L’Economia, 29 aprile 2019
Manfredi Catella e il business dei grattacieli
Quattro miliardi di investimenti solo su Milano. Per ultimo, l’assegno da 193,6 milioni di euro, dopo un’asta al rialzo di 85 rilanci, staccato al Comune per il «Pirellino», la sede degli uffici municipali. Una cifra-record, comprensiva dei diritti di superficie del parcheggio sotterraneo. Più del doppio del valore stimato nel 2013: 78 milioni.
Coima sgr, la società guidato da Manfredi Catella, l’ha spuntata, tra gli altri, sul fondo Usa Blackstone e su China Investment. Catella si sta convertendo sempre più nel «re del mattone» italiano, dopo essere stato il protagonista, come gestore e sviluppatore, della più importante riqualificazione immobiliare degli ultimi anni: Porta Nuova a Milano, con i grattacieli di Unicredit e le torri del Bosco verticale ora di proprietà della Qatar Investment Authority, il braccio finanziario del governo di Doha. Catella parla di «mosaico». Cioè la necessità «di concentrarsi sui luoghi di Milano che presentano maggiori garanzie di rendimento sul lungo termine per i nostri sottoscrittori». Tra i quali ci sono oltre 100 investitori istituzionali tra i quali sei fondi sovrani e primari fondi pensione.
È sicuro che non ha pagato un prezzo eccessivo?
«Tutt’altro. Milano sta esprimendo grande innovazione ed è ormai entrata nel radar degli investitori internazionali che stanno crescendo dimensionalmente diversificando i propri investimenti a livello internazionale scegliendo le città con maggiori prospettive di crescita. I grandi fondi sovrani, in particolare asiatici e mediorientali, e i maggiori fondi pensione mondiali, tra cui canadesi, olandesi, coreani, giapponesi, ormai sono attratti dalle economie metropolitane e l’Italia ha un’opportunità storica per attrarre capitali dall’estero e per convogliare quelli italiani, penso alle casse previdenziali e ai fondi negoziali, su progetti di sviluppo immobiliare con maggiore impatto sull’economia reale. A Milano abbiamo deciso di concentrarci sui luoghi che riteniamo abbiano maggiore prospettiva di sviluppo, in particolare in Porta Nuova, negli scali ferroviari e nei quartieri adiacenti, dovendo necessariamente rinunciare ad altre aree di sviluppo, come l’ex area Falck a Sesto San Giovanni o Santa Giulia, a Rogoredo. Si tratta di una scelta che con le recenti acquisizioni dell’ex sede dell’Inps, l’ex edificio Telecom, delle aree di Melchiorre Gioia, il “Pirellino” completa il cerchio raddoppiando lo sviluppo di Porta Nuova che ha rigenerato l’ex scalo ferroviario di Garibaldi».
In che senso l’Italia è favorita?
«L’Italia ha un vantaggio che deriva dal proprio modello di sviluppo, urbanistico ed economico: non ha grandi metropoli, che spesso presentano una serie di criticità. Dall’inquinamento ambientale alla gestione dei rifiuti, dalla mobilità urbana complicata dalle tempistiche di spostamento al rischio-criminalità dei quartieri periferici. Bisogna rimettere in discussione il dogma secondo il quale più una città è grande, più è attrattiva. Dipende dal suo modello organizzativo. Ciò che conta è la sua specializzazione produttiva. L’Italia ha investito in connessioni, con il sistema quasi metropolitano dell’alta velocità. Ciò sta rendendo le distanze tollerabili. Bologna, Genova, Milano, Torino sono ad un’ora l’una dall’altra. È come vivere in periferia a Londra, ma con una qualità della vita nettamente superiore».
Eppure non brilliamo per la capacità di convogliare capitali italiani su progetti di riqualificazione urbanistica: non pensa che manchi una cabina di regia nazionale?
«Senza dubbio. In prospettiva ritengo che i nostri investitori istituzionali, più di quelli internazionali, possano giocare una partita strategica per le nostre città e territori. Servono anche investitori italiani per rigenerare le nostre città. Per esempio le casse previdenziali degli architetti, degli avvocati, dei medici, dei notai presentano un avanzo annuo medio di circa un miliardo di euro ogni anno. Ci sono i fondi pensione negoziali, con oltre 50 miliardi di euro di patrimonio gestito non ancora investito nel settore dello sviluppo del territorio. Serve un’alleanza tra capitali istituzionali, imprenditori e decisori pubblici, governo e amministrazioni locali, per realizzare piani industriali che sviluppino il territorio».
Siamo un Paese che invecchia eppure la sensazione è che stiamo investendo poco sulle strutture per la terza età, non crede?
«Ha ragione. Investiamo ancora poco su quello che la nostra società avrà bisogno anche in funzione degli sviluppi demografici. Invecchiamo meglio, più in forma con più tempo a disposizione e forse qualche risparmio. In termini di consumo si tratta di fatto di una nuova fascia destinata a crescere. Anche qui servirebbe un progetto nazionale per riqualificare, ad esempio una quantità diffusa di immobili pubblici non più utilizzati, di proprietà dello Stato o dell’Agenzia del Demanio. S’identifichi una rete di immobili con caratteristiche omogenee in coerenza con un piano industriale, si incentivino i capitali istituzionali, in particolare italiani a credere su questo progetti insieme al settore privato. Un approccio di questo tipo consentirebbe di favorire lo sviluppo di aziende italiane qualificate di cui il Paese ha bisogno per competere contribuendo all’attrattività italiana».
Come fare in concreto?
«Innanzitutto cambiare approccio dagli immobili come fonte di cassa al territorio a risorsa strategica di sviluppo economico. Dovremmo identificare criteri chiari di selezione degli immobili e delle relative localizzazioni che possano rispondere alla trasformazione in destinazioni d’uso strategiche per il futuro del Paese componendo dei portafogli dimensionalmente significativi e diffusi sul territorio su cui attuare i piani industriali. Le città sono l’infrastruttura più importante dei prossimi decenni in cui si celebrerà l’innovazione più intensa dalla mobilità alla sostenibilità ambientale, dall’estetica ai temi sociali. Per questo motivo il settore immobiliare ha bisogno di dotarsi di progetti e di aziende nazionali qualificate che possono competere a livello internazionale e contribuire a rendere competitivo il nostro Paese e le nostre città».