29 aprile 2019
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Biografia di Adriana Asti
Adriana Asti, nata a Milano il 30 aprile 1931 (88 anni). Attrice. «C’era un destino, ma la fiamma del mestiere non l’ho mai avuta. Nessuna pulsione verso il teatro. Nessun sacro fuoco» • «“Famiglia milanese, benestante, molto chiusa. Mia madre in vita sua ha detto pochissime parole, e io me le ricordo tutte”. Per esempio? “Colpevolizzava il mio carattere allegro. ‘Ma che cosa avrà da ridere questa bambina?’, si chiedeva vedendo il mio buonumore”. È vero che da bambina lei subì molestie da parte di una cameriera friulana? “Verissimo. E nessuno della mia famiglia disse nulla, anche se improvvisamente quella donna venne allontanata. Ma c’è di più. In casa nessuno valorizzava il mio corpo. Il medico che mi fece nascere, il dottor Acerbi, nel vedermi esclamò: ‘Uh, che muster d’una tusa!’, che mostro di bambina. Sono nata prematura di un mese, prima dello sviluppo sembravo uno scricciolo. Ecco perché in seguito, quando mi spogliai per la prima volta in teatro, mi sentii appagata”» (Roberta Scorranese). «Frequentavo le scuole dalle suore tedesche. Mentre in Germania accadevano cose terribili, loro ci facevano copiare in bella calligrafia i discorsi di Hitler e ricamare delle svastiche». «“Durante il primo bombardamento di Milano – erano le tre del pomeriggio e mi trovavo nei pressi di San Siro – l’allarme non suonò. Dappertutto vedevo incendi da cui si alzavano colonne di fumo. Mi sentii finalmente al mio posto, al centro di una cataclisma che mi assomigliava”. Rimase a Milano? “Nel giro di poche settimane, mio padre fu richiamato alle armi e noi, per sfuggire ai bombardamenti sempre più frequenti, lasciammo la città e ci rifugiammo nella villa di Mulinetti. Avevo un solo terrore: la persecuzione degli ebrei”. Perché? “Perché il cognome della mia famiglia aveva destato sospetti. Mio padre andò in questura, e con una serie di documenti riuscì a dimostrare che eravamo ‘ariani’. Il terrore, però, mi rimase a lungo”. Quando se ne liberò? “Alla fine della guerra. […] Dall’America arrivava la musica che era stata proibita durante il regime. Cominciai a vestirmi in un certo modo. Diventai una bella ragazza. Vissi una mia personale liberazione. Da piccola, ero così timida che a Natale dovevo recitare le poesie dietro una porta. Lì, cominciai ad aprirmi. Avevo tanti morosini e anche una morosina. Ero pronta a stabilire una relazione con chiunque mi volesse”» (Nicola Mirenzi). «Non aveva all’inizio la minima ambizione di diventare un’attrice. Da bambina non aveva neppure mai visto un attore, ma solo le marionette dei Colla. Lo spettacolo entrò in casa sua con le ballerine della Scala, frequentate dal fratello maggiore in cerca di flirt. Per il resto, niente» (Silvia Grilli). «Come arrivò al teatro? “Ero in vacanza. In montagna. A 17 anni. Incontrammo la compagnia del Carrozzone. Fantasio Piccoli e i suoi andarono a parlare con mio padre. ‘Manderebbe Adriana a recitare con noi?’”. Suo padre la ostacolò? “‘Prendetevela’, disse. ‘Non è assolutamente capace di fare niente: tempo tre giorni, tornerà a casa’. Invece andai per non tornare. Quelli del carrozzone viaggiavano davvero, e io avevo una voglia pazza di perdermi in giro e scappare di casa. I ruoli erano piccoli. Feci uno schiavo ubriaco nel Miles gloriosus, e, prima ancora, il debutto assoluto nei panni di un paggio ne La dodicesima notte. Avevo una sola battuta: ‘Vieni a me, vieni, morte’”» (Malcom Pagani e Fabrizio Corallo). «“Non ci pensavo proprio, a tornare a casa: i miei, preoccupati, mi vennero a cercare, e, quando mi videro interpretare un ruolo più importante dove sostituivo la prima attrice che si era fatta male, rimasero inorriditi. Io, emozionata, sbagliai pure la battuta, e invece di dire ‘È quello francese, maestà’, dissi: ‘È quello marcese, francià’. Mi ammonirono: ‘No, tu questo mestiere non lo puoi fare, non sei capace!’