«Era parte di un vero e proprio tesoro di inediti di Burgess, rinvenuto nella sua abitazione vicino a Roma, sul lago di Bracciano. Una casa in cui lo scrittore andò a vivere dopo il matrimonio con Liliana Macellari, l’italiana che sposò in seconde nozze, straordinaria traduttrice di Lawrence Durrell, J. D. Salinger e dello stesso Burgess, di cui poi è stata anche l’agente. Ma in seguito la coppia si trasferì a Monaco e la casa di Bracciano è rimasta praticamente disabitata per vent’anni, fino a dopo la morte di Burgess nel 1993 e della sua vedova Liana, come lui la chiamava, nel 2007. Quando gli eredi l’hanno venduta, un sopralluogo ha fatto trovare casse di manoscritti, che sono state inviate alla Fondazione Burgess di Manchester».
E le ci sono voluti più di dieci anni per trovare in quelle casse il seguito di “Arancia meccanica”?
«Non era facile. La mole di materiale è enorme: finora ne abbiamo catalogato solo una parte. Ci sono racconti inediti, sceneggiature mai messe in scena, tutta la sua corrispondenza personale, e molti spartiti musicali, perché Burgess era anche un ottimo compositore. A un certo punto è saltato fuori un manoscritto di duecento pagine, pieno di schizzi, illustrazioni e appunti a mano, su Arancia meccanica. Quando l’ho preso in mano quasi non potevo credere ai miei occhi».
Cos’è esattamente? Un seguito del romanzo? Un nuovo finale?
«Lo definirei un seguito non narrativo. Burgess la chiama “una riflessione filosofica sulla condizione umana”. Un progetto molto ambizioso, dunque. Destinato a essere pubblicato, nelle intenzioni dell’autore, in forma di libro illustrato, con la metà circa delle pagine composte di disegni e fotografie».
Una sorta di appendice di “Arancia meccanica”, come l’“Appendice al Nome della Rosa” di Umberto Eco?
«Esattamente. Burgess ed Eco, del resto, si conoscevano. Anthony lo stimava molto. Ogni libro è composto di altri libri, sosteneva Eco, e questo manoscritto ritrovato di Burgess ne sembra l’ennesima dimostrazione».
Il messaggio del sequel è che “Arancia Meccanica” è stato erroneamente interpretato come un’esaltazione della violenza?
«In Inghilterra ci furono episodi di violenza che sembravano scimmiottare alcune situazioni del film. Ma nel manoscritto Burgess sostiene che la letteratura, e l’arte in generale, non ispirano la violenza: possono al massimo influenzarne lo stile. Quelle persone erano già violente, non lo sono diventate a causa del suo libro o del film di Kubrick. Il romanzo, sottolinea Burgess, era diviso in tre parti: delitto, castigo e redenzione. Tutti si sono concentrati sul delitto, ma per lui è altrettanto importante il castigo e la possibilità di redenzione. Un messaggio valido quando uscirono libro e film, negli anni 60-70, quanto lo è oggi».
Nel film però manca la redenzione: finisce con Alex, nella scioccante interpretazione di Malcolm McDowell, che torna al crimine.
«Burgess aveva scritto due finali di Arancia meccanica. Il finale americano, che è stato usato per il film, in cui Alex torna appunto alla violenza. E quello inglese, in cui rinuncia alla violenza. Quest’ultimo era quello preferito dall’autore, che lo usò anche per un successivo adattamento teatrale di Arancia meccanica».
Com’erano i rapporti tra Burgess e Kubrick?
«Non si incontrarono mai prima del film. Ma dopo diventarono amici. Burgess dedicò perfino a Kubrick un suo successivo romanzo su Napoleone: sarebbe dovuto diventare il soggetto del film che il regista progettò a lungo su Bonaparte senza mai realizzarlo».
Nel manoscritto ritrovato c’è anche un riferimento a come Burgess arrivò al titolo di “Arancia meccanica”.
«In parte era una ricostruzione già nota. Ma nel manoscritto Burgess la conferma con maggiori dettagli. In pratica sostiene che nel 1945, in un pub di Londra, sentì dire a un avventore questa frase: “Quel tale è strano come un’arancia meccanica”. E da allora avrebbe sempre conservato l’idea di utilizzare quella singolare espressione come titolo di un romanzo».
Crede che andò proprio così?
«Non è chiaro. Il dizionario dello slang inglese non produce esempi di frasi di questo tipo. Ma cita l’espressione clockwork chinese, cinese meccanico, per indicare qualcosa di strano, e può darsi che Burgess si sia ispirato ad essa, confondendosi o volendo confondere apposta la sua fonte, per arrivare adArancia meccanica».
Verranno pubblicati i manoscritti inediti, a cominciare da questo?
«Spero di sì, ma ci vorrà tempo. E per il sequel bisognerà trovare un illustratore che rispetti le intenzioni di Burgess».
Un libro ritrovato dopo tanti anni, in una casa abbandonata, sulla riva di un lago: sembra la trama per un romanzo di Eco o di Dan Brown.
«Davvero! A Burgess piacerebbe. Qualcuno dovrebbe scriverlo».