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 2019  aprile 29 Lunedì calendario

Biografia di Igor’ Davydovič Ojstrach

Igor’ Davydovič Ojstrach, nato a Odessa (Ucraina, all’epoca appartenente all’Unione Sovietica, oggi indipendente) il 27 aprile 1931 (88 anni). Violinista. «Uno dei più apprezzati virtuosi del suo strumento a livello internazionale» (Bruno Monticone) • Figlio unico di David Fëdorovič Ojstrach (1908-1974), annoverato tra i più grandi violinisti del XX secolo, e della pianista Tamara Rotareva (1906-1976). «La tua prima insegnante, a sei anni, fu Valeria Meremblum? “In realtà, lei era la sorella di un violinista molto famoso, Pëtr Meremblum, che aveva lasciato la Russia all’inizio del secolo. Io lo incontrai in seguito a Los Angeles, quando feci il mio debutto là; era seduto con Jascha Heifetz. Sebbene lei sia stata una buona insegnante, dovrei confessare che fui molto indipendente sin da giovane età, volendo evolvere in una mia personale maniera. Ricordo ancora che divenni il suo allievo ufficiale alla Scuola musicale centrale, a Mosca, e portai per la mia prima lezione Fantasia appassionata di Vieuxtemps. Quando iniziai a suonare, fu un po’ scioccata, ma, essendo molto condiscendente, si volse al pianista, spiegando: ‘Questo è il modo in cui lui suona, tutto qui!’. Forse io avevo dei difetti e feci qualche errore, ma a quell’età non si aspettava che io avessi personalità. Quando avevo dodici anni, divenni l’allievo di Pëtr Stoljarskij, che aveva insegnato a mio padre e a Nathan Milstein, e lavorai con lui per dieci anni. Nel frattempo, a diciotto anni, divenni l’allievo ufficiale di mio padre, al Conservatorio di Mosca. Avevo già ottenuto il primo premio al concorso di Budapest [nel 1949 – ndr], ma prima di ciò lui si era preso ampiamente cura di me, nonostante fosse molto impegnato tutto il tempo con vari allievi e concerti. Nell’appartamento in cui vivevamo mi ascoltava fare pratica e mi correggeva un po’ ogni giorno: quello fu molto importante per me”. A quell’epoca, Igor suonò il Concerto militaire di Karol Lipinski. […] “Ero un po’ pigro e iniziai piuttosto lentamente, ma fui preso da grande interesse mentre frequentavo la scuola di musica. Solo allora iniziai davvero a far pratica in modo fanatico: e, certo, fu il momento decisivo nella mia evoluzione. Mio padre era tornato a casa dopo un lungo tour di concerti, e di solito mi mettevo a cercare regali come gadget e giocattoli. Ma quella volta – ancor prima che lui si fosse tolto il cappotto – gli dissi: ‘Papà, mi piacerebbe suonare per te’. Ne fu sorpreso: ‘Ok, con piacere, ma non ti piacerebbe mangiare?’. ‘No’, gli gridai: volevo suonare Lipinski, e dopo realizzai che sarei diventato un violinista professionista”. Era severo con te? “Sì, molto: molto più che con tutti gli altri allievi, con cui era di solito molto cortese nel dare tutte le sue indicazioni, scherzando, molto amabilmente, in modo da non insultarli. Ma io ero suo figlio, e non si doveva preoccupare di ciò”. C’era qualche amichevole rivalità con altri musicisti, come Pikaisen e Klimov? “Oh, sì, ma quelli non erano rivali: quelli erano i miei colleghi più talentuosi!”. […] “La mia evoluzione iniziò tardi, quando divenni davvero devoto al violino, nel 1945. Mentre stavo suonando Lipinski, i miei compagni di studio avevano cominciato a eseguire Paganini, Ciakovskij, Brahms e Beethoven, così iniziai a una velocità talmente straordinaria che entro quattro anni presi il premio Budapest, e il Wieniawski pochi anni dopo. Per compensare il ritardo, dovetti anzitutto acquisire una grande tecnica prima di compiere vent’anni, e poi aggiungere repertorio e versatilità nel cromatismo musicale. Forse a diciott’anni suonavo tecnicamente meglio di quanto faccia ora: la mia esecuzione dal vivo dell’Inno al Sole da Il gallo d’oro di Rimskij-Korsakov non era affatto male! Gli Studi di Ernst e il Concerto n. 2 di Wieniawski vennero molto facilmente, e allora iniziai a suonare un mucchio di sonate: tutto Bach, Mozart e Beethoven. Divenni più maturo, sempre curando di costruire bene le frasi