29 aprile 2019
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Biografia di Jens Weidmann
Jens Weidmann, nato a Solingen (Germania) il 20 aprile 1968 (51 anni). Economista. Presidente della Deutsche Bundesbank (dal 1° maggio 2011). Presidente della Banca dei regolamenti internazionali (dal 1° novembre 2015). «In Germania Weidmann è, per così dire, una garanzia. Le sue uscite riscuotono spesso approvazione. La sua intransigenza appare il miglior scudo a difesa della stabilità della moneta, nella migliore delle tradizioni della Bundesbank. Ma per molti, invece, all’estero, Weidmann è Herr Nein, il “Signor No”, l’ostinato bastian contrario che non vuole sentire ragioni» (Tonino Bucci) • «Weidmann è nato nel 1968 nella città di Solingen, nella regione del Nord Reno-Vestfalia, ribattezzata “Klingenstadt”, o città delle lame, per la sua lunga tradizione nel forgiare e affilare spade e coltelli» (Marco Valerio Lo Prete). «Il giovane Jens studia all’Università di Bonn e a quella di Parigi, svolge un internato alla Banca di Francia e riceve il suo dottorato in Politica monetaria da Manfred Neumann, […] acceso sostenitore della Grecia fuori dall’euro. Dopo aver lavato i panni nel Potomac con un biennio al Fondo monetario internazionale, torna in patria e si distingue come ispiratore delle riforme che verranno realizzate da Gerhard Schröder, l’Agenda 2010. Weidmann non è socialdemocratico, semmai è vicino alla Cdu, ma gli piace considerarsi un riformista trasversale, finché Angela Merkel nel 2006 lo chiama accanto a sé alla Cancelleria come principale consigliere economico» (Stefano Cingolani). «È sempre stato un perfetto funzionario di Stato, nelle vesti di assistente personale di Horst Köhler, quando era amministratore delegato del Fondo monetario internazionale, poi segretario generale del Consiglio dei consulenti economici e infine capo del dipartimento di politica monetaria della Bundesbank dal 2003 al 2006. Weidmann fu raccomandato a Merkel proprio da Köhler, al tempo presidente della Repubblica Federale, e da Axel Weber, professore di Weidmann all’Università di Bonn. […] “È sempre stato piuttosto combattivo, anche quando lavorava per la cancelliera”, ricorda un osservatore di lungo corso della Bundesbank: sostiene che avessero in comune un certo senso della cautela. “Weidmann è stato il principale architetto della strategia dei piccoli passi di Angela Merkel» (Quentin Peel). «Quando arriva la grande crisi, è lui protagonista di primo piano nel salvare il sistema creditizio tedesco. Oggi proclama che anche le banche (come gli Stati) possono e debbono fallire. Allora ha impedito il fallimento della Hypo Real Estate, della Dresdner, della Commerzbank. Nel 2011 scoppia uno scontro tra la Kanzlerin e Axel Weber, il presidente della Bundesbank che la Merkel avrebbe voluto candidare alla Bce per sostituire Jean-Claude Trichet. Proprio quel conflitto apre la strada a Draghi, mentre il vuoto alla Buba viene riempito da Weidmann, che sceglie una linea di continuità con la tradizionale ortodossia: inflazione zero, politica monetaria orientata alla stabilità, nessuna avventura in territori inesplorati» (Cingolani). «Quando la cancelliera Angela Merkel annunciò la nomina di Jens Weidmann, suo consulente economico, alla presidenza della Bundesbank nel febbraio 2011, lo shock fu palpabile in tutto l’establishment tedesco. Non tanto perché l’allampanato quarantaduenne, il più giovane presidente della storia della banca centrale, con l’aspetto da ragazzino, non si intonava granché con l’immagine brizzolata dei predecessori. Si temeva che, essendo stato uno dei più stretti collaboratori della cancelliera per cinque anni, sarebbe stato poco propenso o non in grado di mantenere l’autonomia dell’istituzione che incarna la disciplina monetaria tedesca. Il quotidiano economico Handelsblatt pubblicò una pungente vignetta raffigurante un’imponente signora Merkel che metteva un Weidmann grande come una bambola in una scatola contrassegnata dall’etichetta “Bundesbank”. E l’editoriale che accompagnava quell’immagine ammoniva che il “Sacro Graal” dell’indipendenza della banca centrale, sancita dallo statuto, correva il pericolo di restare senza custode. […] Quella percezione è cambiata. Lungi dall’essere uno strumento della cancelliera, Weidmann