. Erano molto critici, sperando forse di riportarmi a più miti consigli”. Niente da fare: ostinata come un mulo, Adriana a casa non ci torna, resta con la compagnia di giro» (Emilia Costantini). «“Non avevo il minimo talento. […] Tuttavia, si capiva che ero in attesa della mia occasione… Forse speravo che la protagonista di una produzione importante si ammalasse, per rimpiazzarla”. L’occasione giusta si materializzò: “Enzo Biagi aveva scritto una commedia, Noi moriamo sotto la pioggia, destinata ad Andreina Pagnani, grande attrice che però era avanti con gli anni, e così la proposero a me”. E una sera, in platea, c’era Giorgio Strehler, “che mi scritturò per il Piccolo, ma io continuavo a chiedermi: devo davvero fare questo mestiere?”» (Costantini). «“Recitavo con Strehler. Girammo per mezza Europa, e già volevo andarmene, non mi sentivo adatta. Fu Paolo Grassi a ricordarmi che avevo un contratto. Rimasi. Anche Lella Brignone mi esortò a restare, e qualche tempo dopo andai via dal Piccolo con lei. E con la Brignone e con Luca Ronconi recitai in Santa Giovanna; facevo la parte dell’amante del marchese ed ero tutta scollata, con lo strascico e i capelli biondi. Stavo molto bene – sorride con una malizia senza età –. Mi chiamò un produttore cinematografico, ma, quando mi vide senza parrucca, sbottò: ‘Ma come, è tutto qui? Vabbè, non se ne fa niente’. In quel periodo conobbi Luchino Visconti, che mi offrì di recitare in Il crogiuolo, la commedia di Arthur Miller, con un ruolo importante, da prima donna”. Era il 1955. Qualche anno dopo arrivò Vittorio Gassman con Stasera si recita a soggetto di Pirandello. “Mi chiamò per interpretare Mommina, un grande personaggio che mi fece raccogliere applausi incredibili. Morivo in scena, e non c’è niente di meglio che morire in scena. Il successo fu enorme, e io mi ritrovai un po’ più motivata, anche se, ogni tanto, sentivo ancora la voglia di smettere”» (Silvana Mazzocchi). «Transitando da una compagnia all’altra, viene a contatto con attori leggendari, prende confidenza con l’opera dei più osannati drammaturghi, da Shakespeare ad Anouilh (“Nell’allodola il mio décolleté riscuoteva un certo successo”), da Goldoni a Pirandello» (Gianfranco Angelucci). «Non ho mai frequentato una accademia teatrale: ho imparato direttamente sulle tavole dal palcoscenico dai giganti con cui ho lavorato, da Lilla Brignone a Vittorio Gassman, da Luchino Visconti a Bob Wilson, da Patroni Griffi a Luca Ronconi. E col tempo ho cominciato a capire che poi non ero tanto male, la gente mi applaudiva, e allora ho pensato che in fondo potevo continuare». «Ricordo la volta in cui capii che avevo imparato a recitare. Fu nel 1954, con Il ventaglio di Goldoni al teatro La Fenice di Venezia, nella parte della signora Candida. Mi resi conto che mi divertivo, che recitare per me non era più un incubo». «Passata al cinema all’inizio degli anni Sessanta, ha interpretato ruoli secondari, ma spesso in film di grande valore, come Rocco e i suoi fratelli, diretto da Luchino Visconti (1960), e Accattone, di Pier Paolo Pasolini, che ebbe come protagonista il "ragazzo di vita" Franco Citti. Nel 1964 Adriana Asti diede vita al suo personaggio più inquietante, interpretando con notevole bravura […] Gina, la zia-amante del giovane Fabrizio, protagonista di Prima della rivoluzione, un film diretto da Bernardo Bertolucci, in parte autobiografico e in parte ispirato ad un celebre romanzo di Stendhal, La Certosa di Parma» (Ida Biondi). «Sarà Luchino Visconti il suo vero, irresistibile