Corriere della Sera, 29 aprile 2019
In Ciad i social sono vietati da un anno
Il Ciad ha risolto il problema della dipendenza da «social»: da tredici mesi 15 milioni di abitanti vivono senza Facebook, Twitter e Whatsapp. All’inizio le autorità avevano detto che il blackout era solo tecnico. Ma presto è risultato chiaro che il nodo è politico. Nel marzo 2018 il presidente-dittatore Idriss Déby, 61 anni, ha fatto approvare una legge che gli allunga la carica fino al 2033. Negli stessi giorni, ha fatto partire la censura. L’oscuramento online va di moda presso molti governi autoritari. Anche dove la Rete è ancora un lusso: in Ciad il 5% degli abitanti (750.000 persone) ha accesso a Internet. Meglio comunque non correre rischi, ha pensato l’uomo forte tra i più amati in Occidente, considerato una pedina sullo scacchiere della guerra al terrore. Non c’è stato leader, neppure in Europa, che abbia protestato. Secondo l’Onu vietare Internet è una violazione dei diritti umani. Per Déby è un’assicurazione sul potere: l’attualità, dall’Algeria al Sudan, dimostra che dalle piazze virtuali alle piazze gremite il passo è breve. Meglio svuotare subito le prime. È successo a gennaio per le elezioni farlocche in Congo. E la febbre del blackout ha contagiato anche il Benin, che passa per una delle democrazie più stabili d’Africa. Per il voto di ieri, anche a Cotonou bloccati social e app di messaggistica. La stretta sull’opposizione al presidente Patrice Talon si è rivelata anche alle urne: solo due partiti ammessi, ricchi e filo-Talon. La nuova legge elettorale prevedeva per ogni partito un gettone di partecipazione di mezzo milione di euro. Parlamento vietato ai poveri.