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 2019  aprile 30 Martedì calendario

Le edicole riaprono

Veronica Di Paolo deve avere un coraggio da leone o una punta di follia. Che l’una cosa, del resto, non esclude l’altra. Riaprire un’edicola il 23 aprile a Posada, un paese in provincia di Nuoro che affaccia sullo splendido mare sardo ma d’inverno non arriva a tremila anime. Di questi tempi, poi, con la crisi drammatica della carta, mettersi a vendere giornali è un’impresa titanica: tanto da meritarsi, pensate, una notizia sulla Nuova Sardegna. Eppure segni della resistenza all’apparente inevitabile declino delle edicole arrivano un po’ da ogni parte d’Italia. C’è chi ha riaperto a Biella, chi a Legnano, chi a Cagliari, chi a Iseo, chi a Livorno, chi a Pienza, chi a Milano. Negli ultimi quattro mesi solo a Firenze ne sono state riaperte addirittura nove. Una specie di miracolo: come altrimenti definirlo? Perché se guardiamo solo i dati facilmente si può scambiare per un evento soprannaturale. Nel 2001 le edicole vere e proprie, per capirci i chioschi e i negozi che vendevano quasi soltanto giornali, riviste e prodotti editoriali, erano più di 36 mila. Ce n’era una ogni 1.550 abitanti. Nel 2017, dicono i dati delle Camere di commercio, ne erano rimaste appena 15.876, ma alla fine dello scorso anno quel numero era sceso ancora a 15.126: ossia una ogni 4 mila residenti. Conferma che la frana partita una decina d’anni fa con la crisi economica viene giù a precipizio. Settecentocinquanta chiusure in un anno significa che l’ecatombe procede al ritmo di due decessi al giorno. E sono questi i numeri delle edicole ufficialmente ancora considerate attive, che non tengono conto di quelle nel frattempo chiuse ma la cui scomparsa non è stata ancora registrata. Secondo la Federazione dei giornali, dunque, oggi le edicole non sarebbero più di 11 mila. Vero è che i giornali non si vendono più soltanto lì, come ricorda il responsabile della Confesercenti Ermanno Anselmi, un tempo edicolante a Livorno: «Con la riforma voluta da Pierluigi Bersani a fine anni Novanta si sono aggiunti i bar, i supermercati, le pompe di benzina, gli autogrill. Eravamo arrivati a 41 mila punti vendita. Ma adesso, con la crisi, se ne contano sì e no 27 mila. E per capire la situazione, basti sapere che già nel 2013 il 52 per cento della rete di vendita dei giornali era a rischio chiusura». Anselmi ha chiuso con quel lavoro quando le vacche erano ancora grasse. Ricco di soddisfazioni, all’epoca, il mestiere dell’edicolante. Ma anche di usura fisica. «La sveglia», ricorda Anselmi, «suonava alle quattro e mezza, perché alle sei, estate o inverno, c’era chi già voleva il giornale. Le cose andavano bene, grazie anche ai collaterali. Aveva cominciato l’Unità di Walter Veltroni con le cassette, poi la Repubblica con i libri… Si sgobbava, ma alla fine del mese portavo a casa tre milioni. Di lire, ovvio». Un buono stipendio da funzionario di banca. Altri tempi. Oggi il fatturato della vendita di giornali e altri prodotti editoriali nelle edicole tocca a malapena 1,8 miliardi l’anno, contro i 5 miliardi e mezzo del 2005: un terzo. Se si divide la somma per i 27 mila presunti punti vendita, si arriva alla misera cifra di circa 200 euro al giorno di fatturato procapite, che rapportata al 18,70 per cento di aggio sul prezzo di copertina spettante all’edicolante, fa poco più di 35 euro al giorno. Al lordo delle spese, e per alzarsi ogni mattina alle quattro e mezza. Un margine di guadagno ridicolo. E senza buonuscita. Perché una volta, spiega Diego Averna della Cisl, c’era anche quella: «Chi decideva di smettere vendeva l’edicola e ci faceva una discreta somma. Era una specie di liquidazione». Le quotazioni