pigmalione; fuori e dentro le scene. “Era così attraente, più di chiunque altro! Ero schiava del suo fascino”. Le viene ritagliata anche una piccola parte in Rocco e i suoi fratelli (la scena in cui la stiratrice bacia Alain Delon); entra a far parte della corte del nobile regista, trascorre le estati a Ischia nella villa a picco sul mare, famosa con il nome di Colombaia. […] Sarà Visconti a obbligarla a recitare nuda in Old Times, coprotagonisti Umberto Orsini e Valentina Cortese: “Mi portò dal parrucchiere e mi fece tingere di biondo dappertutto, anche lì”. Il Conte “probabilmente aveva un’anima con un fondo di crudeltà”, ma la lezione servì: “È così che ho scoperto quanto sia fantastico recitare nudi. Perché puoi dire tutto quello che vuoi, sbagliare battute, potresti recitare l’elenco telefonico. Tanto nessuno ti ascolta. Nessuno presta attenzione a ciò che dici”» (Angelucci). «Poi arrivò Pinter, da Londra. Vide la pièce e disse: “Come hanno ridotto il mio spettacolo!”. […] Un mese dopo, lo spettacolo venne bloccato. Da Pinter. In seguito ci fu una pioggia di richieste per recitare nuda, e tutti a dire “Che vergogna!”, perché ero considerata un’attrice intellettuale: ero amica di Moravia, di Pier Paolo Pasolini, di Gadda. Io, invece, mi spogliavo volentieri, e, in quel periodo, ho fatto anche film magari non bellissimi, ma ero felice». «“In ordine sparso piovvero Paolo il caldo, Homo eroticus, La schiava io ce l’ho e tu no, Caligola di Brass e anche un raffinatissimo film scritto da Susan Sontag, Duetto per cannibali, commercializzato con un titolo, Una tarantola dalla pelle calda, in cui la tarantola naturalmente ero io. Il film resistette in sala mezz’ora, ma Susan fu un incontro interessante. Le aveva tutte: era artista, femminista, ebrea, gravemente ammalata. Una cornice solidissima”. Per Il fantasma della libertà la chiamò anche Buñuel. “Avevo paura del suo giudizio. Ero inquieta. Sapevo che aveva già mandato via un’attrice. Lo aspettai in camerino con un impermeabile di Valentino foderato di pelliccia e, come i maniaci al parco, lo spalancai. Ero nuda. Lui mi fece suonare il pianoforte e mi rassicurò: ‘Je ne suis pas pornograph’, diceva. Voleva che il seno andasse a tempo con la musica. Filò tutto benissimo”» (Pagani e Corallo). «Dopo Buñuel fu la volta di Tinto Brass con Caligola. Interpretavo la parte dell’amante di Macrone. Arrivavo distesa nuda su di una lettiga con accanto dei giovinetti che simulavano la masturbazione. Un delirio. […] Il film subì un numero imprecisato di processi per oscenità. Nessuna attrice avrebbe mai osato fare ciò che ho fatto io» (ad Antonio Gnoli). «La stagione trasgressiva si protrasse fino alla fine degli anni Settanta: “Se a un certo punto smisi di spogliarmi al cinema, fu solo per una questione di tempo, ovvero quando la mia ‘bellezza travolgente’, mai sospettata prima, iniziò a risentire del trascorrere degli anni”» (Angelucci). Nei decenni successivi, Adriana Asti ha continuato ad alternare cinema – diretta, tra gli altri, da Carlo Mazzacurati (Il prete bello), Maurizio Scaparro (L’ultimo Pulcinella), Abel Ferrara (Pasolini) e, soprattutto, Marco Tullio Giordana (Pasolini, un delitto italiano, La meglio gioventù, Quando sei nato non puoi più nasconderti, Nome di donna) – e teatro, portando da ultimo in scena uno spettacolo autobiografico, Memorie di Adriana, «per la regia di Andrée Ruth Shammah. […] “È stata Andrée che, leggendo il mio libro di memorie Ricordare e dimenticare, ha esclamato: ‘Ma questo è già uno spettacolo bell’e fatto!’