisti dei manichini meccanici con le loro fattezze. Oggi i Kraftwerk sono nella storia della musica, elettronica e non solo, e naturalmente sono un po’ invecchiati. Ma nei concerti il brano più applaudito è sempre quello: The robots, con i manichini in scena, sempre più essenziali e sempre più perfetti, mentre i musicisti in carne e ossa prendono fiato. «Siamo programmati per tutto, e quello che chiedi sarà fatto», cantano.