e migliorare l’articolazione per trovare la perfezione nell’esecuzione musicale. Ma non pensai mai di diventare simile a mio padre: non ho mai voluto copiare”. Suonare con altri è una parte essenziale nel repertorio di un artista. “Sì, fui fortunato a suonare con Casals. Mia moglie Natalja Zercalova, Casals e io suonammo trii insieme: una grande scuola per me, e un evento indimenticabile. Anche suonare con Menuhin fu un onore e una gioia. Fui fortunato a esibirmi con grandi direttori come Klemperer, Karajan, Reiner, Solti, Giulini, e così via: ancora oggi sono felice di apprendere da ognuno dei miei grandi colleghi”. […] Con un tale genio di padre, non sorprende che anche Igor abbia incontrato e lavorato con alcuni dei più importanti compositori russi. “Avevo lavorato anche con Šostakovič. Quando ha scritto il Secondo concerto, di cui mio padre eseguì la prima – ha composto quello e ogni suo altro pezzo per violino per lui –, era malato in una clinica, e la prima esecuzione prima della ‘prima’ ufficiale fu in un posticino a Mosca. Portai a Šostakovič una registrazione, e discusse con mio padre al telefono che cosa c’era di sbagliato in quanto a tempi ed equilibrio. Penso che Šostakovič non abbia assistito alla vera prima. Appena tre o quattro mesi dopo, anch’io suonai il concerto. Šostakovič assistette a tutte le mie prove, e mosse anche qualche correzione alle dinamiche orchestrali. Fui contattato nuovamente da lui dopo che avevo iniziato a suonare la sua Sonata per violino e pianoforte insieme a mia moglie, dopo l’esecuzione di mio padre. Mi dava indicazioni, e l’ho conosciuto da vicino. Ho incontrato anche Prokof’ev; quando scrisse la sua Sonata in fa minore, invitò mio padre nella sua dacia perché suonasse per lui, e io avevo solo quattordici anni. Kabalevskij mi diede il suo Concerto da suonare quando ero ancora uno scolaro. L’ho suonato tante volte, con lui che dirigeva molto velocemente! Adesso suono circa 58 concerti, e Chrennikov mi ha dedicato tre bei pezzi per violino e piano: sono molto difficili!”» (Bill Newman) • Dopo essersi a lungo esibito in duo con il padre (generalmente suonando il violino mentre il padre suonava la viola o dirigeva), ha costituito per decenni un duo con la moglie Natalja Zercalova (1930-2017) al pianoforte, divenuto poi un trio con l’aggiunta, alla viola, del figlio Valerij (1961), oggi a propria volta acclamato violinista • Notevole attività anche in veste di direttore d’orchestra • Lunga esperienza di insegnamento, da ultimo al Conservatorio reale di Bruxelles • Dal padre ha ereditato il violino Stradivari «Marsick» del 1705 • «Figlio di uno dei miti del violinismo mondiale ed egli stesso artista dalle infinite possibilità, […] Igor Ojstrach […] è conosciuto non soltanto per la sua trascendentale tecnica, ma anche per le doti umane, che caratterizzano ogni sua azione quotidiana. Ojstrach è un artista che commuove il pubblico per la semplicità e la fondatezza delle sue interpretazioni» (Armando Caruso). «È […] nei programmi di grande respiro […] che egli riesce a mostrare l’acutezza dell’analisi e la profondità di lettura che gli sono propri; senza trascurare – visto che è un figlio d’arte, e per di più di scuola moscovita – la bellezza del suono e la tecnica strepitosa. E, a proposito di tecnica e di virtuosismo, vale forse la pena sottolineare come Ojstrach non li metta in evidenza tra baluginii luciferini o pose divistiche, ma ne faccia, in modo apparentemente casuale e semplice, un mezzo espressivo importante né più né meno del fraseggio o della proprietà di stile» (Alfredo Ferrero). «Ojstrach […] coglie sempre lo stile generale del pezzo e lo rende con scrupolosità stilistica; nella sua tecnica, non appariscente ma solida, spicca un legato vellutato di grande scuola (che è poi quella di suo padre)» (Giorgio Pestelli). «Igor Ojstrach sa miscelare l’abilità virtuosistica con una finezza espressiva in cui l’emozione non sfugge mai al controllo degli effetti» (Leonardo Osella). «Ojstrach è indubbiamente un punto di riferimento della storia del violino» (Giovanni Barberis).