erano di tutto rispetto: si arrivava anche a duecento, trecentomila euro. «Oggi, e anche a Milano», continua Averna, «le edicole non si vendono perché chiudono. Per chi riesce a incassare tre, quattro o cinquemila euro è tutto grasso che cola». Per non parlare di chi alla liquidazione preferiva una bella pensione, semplicemente affittando l’edicola. I tre milioni di lire al mese degli anni Novanta, quando a Livorno le edicole erano 85, restano un miraggio irraggiungibile. Adesso i punti di vendita livornesi sono rimasti una sessantina, e nella città toscana è ancora andata di lusso. La desertificazione ha investito la parte più debole e anziana della popolazione, quella dei paesi e dei centri isolati. In Italia i comuni con meno di 5 mila abitanti sono 5.497, ovvero il 69,5 per cento del totale. E quasi 2 mila, per l’esattezza 1.934, non arrivano a mille residenti. Tanto basta per spiegare quanto l’impatto della crisi sia stato devastante. In quei paesi l’edicola era uno dei pilastri della vita civile, insieme all’ufficio postale, alla caserma dei carabinieri e alla chiesa. Rappresentava il presidio dell’informazione, considerando che la popolazione dei piccoli comuni è più anziana e non ha facile accesso a internet come nelle città. Qui la televisione e i giornali sono le fonti principali, e quando scompare l’edicola è come se sparisse anche un pezzo di democrazia. Non sappiamo esattamente quanti centri abitati, magari inerpicati sulle montagne, siano rimasti senza giornali. Non c’è una statistica, ma per farsi un’idea è sufficiente confrontare il numero delle presunte edicole aperte ancora nel 2017 per provincia con il numero dei comuni di quella provincia. Scopriamo che di sicuro almeno 1.111 paesi ne erano sprovvisti. Qualche caso? Nei 73 comuni della provincia di Rieti, compreso ovviamente il capoluogo, c’erano appena 30 edicole. Mentre nei 250 della provincia di Cuneo non si arrivava che a 114. Con cali percentuali in molte province, fra il 2016 e il 2017, impressionanti. Viterbo: -10,4; Asti: -10,6; Ascoli Piceno: -11,3; Terni: -11,9; Ragusa: -14,9. Su 110 province (Aosta compresa) appena 16 non hanno il segno meno davanti, e solo 8 il segno più. Dove? Potrà sembrare strano, ma succede soprattutto al Sud. Cosenza: +0,8; Foggia: +0.9; L’Aquila: +1,1; Reggio Calabria: +1,8; Messina: +2,2; Matera: +2,3. E comunque il calo percentuale delle edicole nel Mezzogiorno (-3,8 nel 2017) è inferiore a quelli del Nord Ovest (-3,9) e del Centro (-4). Difficile dire quanto questi segnali microscopici abbiano a che fare con una ripresa della carta stampata o non piuttosto con il progressivo cambio di pelle delle edicole. Il fatto è che per sopravvivere molte si stanno pian piano trasformando in negozietti nei quali si vende di tutto, dai souvenir alle bibite. Nella rinata edicola di Posada, per esempio, «Veronica Di Paolo proporrà», scrive la Nuova Sardegna, «anche le sue splendide creazioni artistiche». Auguri. Ma siamo a Posada: 2.932 abitanti. Mentre nelle grandi città il fenomeno talvolta può prendere pieghe assai discutibili. Come a Roma. Racconta Tatiana Campioni, assessore al commercio del primo municipio della capitale, perennemente invaso dai turisti: «La decisione del governo di non far applicare a tutto il commercio sulle aree pubbliche la direttiva europea Bolkestein, che imporrebbe gare per tutte le concessioni, sta producendo effetti disastrosi. Qui, al riparo dalle gare, si stanno vendendo le edicole soprattutto a cittadini extracomunitari che le trasformano in minimarket dove si trova di tutto. Tutto, tranne forse i giornali. Vero è che le norme regionali consentono di vendere anche merci diverse, ma ora si sta davvero esagerando». – ( 1. continua)