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 2019  aprile 29 Lunedì calendario

Intervista a Riccardo Scamarcio

Riccardo Scamarcio, attore, è nato a Trani.
Dal libro inchiesta su Saverio Morabito (boss calabrese della ’Ndrangheta e poi superpentito) Manager Calibro 9 di Luca Fazzo e Piero Colaprico il regista Renato De Maria ha portato sul grande schermo Lo spietato, un gangster in cerca di potere e ricchezza nella Milano da bere degli anni ottanta, ispirato proprio alla figura di Morabito. Il film è stato distribuito nelle sale cinematografiche italiane solo tre giorni (8, 9 e 10 aprile) per poi essere visibile su Netflix dal 19 aprile. Riccardo Scamarcio (al quarto crime-movie in tre anni) è il protagonista nei panni del boss. Attualmente è sul set del film di Nanni Moretti Tre piani e dal 30 aprile sarà ancora al cinema con il thriller giudiziario Non sono un assassino. Scamarcio di cosa parla Lo Spietato? «È la storia di Santo Russo, un ragazzo calabrese cresciuto in povertà che dopo i primi furti e il carcere minorile, sceglie di diventare un criminale. Trasferitosi a Milano con la famiglia, passa dalla periferia popolata da immigrati meridionali di Buccinasco a quella elegante degli attici che si affacciano sul Duomo. Sogna il riscatto sociale e in pochi anni si lancia in affari loschi, compie rapine, sequestri, si dedica al traffico di droga e al riciclaggio di denaro sporco. Va anche oltre, con esecuzioni a sangue freddo». Cosa ha provato ad interpretare Santo Russo? «In un certo senso mi sono divertito nel vestire i suoi panni. Mi ricordava alcuni figuri che c’erano ad Andria la mia città dove vivevo da ragazzo». Per esempio? «Giravano con macchine spettacolari, donne e orologi d’oro di gran lusso al polso. È stata Andria ad insegnarmi molte cose. La verità è che il mio paese è stata una buona scuola, per la mia carriera di attore». Il suo personaggio è un criminale, ma è anche descritto con molto fascino... «È un super-protagonista. In questo film ho avuto molto spazio per poter disegnare il suo carattere. È un ragazzo che arriva dalla Calabria e io ne racconto la sua ascesa e la sua disfatta». Cosa le ha lasciato? «Un’sperienza positiva, anche se lui non è certo edificabile. Noi recitiamo e in qualche modo è come se fossimo sempre a teatro. Ma anche questa volta ho cercato dei punti di contatto, specie perché il film non era ambientato nell’epoca in cui viviamo». C’è una scena in cui lei torna nel suo elegante attico che guarda la Madonnina, e trova la sua amante e i suoi amici in adorazione di un ragazzo nudo in posa artistica, e lo riempe di schiaffi: le piace questa scena? «Molto! Mi piace anche l’arte contemporanea, ma a volte ci sono esagerazioni che forse qualche schiaffo qualche artista se lo meriterebbe...». Santo Russo però perde facilmente la testa. «Non capisce. È un impulsivo. Si considera un imprenditore, ma non ha regole». È vero che non ha usato controfigure? «I testa-coda con la Ferrari e la Lamborghini nel film li ho fatti davvero, ma non ho mai avuto dei bolidi del genere nella mia vita». Si è ispirato a qualcuno? «Quando ho capito che il film che mi proponeva De Maria poteva essere una sorta di Godfellas, ho subito accettato. Sono cresciuto vedendo questo tipo di film». Ha deciso immediatamente di accettare il ruolo? «Il regista mi ha mandato il copione un anno prima del set, l’ho letto in un giorno e ho detto: lo faccio». Con la produzione e la distribuzione di Netflix avete la possibilità che il film sia visto in tutto il mondo. «Io e Sara (Serraiocco, moglie di Scamarcio nel film, ndr) ci stiamo ridoppiando in inglese sul labiale italiano. Credo non sia mai stato fatto, è difficile ma anche stimolante. Come lo è stato girare in fretta un film così complicato, ma c’era davvero una grande energia».