il Fatto Quotidiano, 29 aprile 2019
Pasquale Tridico. Il bilancio del presidente Inps sull’assegno di cittadinanza e quota 100
Pasquale Tridico, presidente dell’Inps, è nato a Scala Coeli (Cosenza).
Pasquale Tridico, presidente dell’Inps, tra un mese si vota. Molto dipenderà dal giudizio degli elettori su Quota 100 e Reddito di cittadinanza. Successo o mezzo flop? Le domande di reddito di cittadinanza sono 950.000 in meno di due mesi. Per il Rei, nel primo mese erano solo 80.000. C’è un tasso di rifiuto del 25 per cento, ma avranno il reddito circa 750.000 famiglie. E le domande cresceranno ancora. Ricevo mail di persone che per la prima volta si sentono aiutate dallo Stato. Mi ha scritto un ragazzo pieno di entusiasmo: prendeva un Rei da 106 euro, oggi un reddito di cittadinanza da 411. Ridare speranza è già una politica attiva del lavoro.
Ci sono più richieste in Lombardia (82.000) che in Calabria (60.000). La stupisce?
No. Il Rei aveva il 70 per cento di domande al Sud, il reddito di cittadinanza il 53. La distribuzione nazionale è omogenea. Anche nelle periferie delle zone ricche del Nord ci sono molti poveri che spesso devono pure pagare l’affitto. I poveri nel Sud, invece, dispongono quasi sempre di una casa, infatti la percentuale di chi prende il contributo pieno è bassa. In media, il reddito di cittadinanza pagato è di 520 euro.
Però alcuni ricevono poche decine di euro. Ha senso tanta burocrazia per erogare somme così basse?
Qualcuno ha avuto 40 euro. Era il massimo con vecchia carta acquisti introdotta da Tremonti. Ora è il minimo. É un passo avanti. Se qualcuno, sulla base dei criteri, ha diritto a pochi euro di integrazione, l’Inps ne paga comunque almeno 40. Lo stabilisce la legge. Qualche migliaio di persone – il 5 per cento – è in questa situazione, ma non sono i poverissimi.
Quei 40 euro sono una specie di reddito di base?
Sì. E per il futuro sarebbero utili dei minimi differenziati per categoria. Per esempio un basic income per giovani in percorsi di studio sulle arti e la cultura che offrono carriere incerte. Un Paese fondato sulla cultura ha bisogno di quelle professionalità: mi risulta ci sia un progetto di dare 400 euro al mese per due anni ai giovani che finiscono studi di laurea o di diploma in architettura, di arti performative o comunque legati al patrimonio artistico e culturale.
Le domande di reddito sono vicine al milione. Considerano la dimensione della famiglia media, si arriva a 2,75 milioni di persone. Ma per l’Istat i poveri assoluti sono 5 milioni. Dove sono gli altri?
La legge sul reddito è stata convertita in Parlamento da poco più di un mese. Ci vuole tempo. E la povertà è difficile da raggiungere. Ora lanceremo un’iniziativa con camper e gazebo per cercare i poveri là dove sono, dalla stazione Termini alla Comunità di Sant’Egidio, presso le mense. Si chiamerà “Inps per tutti”. I poveri sono emarginati, molti non sanno neanche cos’è un Caf o un Isee. Li aiuteremo a fare domanda e, se hanno i requisiti, ad avere il reddito.
Alcuni lavoratori Fiat licenziati hanno protestato per essere fuori dai parametri. Che ha risposto?
La Cassazione ha stabilito che devono restituire alcuni stipendi e loro non vogliono che quei redditi compaiano nell’Isee. Io ho spiegato che, se faranno domanda per il reddito, li scorporeremo. Se rientreranno nei criteri, avranno il reddito.
123mila domande per quota 100, meno del previsto?
Sono le domande del primo di quattro trimestri. In linea con le attese.
La misura è “sperimentale” per tre anni. Va resa permanente?
Al termine del triennio si vedrà se le esigenze che l’hanno determinata saranno cambiate e se andranno studiate altre forme di flessibilità, per esempio “quota 41”.
Il decreto dignità ha prodotto i risultati sperati?
Bilancio positivo oltre ogni aspettativa. In tempo di bassa crescita, l’occupazione tiene e stiamo ricomponendo il mercato a favore del lavoro stabile, solo nei primi due mesi del 2019 abbiamo avuto oltre 200.000 contratti stabili in più. Sia trasformazioni che nuove attivazioni. Il tasso di disoccupazione è stabile.
A Milano i rider denunciano i vip che danno mance basse: è odio di classe o l’unica forma di ribellione rimasta contro l’azienda?
Le forme di protesta si sono evolute. Il governo ha provato a riformare la gig economy. Il tavolo è stato lungo e faticoso perché il settore è nuovo. Il provvedimento era pronto a febbraio, ma non è stato inserito nel decreto sul reddito perché considerato inammissibile per materia dalle presidenze di Camera e Senato. Mi risulta che verrà ripresentato nel prossimo provvedimento utile.
Gli occupati sono tornati al livello del 2008 ma gli italiani lavorano 2 miliardi di ore in meno all’anno. Stiamo già applicando lo slogan “Lavorare meno, lavorare tutti”?
Quei due miliardi di ore vanno recuperati. Ma il progresso tecnico produce guadagni di produttività che vanno redistribuiti, sotto forma di salario o di tempo libero. In Italia non si introducono riduzioni di orario di lavoro dal 1970. Eppure da allora c’è stato grande progresso tecnico. Le forme possono essere diverse, dallo smart workig, agli incentivi di conciliazione tempo libero-lavoro, al tempo per formazione, fino alle riduzioni per legge come in Germania.
A che punto è il progetto di salario minimo?
C’è un disegno di legge al Senato in stato avanzato.La misura è giusta e necessaria in virtù della frammentazione della contrattazione sindacale, del dumping al ribasso dei salari. E il salario minimo sarà integrato con la contrattazione collettiva dei sindacati che, dove esiste, prevale. Come in Germania.
Ha aumentato le direzioni dell’Inps? Più poltrone per tutti?
La determina sull’organizzazione di Boeri, emanata a fine mandato, era contestata da due procedimenti giudiziari, e per comportamento anti-sindacale. Per questo ne ho emanata una nuova che risolve il problema e che inizia a creare le strutture che servono all’Inps, oggi privo di una direzione sulla povertà, sulla formazione continua, sulla vigilanza sull’evasione contributiva e sull’informatica. Non ho aumentato il numero dei dirigenti, come qualcuno denuncia, ho aumentato la pianta organica, pensando a possibili direzioni. I dirigenti già li abbiamo e già li paghiamo, fino a 240.000 mila euro l’anno. Alcuni si considerano demansionati in alcuni “progetti di studio” di scarso rilievo. Possiamo usarli per compiti più coerenti con il loro status e compenso.
Non rischia anche lei, come Boeri, tensioni con i sindacati?
Ho fatto un accordo con i sindacati sulla contrattazione integrativa, sul “mansionismo” e sui fabbisogni. I sindacati hanno applaudito la firma del contratto integrativo perché, a parità di risorse, per la prima volta la parte variabile del salario è andata soprattutto alla parte bassa della gerarchia del personale.