è diventato un critico sempre più esplicito dei tentativi messi in atto da Merkel per affrontare la crisi dell’eurozona. Weidmann ha espresso pubblicamente un monito contro il superamento dei termini del mandato da parte della Bce: ha infatti criticato l’idea di usare i fondi della banca centrale per acquistare titoli sovrani sul mercato proprio pochi giorni dopo che Merkel sembrava avere dato il proprio benestare affinché Mario Draghi, presidente della Bce, facesse “tutto il necessario” per proteggere l’euro e l’eurozona» (Peel). «Nel suo discorso d’esordio spiega in due battute la sua Weltanschauung economica: “Nella politica monetaria si tratta di uscire dalle misure di emergenza dettate dalle crisi, così come di separare chiaramente le responsabilità della politica fiscale da quelle della stessa politica monetaria”. Ed è a partire da questa idea della presunta autonomia della Bce che Weidmann si impone come il principale antagonista di Draghi. Il conflitto tra i due si è inasprito fino a trasformarsi in una rivalità personale che, a volte, tracima in dichiarazioni pubbliche avvelenate. Come quando la Reuters attribuì alla Bce una nota che definiva Weidmann un querulant, un brontolone sempre insoddisfatto, qualunque sia la decisione presa. La Bce, poi, smentì ufficialmente. Weidmann, dal canto suo, è uomo di poche emozioni, ma basta una sua parola per influenzare i mercati finanziari. Solo una volta si è lasciato sfuggire una battuta che sulla stampa tedesca sollevò, suo malgrado, un polverone: quando paragonò la politica monetaria di Mario Draghi a una “soap opera“. Se la cavò dicendo che è del tutto normale che ci siano “discussioni intense”. “Sarebbe strano se, quando sono in gioco decisioni così complesse e gravide di conseguenze, come nel caso della politica monetaria, tutti avessero sempre la stessa opinione”» (Bucci). «Con la Grecia si mostra inflessibile, ma a differenza dal suo vecchio professore non spingerà per una rottura. Lo stesso vale per l’Italia, alla quale non offre scappatoie sulla politica fiscale e sul rispetto dei parametri, senza spingerla fuori dalla porta» (Cingolani). «Sgomberiamo il campo da qualche cliché: Weidmann è persona affabile, la sua ortodossia monetaria non si specchia in modi di fare spigolosi come molti europei sarebbero forse portati a pensare a forza di titoli terrorizzanti sulle sue dichiarazioni; come la maggior parte degli economisti tedeschi (e a differenza di Draghi, che conseguì il dottorato al Mit di Boston) non ha una formazione accademica anglosassone, ma puramente franco-tedesca (e da qui anche il suo francese fluente). Eppure l’abito fa il banchiere centrale. […] Weidmann, subentrando a Weber, smise subito i panni più politici indossati con nonchalance negli anni di lavoro alla cancelleria. Ciò divenne chiaro nel 2012, al momento di opporsi al “whatever it takes” di Draghi, lo slogan che anticipò l’Omt (Outright Monetary Transactions) o “scudo anti spread”. Il banchiere centrale tedesco non lesinò critiche al presidente italiano. Prima fece trapelare che l’annuncio di Draghi a Londra, nel luglio 2012, non era stato concordato con i colleghi della Bce. Poi arrivò a paragonare Draghi nientemeno che al diavolo. Più precisamente, e più teutonicamente, disse che l’Omt ricordava le scelte di politica monetaria consigliate da Mefistofele all’imperatore del Sacro Romano Impero nell’opera di Goethe: “Nel Faust lo stato riesce a liberarsi dei debiti stampando denaro, mentre la domanda dei consumatori aumenta creando una forte ripresa – disse a settembre –. Questo in futuro genera un’inflazione che distrugge il sistema monetario e porta a un rapido deprezzamento della valuta”. Merkel, che fino a quel momento non si era certo sbracciata per una maggiore espansione monetaria, al momento opportuno […] lasciò […] le citazioni faustiane al suo Jens, triangolò con Draghi tramite Jörg Asmussen (già ministro socialdemocratico e allora membro del comitato esecutivo della Bce molto affiatato con Draghi), e in definitiva assicurò alla Banca centrale la copertura politica della prima economia del continente. Weidmann non demorde. Nell’estate 2013, quando l’Omt arriva a essere giudicato dalla Corte costituzionale di Karlsruhe su iniziativa di alcuni cittadini tedeschi, il presidente