. ‘Beh, allora facciamolo’, ho risposto io”» (Paolo Scotti) • «Con il tempo si è cimentata con la scrittura e con la regia. “Iniziai nel ’99 con Alcool. Io e Franca Valeri debuttammo a Benevento”. […] Cosa ha capito dirigendo gli attori? “Che fare il regista è come essere un becchino: trasporti morti che vorrebbero essere altrove”» (Pagani e Corallo) • «Ho fatto anche doppiaggio. Da ragazza mi chiamarono per dare la voce a Romy Schneider. Poi, negli anni, ho doppiato tante attrici, anche italiane. Allora non si usava parlare, bastava solo l’avvenenza: Claudia Cardinale, in La ragazza con la valigia; Lea Massari in I sogni nel cassetto di Castellani; Stefania Sandrelli in La bella di Lodi» • «Adriana Asti ha lavorato anche per la televisione, partecipando nel 1967 ad uno sceneggiato di successo, La fiera delle vanità di Anton Giulio Majano, tratto dal ben noto romanzo di William Thackeray. La sua attività televisiva si è protratta negli anni dal 1970 al 1975, sempre in opere di riconosciuto valore, come Partita a quattro (1970), Come un uragano (1971), L’inserzione (1972) e, soprattutto, Orlando furioso (1975), una geniale trasposizione televisiva del poema cavalleresco di Ludovico Ariosto, sceneggiato da Luca Ronconi in collaborazione con Edoardo Sanguineti. Nel 1975 Adriana Asti condusse con finezza Sotto il divano, uno dei primi talk-show televisivi con pretese psicanalitiche, mentre nel 1995 ebbe una parte nello sceneggiato La famiglia Ricordi» (Biondi) • Due matrimoni. «“La prima volta mi sono sposata con un pittore, Fabio Mauri. Ci volevamo bene, ma il matrimonio è durato solo due anni. Era diventato noioso, e volevo andarmene. Un giorno gli dissi: ‘Esco per delle commissioni’. Non sono più tornata”. Poi, qualche anno dopo, in aereo, andando a New York per recitare in uno spettacolo di Ronconi, incontra colui che è diventato l’uomo della sua vita, ma anche compagno di palcoscenico, il regista Giorgio Ferrara: “Era poco di più di un ragazzo, all’epoca faceva l’assistente a Ronconi. Mentre atterravamo, io stavo guardando fuori dal finestrino, ma Giorgio pensò che stessi guardando lui. È cominciata così, e, dopo dieci anni di convivenza, cominciammo a parlare di matrimonio, ma io ero contraria. Dicevo: non posso sposare uno tanto più giovane di me, mi arrestano! Invece è successo, e dura da quarant’anni”. Niente figli, però. “Non posso essere madre. Sono troppo figlia. Giorgio sembra più vecchio di me”» (Costantini). «La mia è una solitudine anomala: viviamo lontano dal mondo che ci circonda, abbiamo tanti interessi in comune. Lui è il direttore del Festival di Spoleto ed è stato per quattro anni all’Istituto di cultura italiana a Parigi, dove viviamo dal 1987. Come il lavoro, anche Parigi è stata una scelta casuale. Il regista Alfredo Arias mi aveva chiesto di recitare in La locandiera di Carlo Goldoni. E mi piacque talmente recitare in francese e stare lì, che ci sono rimasta. Da allora ho fatto la spola con la casa di Roma […] e con quella di Todi, dove ormai andiamo solo d’estate» • «Anche con Bernardo Bertolucci la storia è andata avanti per anni, ma lui aveva dieci anni di meno, non era un matrimonio. Era una storia bellissima. E ora se n’è andato… Non me l’aspettavo, anche se sapevo che stava male» (a Raffaela Carretta). «Complici di un momento creativo, siamo stati insieme due o tre anni. Poi, ognuno per la sua strada. Prima della rivoluzione è un ricordo difficile e un po’ torturante. Mi somigliava troppo. Non l’ho fatto fischiettando, e non ho capito subito che sarebbe stato un lavoro profetico e un racconto che avrebbe resistito al tempo. La verità è che quando giri non capisci mai quel che stai facendo. Bernardo comunque si impossessò di tutto quel che mi riguardava e lo mise nel film» • «Tutti siamo stati molestati. Da una carezza sulla gamba o da una parola fuori posto. Non capisco che senso abbia ricordarselo dopo vent’anni». «A quattro anni