della Bundesbank si presenta davanti ai giudici per svolgere la sua arringa. Da primo azionista singolo della Bce, si schiera contro la Bce, spiegando che il confine tra la politica monetaria e quella fiscale viene reso “più confuso” dal programma Omt. E aggiunge che gli acquisti di bond potrebbero compromettere il “ruolo disciplinatorio” dei mercati finanziari, che tendenzialmente premiano i comportamenti corretti e puniscono quelli errati. L’inizio del 2015 è stato il momento del secondo stentoreo nein di Weidmann, in occasione del lancio del Quantitative easing (o allentamento monetario) in versione europea. Questa volta il banchiere centrale tedesco precisò di non avversare in linea di principio il Qe, ma di essere convinto che era troppo presto per lanciarlo. Secondo il Centro studi della Bundesbank, il livello dei prezzi e la quantità di credito bancario erogato stavano moderatamente tornando a salire già alla fine del 2014. Obiezioni […] non raccolte. […] Adesso però è il terzo nein di Weidmann a preoccupare, quello pronunciato contro il completamento dell’Unione bancaria, […] vale a dire un’assicurazione sui depositi a livello europeo. Per Draghi è fondamentale che si faccia: non soltanto per ridurre le distorsioni competitive tra gli attuali sistemi nazionali di tutela dei correntisti, ma soprattutto per “ragioni psicologiche”. La mancanza di una rete di sicurezza comune e nuova di zecca intimorisce i cittadini, e allo stesso tempo costituisce un vulnus per tutta l’Unione bancaria, che rischia di diventare agli occhi dei mercati l’ennesimo strumento realizzato solo a metà e dunque difficile da usare in maniera efficace. Ai piani alti dell’Eurotower si diffida di una replica di quanto avvenuto con lo European stability mechanism, o Esm, il fondo salva-Stati così difficile da attivare – Berlino ha insistito per avere anche un potere di veto – da essere diventato respingente per i governi potenzialmente interessati. Cosa risponde Weidmann? Che la garanzia comune sui depositi, il terzo e ultimo pilastro dell’Unione bancaria, equivale a una condivisione indebita di rischi bancari che mette a repentaglio i contribuenti tedeschi. Quindi, nein. A meno che – aggiunge il governatore tedesco – non sia rispettata una nuova condizione, finora mai legata al completamento dell’Unione bancaria: quest’ultima non vedrà la luce fino a quando tutti gli Stati dell’Eurozona non avranno totalmente spezzato il nesso tra rischio sovrano e rischio bancario. […] L’insistenza sul voler ponderare il rischio dei titoli sovrani dei diversi Paesi è la dimostrazione definitiva che il banchiere centrale tedesco, oltre a tutelare a suo modo l’indipendenza della Bundesbank e a perseguire una politica monetaria improntata ai princìpi del cosiddetto ordoliberalismo (e che l’Economist ha definito più sprezzantemente “eccessivo legalismo”), ha una precisa visione a tutto tondo del processo d’integrazione europea. Una visione confliggente, almeno in parte, con quella di Draghi, ma sempre più in voga nell’establishment tedesco. Martin Sandbu, inviato del Financial Times, nel suo libro Europe’s Orphan […] la sintetizza così: “Weidmann ha formulato la distinzione tra un’unione fiscale piena e un ‘ritorno a Maastricht’ in cui invece non esistono trasferimenti fiscali da uno Stato all’altro e in cui gli Stati riacquistano la libertà di indebitarsi a piacimento, ma allo stesso tempo incorrono nella possibilità di andare in bancarotta se esagerano. La scelta, per Weidmann, è profondamente politica. Ma la sua strada preferita è quella che sembra portare indietro, dritti verso Maastricht”. È come se ai vertici della Bundesbank, non avendo digerito il fatto di essere costretti spesso in minoranza (dai tempi di Weber), prevalesse ora l’idea che un coordinamento a trazione tedesca e imposto dall’alto è auspicabile, ma difficile da far rispettare sempre e comunque. Meglio dunque rinazionalizzare alcuni rischi, a partire da quelli sovrani e bancari» (Lo Prete). «Sulla condivisione dei rischi il presidente della Bundesbank ha d’altra parte, e non da ora, un’idea molto precisa: “Coloro che la chiedono dovrebbero essere preparati a rinunciare a più diritti sovrani a livello europeo”. Magari accettando l’idea dell’istituzione di un super-ministro dell’Economia a trazione tedesca, ruolo che Weidmann potrebbe voler ricoprire se non riuscirà a diventare il successore di SuperMario. Comunque, anche un’eventuale condivisione dei rischi non porterà a una mutualizzazione dei debiti: “Il pesante fardello del debito pubblico deve essere spezzato. Ma sono sfide che ogni Stato membro deve affrontare individualmente”» (Rodolfo Parietti). «Nei primi vent’anni della Banca centrale europea, compiuti lo scorso 1° giugno, la Germania ne ha ospitata la sede, ma nessun tedesco si è seduto sulla poltrona di presidente o vicepresidente della Bce. […] Non sta scritto da nessuna parte che i grandi Paesi abbiano la precedenza assoluta: ma che sia il turno della Germania a ricoprire l’incarico di Mario Draghi dal novembre 2019 è nell’aria a Francoforte. Da tempo. Eppure la strada verso la presidenza Bce di Jens Weidmann […] è in salita. A ostacolarne l’ascesa ai piani alti del Main Building potrebbero non essere le solo sue idee, che lo rendono un banchiere centrale come minimo scomodo perché in forte palese discontinuità con l’èra Draghi, ma la stessa Angela Merkel. La cancelliera considera la Bce una di sei poltrone europee che si libereranno nel 2019 – presidenza Commissione (novembre), Consiglio (novembre) e Parlamento (luglio), vicepresidenza Commissione per la stabilità finanziaria, Commissario agli affari economici. […] Cedendo la Bce, la Merkel […] in cambio potrà chiedere poltrone politiche pesanti, per esempio quella di Jean-Claude Juncker, che si libera a novembre 2019 in contemporanea a Draghi e sulla quale potrebbe sedersi la stessa cancelliera. […] La candidatura del presidente della Bundesbank per la Bce viene da lontano, lanciata prematuramente da Wolfgang Schäuble quando la Francia iniziò a far circolare il governatore della Banque de France François Villeroy de Galhau. Weidmann avrebbe ammorbidito le sue dure posizioni ultimamente, stando alla stampa tedesca, per conquistare consensi utili ad arrivare al vertice della Bce. Tuttavia resta agli atti il modo rigoroso e spigoloso con cui Weidmann interpreta il ruolo della banca centrale, istituzione che vede dedicata alla lotta contro l’alta inflazione con strumenti prima di tutto convenzionali, e mai contro l’alto spread: a parere suo e della Buba, lo spread non lede le cinghie di trasmissione della politica monetaria. […] La Merkel ha a cuore le poltrone europee, ma anche il futuro dell’euro: anche lei si starà domandando se, al cospetto della prossima Grande Crisi, varrà la pena provare a pilotare politicamente una ristrutturazione dei debiti pubblici degli Stati in crisi, tramite Commissione e Esm, tenendo però nel cassetto e pronto all’uso il bazooka delle Omt se qualcosa dovesse andare storto» (Isabella Bufacchi). «“Mutti” pensa – non a torto – che dal punto di vista delle decisioni politiche Bruxelles sia più importante rispetto all’ottenimento della leadership dell’Eurotower, considerata più di rappresentanza. In questo modo, la Merkel pensa di poter arginare i movimenti populisti e sovranisti, verosimilmente destinati ad avere una maggiore rappresentanza dopo il voto del prossimo mese di maggio. Weidmann diventerebbe una pedina sacrificabile anche per non creare tensioni con i Paesi del Club Med, che in tutti questi anni hanno mal digerito l’avversione del banchiere tedesco verso le politiche di allentamento quantitativo. A cominciare dal nostro» (Parietti). «A partire da maggio, Jens Weidmann sarà presidente della Bundesbank per altri otto anni. Dopo le indiscrezioni apparse sulla Süddeutsche Zeitung, un portavoce del ministero delle Finanze tedesco conferma […] che la scelta, che dovrà passare il vaglio del governo, è stata quella di "riconfermare l’attuale capo della Bundesbank". Dal ministero invitano anche a non trarre conclusioni per l’altra grande partita che si gioca quest’anno: la riconferma non significa che Weidmann non sia più in pista per la presidenza della Bce» (Tonia Mastrobuoni) • «Legatissimo a Weber, di cui era stato allievo da studente, Weidmann ne ha ereditato non solo lo spirito di forte indipendenza che caratterizza la Bundesbank, ma anche il dogmatismo ostile all’acquisto di titoli di Stato da parte della Bce. A questo si aggiunge il fatto che il relatore della sua tesi di laurea è stato il monetarista