fui molestata da una cameriera. Si chiamava Alma, era friulana. Soffrii molto. Crescendo ne ho subite altre, ma in alcuni casi non mi dispiacquero: le trovai simpatiche. Certo, mi preoccupano le violenze nei confronti dei bambini, che sono indifesi e non hanno nessuna colpa. Non riesco, invece, a scandalizzarmi per un’attrice che vuole fare a tutti i costi una parte importante». «Femminista? “Mai stata, anche perché a teatro non c’è differenza tra i sessi. In questo noi attori siamo privilegiati”» (Anna Bandettini) • «Un esaurimento nervoso […] le fece incontrare Cesare Musatti: “Sin da piccola avevo problemi di relazione. Mio padre decise di portarmi dal grande psicoanalista: ho continuato ad andare da lui per i successivi trent’anni, e fu lui a ripetermi che dovevo continuare a fare l’attrice proprio come terapia”. E poi, dopo la sua scomparsa, scrisse e interpretò per lui una commedia: Caro professore. “Mi aveva fatto comprendere che il teatro fa bene alla salute: anche nella negatività, ti fa sentire positivo”» (Costantini) • Fumatrice. «Fumo meno di quanto vorrei: è proibito ovunque!» • «Dipingo. Non molto perché non ho tempo, ma ho fatto anche una mostra» • «Non ho la fede, non credo in Dio. Sebbene abbia da piccola studiato in una scuola di suore tedesche, non mi è restato l’imprinting. È un bene? È un male? Non lo so. So che quando mi ammalai di cancro non cercai rassicurazioni in alto loco» • «Conobbi Bettino Craxi ad Hammamet. Andavo spesso nella casa che aveva in collina, lontana dalla confusione della Medina. Tutti pensano che vivesse nel lusso, in realtà non si è mai arricchito. L’ho conosciuto come un uomo che amava la politica intensamente. Un grande idealista, pochissimo veggente, perfino inconsapevole di ciò che si sarebbe abbattuto su di lui. È finito in una spirale orribile, iniziata in quegli anni e tuttora in corso. Sa cosa penso? Che De Gasperi, Saragat, Terracini e tutti i grandi politici del dopoguerra non fossero migliori. Erano semplicemente più salvi, perché l’epoca era migliore» • «L’attrice più misteriosa, idolatrata e inafferrabile della nostra scena» (Angelucci). «Per unanime definizione dei critici, una delle attrici più talentuose, e certamente più spiritose, del teatro italiano» (Grilli) • «Per lei Natalia Ginzburg scrisse Ti ho sposato per allegria e Giuseppe Patroni Griffi Gli amanti dei miei amanti sono i miei amanti» (Bandettini) • «La malinconia non mi si addice». «Io detesto il passato. Mi annoia profondamente. Non ci penso mai. Il passato è come un vecchio, meraviglioso vestito che non indosserò più. Una cosa che osservi e ti viene una gran voglia di bruciare» • «Non ho mai festeggiato i miei compleanni… forse solo quello dei 18 anni. E poi c’è sempre qualcuno che, pensando di farti un complimento, esclama: “Mia nonna era una sua ammiratrice!”. Un incubo. Come quella volta che, a via Manzoni a Milano, mi avvicinò una vecchia cadente apostrofandomi “Ero la tua compagna di banco”, ma io la minacciai: “Signora, se non se ne va subito, chiamo la polizia”» • «Non faccio mai progetti. E, fra uno spettacolo e l’altro, imparo la sublime arte dell’ozio». «Il teatro è come il deserto che avviluppa, è come il mare per i marinai, è impossibile andarsene. E, se non è mai stato la mia grande passione, è stato ed è tuttora la mia vita». «La passione non ha mai guidato le mie scelte. L’insofferenza sì. La febbre di andare via. E il pensiero che il futuro potesse essere qualcos’altro». «Sono convinta che in punto di morte, se ancora cosciente, sarò comunque felice di andare via, trasportarmi da un’altra parte». «Dicono che ci dissolveremo un po’ come si dissolve l’energia. Ma, in fondo, chissenefrega dell’energia. Io preferisco il far nulla».