tedesco Manfred Neumann, che nel 2013 è stato tra i primi firmatari di un manifesto di 136 economisti contro il piano Omt (acquisto di titoli pubblici) di Draghi, accusato tra l’altro di provocare un’inflazione come quella di Weimar, che portò la Germania al disastro e al nazismo. Tesi che, alla prova dei fatti, si è rivelata infondata» (Tino Oldani). «Di tutto si può accusare Weidmann, tranne che di non essere leale. Ha votato quasi sempre “no” quando Draghi ha deciso di pompare denaro nella economia e riempire le casse di buoni del Tesoro, anche italiani. Ma il banchiere centrale tedesco ha difeso l’indipendenza della Bce e del suo presidente dagli attacchi della Cancelleria e dello stesso Schäuble. Weidmann non ha bisogno di sotterfugi: le sue idee, le ha sempre dette in modo esplicito. […] Ogni volta che lo chiamano “Herr Nein”, sale il suo prestigio in Germania. Se c’è uno che può essere definito profeta in patria è proprio lui, anche se la destra radicale e quelli di Alternative für Deutschland sono arrivati ad accusarlo di essere troppo tenero con Draghi» (Cingolani) • Sposato, due figli • «Nato nel 1968 , […] è l’esponente di una generazione che del Sessantotto non ha assorbito nemmeno il mito. Con la sua aria da secchione brillante, gli occhialini rettangolari di gran moda quindici anni fa, le camicie dal collo alla francese, le cravatte sempre appropriate e le giacche custom fit, non assomiglia al burocrate fagottone dell’era Kohl, e tanto meno allo stereotipo del tedesco in calzini e Birkenstock. Incarna piuttosto l’élite della nuova Germania, formatasi su entrambe le sponde del Reno» (Cingolani). «Biondo, gli occhiali quasi alla Harry Potter, l’aria da primo della classe simpatico e gentile» (Andrea Tarquini). «Timido e poco propenso alla vita mondana (non è mai stato paparazzato né coinvolto in alcun servizio pruriginoso della Bild)» (Roberto Sommella). «Non pochi sono pronti a testimoniare, anche tra i giornalisti, che Herr Weidmann si trasforma davanti al Kloster Eberbach, bella abbazia cistercense nei pressi di Francoforte ove si può gustare un buon Riesling. Pare che Weidmann […] sia un intenditore di vino. Nonché un buon lettore, appassionato delle belles lettres francesi, tanto apprezzate negli anni provenzali. Ma l’immagine idilliaca sparisce quando Herr Weidmann rientra in ufficio: sulla parete fa bella mostra un Deutsche Mark ben incorniciato, quasi a ricordare agli ospiti dove ci si trova e a che cosa si deve ispirare l’Europa così come la vuole la Bundesbank» (Ugo Bertone). «Appena ha tempo, ama coltivare peonie nel suo giardino in campagna, nel cuore della zona vitivinicola del Rheingau, e inventare dessert esotici da gustare a cena, come il gelato al tè verde fatto in casa (confessa che non tutti i suoi ospiti apprezzano). Nessuno l’ha mai visto urlare e arrabbiarsi. […] Bert Rürup, che era capo del Consiglio dei consulenti economici quando Weidmann era segretario, una volta disse: “Ha bevuto la politica monetaria con il latte di sua madre”. Rürup l’ha definito “resistente allo stress e abile negoziatore”, dietro quel sorriso disarmante. Un ex ambasciatore francese che prese parte ad alcuni negoziati con Weidmann sulla proprietà dell’Eads, un’importante azienda del settore aerospaziale, disse che aveva “un pugno di ferro in un guanto di velluto”. […] Weidmann piace al suo staff. “Come diciamo in tedesco, lui ha lo Stallgeruch, l’odore della stalla”, ovvero sa sporcarsi le mani con il lavoro, afferma un collega. “L’aveva prima di andare a Berlino e l’abbiamo ritrovato quando è tornato. È molto cortese, amichevole e aperto. Ha intelligenza acuta e solidi princìpi su cui basa le sue argomentazioni”» (Peel) • «Il sovrasfruttamento delle risorse ittiche da parte di un singolo pescatore riduce la disponibilità di pesci per gli altri e minaccia nel lungo periodo le stesse risorse. Dal punto di vista del singolo pescatore è tuttavia allettante realizzare una pesca il più possibile cospicua senza riguardo per altri pescatori o per le generazioni future. Un fenomeno simile accade in relazione ai debiti sovrani in una unione monetaria. Un elevato indebitamento pubblico a livello nazionale può risultare allettante agli occhi del singolo Paese, tuttavia è nocivo per l’area dell’euro nel suo complesso».